GUELFI, Giulio

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
GUELFI, Giulio

Date di esistenza

Luogo di nascita
Cascina
Data di nascita
14 settembre 1888
Luogo di morte
Arles
Data di morte
7 febbraio 1939

Attività e/o professione

Qualifica
Impiegato
Qualifica
Commerciante

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Cascina il 14 settembre 1888 da Riccardo e Liberata Bracci, impiegato e commerciante. Vive nei paesi di Casciavola e Navacchio dove presumibilmente abbraccia gli ideali socialisti assai diffusi nella zona. Negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale è assunto come impiegato all’Ospedale di Piombino. Rientrato a Cascina diventa ben presto uno degli promotori della sezione socialista di Casciavola e uno dei principali organizzatori della Camera confederale del Lavoro. Buon conferenziere, tra il 1919 e il 1921 «L'Ora nostra» riporta frequenti notizie della sua partecipazione a comizi e conferenze su tutto il territorio. Al congresso provinciale della Camera del Lavoro confederale, che si svolge il 22 e 23 luglio 1920 presso il Teatro Verdi a Pisa, relazione sui nuovi Patti coloniali e nella stessa sessione viene eletto membro della Commissione esecutiva camerale. In un cenno biografico della Prefettura di Pisa è definito di carattere «strafottente […] possiede una limitata cultura però è dotato di facilità di parola tanto che era riuscito ad acquistare tanto ascendente tra le masse operaie che lo seguivano ciecamente in qualsiasi violenza».

Nelle elezioni amministrative dell'autunno del 1920 è eletto consigliere comunale poi Sindaco di Cascina. Caratterizza il suo mandato per interventi sociali ed economici sul territorio volti ad una politica di redistribuzione delle ricchezze e al controllo dei prezzi dei beni di prima necessità. Organizza a Cascina molte iniziative di sostegno alla Russia e in occasione del suo insediamento inneggia alla rivoluzione e al comunismo. Durante il suo mandato sulla Torre Civica nel centro di Cascina sventola una grande bandiera rossa, ammainata poi dai fascisti il giorno della presa del paese. Interviene da sindaco al funerale di Comasco Comaschi, anarchico e ardito del popolo ucciso in un agguato da alcuni fascisti il 19 marzo 1922, denunciando il crimine fascista e pronunciando le seguenti parole: «Noi proletari siamo coloro che lavorano e che producono e non quelli che uccidono». La frase scatena l’ira degli squadristi che rispondono minacciosi dal settimanale «L'Idea fascista» facendo intendere che faranno pagare a Guelfi il suo ardimento. Nonostante il ruolo, sindaco di uno dei principali comuni della provincia pisana, Guelfi non si tira indietro e partecipa attivamente agli scontri a fuoco con i fascisti sia a San Frediano a Settimo che a San Benedetto e a San Casciano. È tra gli organizzatori delle squadre rosse nate per opporsi al fascismo e delle squadre di ciclisti rossi che hanno il compito di mantenere costanti le comunicazioni tra i vari gruppi rionali.

Nel febbraio del 1922 la moglie, Corinna Noccioli, è oggetto da parte di un gruppo di fascisti di un agguato a colpi di pistola nei pressi della stazione ferroviaria di Navacchio e la casa della famiglia è spesso oggetto di violazioni da parte degli squadristi locali. Le minacce pubbliche nei suoi confronti da parte dei fascisti non mancano. I segretari dei Fasci di Cascina su «L'Idea fascista» nel giugno del 1922 scrivono: «Giulio Guelfi [...] responsabile dell’assassinio di Zoccoli e Serlupi [...] se quest’uomo avrà tanto coraggio e tanta sfacciataggine, i Fascisti del comune di Cascina si impegnano pubblicamente, di fronte all’Autorità e ai cittadini, di ficcarlo in un sacco pieno di sterco e di farlo recapitare al compagno On. Modigliani, suo protettore». Guelfi nel suo ruolo di Sindaco subisce varie denunce e una violenta campagna stampa di denigrazione da parte dei fascisti locali e della stampa liberale che lo accusano di concussione nell’esercizio della sua funzione. Per queste denunce subirà un processo che lo vedrà poi assolto dalla Corte di appello di Lucca insieme agli assessori Angelo Pasqualetti e Alfredo Vanni.

Dopo la caduta della Giunta cascinese si trasferisce prima a Livorno dove il Direttore capo di Pubblica sicurezza della Questura chiede alla Divisione Affari generale e riservati del Ministro dell'Interno l’assegnazione di un agente «per esercitare la continua ed ininterrotta vigilanza al noto comunista Guelfi». Successivamente Guelfi decide di trasferisi a Genova ed infine a Parigi dove secondo la polizia fascista, nel 1926, è un membro attivo del «Comitato centrale antifascista». Probabilmente si tratta del «Comitato d'attività antifascista», che in questo periodo tenta di trasformare in alleanza stabile la collaborazione tra le diverse forze antifasciste ma che non vede la partecipazione dei comunisti. Il Comitato è composto oltre che da Guelfi anche da Pietro Rezzo, Guido Raise, dal bergamasco Amleto Locatelli, che nel 1923 è stato segretario della FIOM presso gli stabilimenti di Dalmine – cadrà in Spagna a difesa della Repubblica – e dal siciliano Giovanni Buscemi sul quale vi sono versioni contrastanti della sua movimentata attività politica. Guelfi a seguito dell’espatrio è segnalato alla «Rubrica di frontiera» con indicazione di fermare e arrestare in caso di rimpatrio. Non è noto quando Guelfi matura l’adesione al PCd'I, secondo un cenno biografico della Prefettura di Pisa del 1927 già al Congresso di Livorno vota la mozione comunista, ma tale ipotesi non è supportata dalla cronaca de «L'Ora nostra» e da altre fonti. Pur essendo un membro del «Comitato d'attività antifascista» di Parigi al quale, come detto, non partecipano i comunisti, durante la sua permanenza in Francia è comunque segnalato come «comunista» e iscrive i propri figli alla scuola comunista di Ivry-sur-Seine.

