BARSOTTI, Roberto Ugo
Intestazione di autorità
- Intestazione
- BARSOTTI, Roberto Ugo
Date di esistenza
- Luogo di nascita
- Cecina
- Data di nascita
- 26 marzo 1884
- Luogo di morte
- Pisa
- Data di morte
- 21 febbraio 1955
Attività e/o professione
- Qualifica
- Macchinista ferroviere
- Qualifica
- Esercente
Nazionalità
- Italiana
Biografia / Storia
Nasce a Cecina il 26 marzo 1884, da Giovanni e Poli Celeste, macchinista ferroviere poi esercente. Abbraccia gli ideali socialisti fin da giovanissimo e presumibilmente si forma sindacalmente e politicamente nell'ambiente del lavoro. I macchinisti ferrovieri da sempre sono una delle avanguardie del movimento operaio della costa tirrenica e negli anni dell'età giolittiana hanno proprio a Pisa il principale organo di rappresentanza guidato dal leggendario Augusto Castrucci. In una nota dell'aprile 1915 del Ministero dell’Interno inviata alla Prefettura di Reggio Calabria, luogo di residenza di Barsotti dove svolge la propria professione di macchinista ferroviere, si sottolinea la pericolosità del soggetto che «corrisponde attivamente con i Comitati rivoluzionari dell’Italia Centrale per l’intensificazione della stampa sovversiva». La Prefettura raccoglie la segnalazione ministeriale, apre un fascicolo e elabora il profilo politico del sovversivo Barsotti, segnalando che durante il suo precedente domicilio, a Sapri, si faceva recapitare il giornale «Il Libertario» di La Spezia e altra stampa rivoluzionaria.
In una nota successiva la stessa Prefettura ricostruisce più precisamente l’arrivo di Barsotti in Calabria: «la Prefettura di Salerno ha partecipato che il conduttore ferroviario Barsotti Roberto, in data 20 ottobre 1914, fu trasferito da Grosseto al deposito di Sapri e il 18 novembre successivo, in seguito alla sciopero ferroviario, fu trasferito da Sapri a Reggio Calabria». I vari trasferimenti di sede di lavoro (Parma, Grosseto, Sapri, Reggio Calabria, Bari) sono appunto dovuti al tentativo di scoraggiare l'attività politica di Barsotti e isolarlo rispetto agli altri lavoratori. Le informazioni della Prefettura di Pisa, nel periodo della sua permanenza in città, precedente al trasferimento a Sapri, confermano l'attività sovversiva. Secondo la missiva del Prefetto pisano, Barsotti si era già fatto notare, fin da giovanissimo, per il carattere «irascibile e violento» e per l’assidua frequentazione di ambienti sovversivi, tanto che, nel già nel 1902, è rinchiuso in «casa di correzione minorile☼. La Prefettura di Reggio Calabria, indaga sulla vita precedente al suo trasferimento in città e scopre che, durante la permanenza a Grosseto, a seguito del trasferimento da Parma, «si manifestò fervente propagandista di idee sovversive e lo definisce socialista sindacalista ed un pericoloso propagandista sindacalista antimilitarista».
Barsotti, infatti, è tra colori che partecipano e organizzano gli scioperi del giugno 1914, che animano la Settimana rossa, e per questo viene denunciato all’autorità giudiziaria, poi assolto per mancanza di prove. Nel 1917 viene di nuovo trasferito a Grosseto dove si attiva per creare momenti di agitazione tra i ferrovieri e tra i lavoratori delle Poste e Telegrafi; in particolare le forze di polizia segnalano frequenti riunioni di lavoratori presso la sua abitazione, occasioni nelle quali vengono prodotti volantini di protesta contro il governo e per rivendicare l’accesso a basso costo degli alimenti e dove si incitano i lavoratori a manifestare e a scioperare. Barsotti è quindi ritenuto «un pericolo permanente per l’ordine pubblico tanto che il Prefetto propone il trasloco immediato […] in una residenza che abbia il significato di punizione».
Da queste segnalazioni si delinea bene il profilo di un sovversivo già attivo sul proprio posto di lavoro, un organizzatore sindacale che «tentò sempre di incitare i compagni alla ribellione ad alla disubbidienza delle leggi, scagliandosi anche contro le istituzioni che ci reggono». Nel novembre del 1917 Barsotti viene trasferito, dalla compagnia delle Ferrovie, a Bari, dove subisce una condanna da parte del Tribunale Militare ad un anno di carcere militare con pena condizionale e nel 1920 viene arrestato durante una manifestazione dei lavoratori delle Ferrovie, nello stesso anno è candidato al Consiglio comunale di Pisa nella lista socialista.
Anche la Prefettura di Pisa inizia ad arricchire il suo fascicolo, in un cenno biografico del 14 ottobre 1925 Barsotti viene definito «di carattere violento e nei confronti delle autorità, nei confronti della quale mantiene un comportamento irrispettoso. Ha poca cultura avendo frequentato solamente le prime classi elementari. Trae i mezzi di sostentamento da un negozio di generi alimentari gestito dalla moglie. […] dal 1902 al 1919 si dimostrò fervente socialista rivoluzionario e poscia abbracciò la fede comunista [...] coprì la carica di segretario della sezione comunista di Pisa […] nel 1921 fu candidato politico della lista comunista».
Nel 1921 è quindi a Pisa e proprio in occasione della sua candidatura alla Camera dei deputati (dove raccoglie 996 preferenze) organizza un comizio a Cecina, sua città natale, ma l’iniziativa – secondo le carte di polizia – viene impedita dai fascisti. Nel luglio del 1921 è nominato rappresentante dei lavoratori pisani delle Ferrovie al 10° Congresso nazionale dei ferrovieri che si svolge a Bologna dal 3 al 9 luglio e negli stessi mesi è uno degli organizzatori della sezione pisana degli Arditi del popolo; in questo stesso anno è denunciato per possesso di armi. Barsotti è uno dei protagonisti, con Augusto Castrucci, dello sciopero dei ferrovieri dell'agosto del 1922, agitazione che non riesce a causa delle minacce e delle violenze fasciste contro i lavoratori; in quelle stesse giornate la sua abitazione viene devastata da una squadraccia fascista.
Nel 1923 Barsotti ,per i suoi principi politici, viene esonerato dall’impiego di ferroviere e condannato all’interdizione dai pubblici uffici per un anno. La sua attività politica continua e la bottega di generi alimentari gestita dalla moglie Elena Terrosi, che ha sposato a Pisa nel 1910, diviene presto un punto di incontro di antifascisti, tanto da non sfuggire all’attenzione degli agenti di pubblica sicurezza che più volte segnalano la frequentazione dell'esercizio da parte di noti sovversivi locali. La stessa abitazione di Barsotti è frequente oggetto di controlli e incursioni da parte della polizia che spesso segnala il ritrovamento di volantini e opuscoli di stampa sovversiva. È un irriducibile antifascista e la pubblica sicurezza, in pieno regime fascista, precisa che «malgrado l’attuale momento, con spavalderia palesa la sua fede comunista».
Gli anni successivi al licenziamento dalle ferrovie raccontano infatti di controlli e di un «attenta vigilanza» da parte degli agenti di pubblica sicurezza fino a quando, il 27 novembre 1927, Barostti è accusato di ricostituzione del PCd'I e assegnato al confino di polizia per tre anni alla Colonia di Tremiti, poi nel gennaio dell’anno successivo trasferito a Lipari. Dalle lettere inviate da Barsotti, e sequestrate dalla polizia nel periodo di confino, si percepisce «il suo persistente odio al Regime e [...] la speranza in un avvenire comunista». Barsotti prosegue senza sosta, anche nel periodo di confino, la propria attività politica, tanto che è nuovamente arrestato e sconterà alcuni mesi nelle carceri di Siracusa. Nel 1929 Barsotti rientra a Pisa e rimane «sottoposto ai vincoli dell’ammonizione […] e le sue teorie comuniste rimangono immutate».