Nel 1926 la moglie, insieme alla quale ha avuto tre figli (Zanetta, Ideale e Silvano quest'ultimi poi attivi militanti comunisti e volontari in Spagna) rientra in Italia con la motivazione di urgenti e necessarie cure alle terme di Casciana. In un primo momento le viene ritirato il passaporto in quanto anche lei fuoruscita politica, successivamente, a seguito di una nota scritta del Console generale a Parigi e in assenza di altri riscontri negativi, il passaporto gli viene rilasciato con nulla osta del Ministro dell’Interno. Nell’agosto del 1931 è invece la figlia Zanetta che rientrerà in Italia e risiedendo a Navacchio, dove è strettamente vigilata dalla polizia fascista, fino alla primavera dell’anno successivo. Nel 1929 Guelfi con l’intera famiglia si trasferisce a Vitry-sur-Seine, comune della Valle della Marna nella regione dell'Île-de-France, dove gestisce un piccolo albergo frequentato da noti sovversivi italiani e dove pochi anni dopo, nel 1933, riceve la visita del padre Riccardo, che non vede da dieci anni e al quale il regime concede eccezionalmente il passaporto. Secondo le informazioni della Divisione di Polizia politica in questi anni si manifesta ancora «convinto e accanito antifascista» e frequenta altri comunisti italiani tra questi Gaspare Migliavacca e Beniamino Zucchella che pochi anni dopo si arruoleranno nelle Brigate Garibaldi a difesa della Spagna repubblicana.

Nel 1937 secondo la Prefettura di Pisa si troverebbe in Spagna arruolato nelle file antifranchiste, notizia non confermata dalle fonti archivistiche e dalla bibliografia. Va considerato che è quasi da escludere una sua partecipazione alla Guerra civile spagnola considerando la sua età, all'epoca ha 49 anni, ed è probabilmente che il suo nome sia stato confuso con quello dei figli, che invece sono regolarmente arruolati nella Brigata Garibaldi. Nel settembre dello stesso anno è segnalato ad Arles in casa del comunista cascinese Giovanni Baroni, nativo del borgo di San Prospero, che gestisce un bar nel centro città. Guelfi poco dopo si trasferisce definitivamente ad Arles dove, secondo le autorità di polizia italiane, è conosciuto con il nome di Vittorio e dove gestisce un locale, che gli investigatori identificano in quello precedentemente gestito e poi cedutogli da Giovanni Baroni. Il bar in breve tempo diventa un luogo di incontro di sovversivi e antifascisti locali. In un telespresso del Consolato generale di Marsiglia dell’agosto del 1937 è definito «il capo del movimento comunista e del soccorso rosso della regione». Muore improvvisamente poco dopo aver compiuto i cinquant'anni ad Arles il 7 febbraio 1939.

Il Comune di Cascina il 15 novembre 1945, con delibera di Giunta Comunale n. 287, su proposta del CLN locale, provvede alla sostituzione, che specifica «di fatto già avvenuta» per volontà popolare, delle denominazioni delle strade dedicate a personaggi o eventi del fascismo, e intitola via Gino Salvadori fascista pisano morto a Marina di Pisa durante uno scontro a fuoco tra la fazione "dissidente" di Bruno Santini e i sostenitori di Gray, il Commissario della Federazione dei fasci di combattimento pisani ‒, a Giulio Guelfi «ex Sindaco del Comune di Cascina morto all'estero ove dovette fuggire per persecuzione politica da parte dei fascisti». (M. Bacchiet)

Fonti

Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Id., AGR, b. 148, fasc. 348; Il Congresso provinciale della Camera del Lavoro Confederale, «L'Ora nostra», 31 Luglio 1921; Il fascismo in Provincia spezza e travolge gli ultimi avanzi della tirannide rossa. Da San Frediano, «L'Idea fascista», 9 aprile 1922; I segretari dei Fasci di Cascina, Ogni promessa è debito, «L'Idea fascista», 4 giugno 1922, Gli amministratori di Cascina. Assolti, «L'Avanti!», 3 luglio 1923.

Bibliografia

R. Vanni, La Resistenza dalla Maremma alle Apuane, Pisa. Giardini, 1972, ad indicem; M. Canali, Il dissidentismo fascista: Pisa e il caso Santini, 1923-1925, Roma, Bonacci, 1983, ad indicem; P. Nello, Liberalismo. democrazia e fascismo: il caso di Pisa (1919-1925), Pisa : Giardini, 1995, ad indicem; Antifascisti nel Casellario Politico Centrale, 18 voll., Roma, 1989-1994; Ora e sempre Resistenza. Testimonianze dei protagonisti e documenti, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 1995; A. Marianelli, Eppur si muove! Movimento operaio a Pisa e provincia dall'Unità d'Italia alla dittatura, a cura di F. Bertolucci, Pisa, BFS edizioni, 2016, ad indicem.

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