Negli anni è privato della libertà nei classici casi di festività fasciste e in occasione delle nozze del principe Umberto. Nel 1930 Barsotti è oggetto di un fatto particolare che fa presumere la presenza di una rete clandestina in città. Il 15 aprile del 1930 è sequestrata una raccomandata proveniente dalla Francia, a firma “Gino”, indirizzata a Barsotti contenente 200 lire, spedite – si legge nella carte di pubblica sicurezza – dal Soccorso Rosso, in quanto la grafia dello scrivente è identica ad una pari lettera, sempre proveniente dalla Francia, inviata a Riccioni Eugenia di Santa Croce sull’Arno, moglie del confinato politico Riccioni Tullio e contenente la somma di lire 300. Secondo la pubblica sicurezza l’invio della somma è attribuibile a Gino Fusconi, per il soccorso rosso di Parigi, conosciuto da Barsotti durante il confino a Lipari. La questione diventa centrale in quella fase di vita del Barsotti, quella somma è una risorsa vitale per la sua famiglia tanto che è costretto a scrivere di persona alle autorità per avere la restituzione della somma, giustificando il ricevimento da un amico emigrato in Francia che doveva rendere la somma oggetto di un «doverosa e onesta restituzione».
La lettera inviata al capo del fascismo, forse più di ogni altra informazione, ci aiuta a ricostruire precisamente il profilo del personaggio: scritta in un italiano corretto ed educato, vista la figura alla quale si rivolge, non lascia trasparire alcun arretramento di fronte al regime, tanto che sostiene apertamente che il sequestro è stato un errore del funzionario che definisce addirittura «un atto di soverchio zelo che risuona ingenerosità» rispetto alla condizione di difficoltà nella quale versano lui, la moglie e i sei figli. «Fiducioso che la presente troverà benevolo accoglimento» è l’unica garbata concessione che Barsotti fa al dittatore. L’attività di sostegno del Soccorso Rosso alla famiglia di Barsotti sembra non interrompersi, il Prefetto di Pisa scrive al Ministro il 14 luglio 1930 in merito ad una successiva lettera inviata e sequestrata al Barsotti, mettendo in evidenza tutti gli espedienti utilizzati dai comunisti nell'ambito dell'attività di soccorso alle famiglie dei perseguitati politici. Scrive il Prefetto: «Dal contenuto, alquanto equivoco, appare che il Barsotti, […] si faccia qui spedire il denaro del soccorso rosso all’indirizzo di persona amica non sospettata: evidentemente a tale espediente riferiscasi la frase [riportata dallo sconosciuto mittente nella lettera (n.d.A.)] “Per quello che tu mi dici, ho già fatto tutto prima ancora che tu me lo scrivessi, e spero ne avrai già avuto il risultato”. Ne’ può esservi più dubbio che il mittente, sempre lo stesso, sia un elemento del soccorso rosso che frequentemente si sposta da una città all’altra della Francia, occultando il recapito, come è provato dalla seguente chiusa della lettera: “Sappi che per ragioni di salute ho dovuto spostare le tende».
Nel 1930 viene sequestrata una cartolina inviata da Barsotti, che spesso è definito nelle carte di P.S. «comunista fanatico e antifascista irriducibile», a Guido Picelli suo compagno di confino a Lipari. Il testo della cartolina agita le forze di pubblica sicurezza: «Caro Guido, L’anno 1930 incomincia molto bene. Belle giornate con sole e fresco. Io sono al sicuro e sto molto bene mi auguro che anche tu, Paolino e amici stiate bene. Ti abbraccio e ti bacio. Aff/mo Barsotti Roberto. “alla parte della franchigia”. Saluti a tutti. Pisa 3/1/1930».
Più che il cenno «alla parte della franchigia» che avrebbe potuto essere un messaggio in codice per i compagni ancora al confino, gli agenti di pubblica sicurezza si allarmano per l’accenno in cartolina al nome di Paolino. Le indagini, due mesi dopo, sciolgono la questione, infatti «è risultato che il nome di “Paolino”, cui si accenna nella cartolina indirizzata dal Barsotti al confinato politico Picelli Guido, deve interpretarsi per “Paolina”, che sarebbe la moglie del predetto Picelli».
Nel 1930 Barsotti è assegnato di nuovo al confino di polizia per cinque anni a Ponza, l’accusa questa volta è complicità nell’attività di Soccorso rosso e diffusione di stampa antifascista, confino poi commutato in ammonizione l’anno successivo. Nell’arco del 1931 Barsotti, secondo le informazioni di pubblica sicurezza, continua a ricevere il sussidio dal Soccorso rosso, dalla Francia e dal Belgio e, nell’aprile del 1934, è arrestato perché trovato in compagnia dell’ammonito Alfredo Marazzini. Negli anni trenta Barsotti vive in centro città, tra via Notari, via Santa Marta e via Palestro ed è ancora uno degli elementi intorno al quale si organizza la rete cospirativa degli antifascisti. Nel 1936 viene sequestrata presso la sua abitazione una copia del giornale comunista «Il Grido del popolo» che, secondo gli informatori della polizia, avrebbe dovuto consegnare a Bruno Di Prete e a Maria Bardini, anche loro, come il Barsotti in questo periodo, rivenditori di ortaggi in Piazza delle Vettovaglie. Sia Di Prete che Barsotti, vicini di casa in quanto entrambi residenti in via Notari, in questo periodo ricevono frequenti lettera dalla Francia, sempre da mittenti diversi e non identificati, con frasi di difficile identificazione, molto probabilmente si tratta di messaggi in codice. In una lettera inviata a Di Prete, da tale «Mr. Nicole» si leggono queste sospette frasi: «Avrai certamente saputo che l’estate passata sono stato a trovare B. […] e (vorrei) sapere se qualcuno conoscente viene a Parigi per la prossima Esposizione Internazionale […] conto di avere al più presto risposta nei riguardi pure della gocceta, e soprattutto cosa fai di bello» secondo il Prefetto di Pisa il «B.» citato nelle missiva è proprio Barsotti Roberto.
Queste comunicazioni allertano la Prefettura pisana che informa con puntualità il competente Ministero. Quest'ultimo investe delle indagini anche l'Ambasciata Italiana in Francia, invitandola ad indagare all’indirizzo del mittente. L'ambasciata risponde il 5 giugno 1937: «Da accertamenti eseguiti e riservate informazioni assunte è risultato che in n. 2 della Rue St. Bernard in questa capitale vi è un ambulatorio chirurgico per gli abitanti del 11 e 12 quartiere. Detto ambulatorio è amministrato dal Partito Comunista francese. Il Nicole sarebbe del tutto sconosciuto al detto indirizzo».
Lo scambio epistolare che vede coinvolto il pisano Di Prete investe l'interesse di altre prefetture del regno. Secondo la Prefettura di Genova, il «Mr. Nicole» potrebbe essere il comunista Carlo Cimini Carlo, come precisa una nota della Scuola Superiore di polizia alla quale è stato dato mandato per una perizia calligrafica. Sicuramente vi è una corrispondenza tra gli antifascisti in Francia e i punti di contatto in città, tanto che in una successiva nota della Prefettura di Pisa inviata il 21 luglio del 1937 al Ministro dell’Interno proprio in merito al controllo sulla posta ricevuta dagli antifascisti pisani conferma che «la parziale illeggibilità della riproduzione fotografica proprio della lettera inviata a Bruno Di Prete è dovuta al colore antiattinico dell’inchiostro adoperato dal mittente».
Nel 1939 Barsotti è poi intercettato durante un suo viaggio a Napoli per riprendere una delle sue figlie. Una spia che lo segue sul treno riporta, che Barsotti, parlando con casuali compagni di viaggio, si sarebbe lasciato ad affermazioni contrarie al regime, si legge nell'appunto della spia che il sovversivo avrebbe raccontato di «un triste quadro della situazione economica di Pisa, dove regnerebbe addirittura la fame. I pisani sarebbero concordi nel censurare l’assenteismo di S.E. il sottosegretario di Stato On. Buffarini-Guidi, troppo occupato in beghe politiche. I pisani – secondo il Barsotti – possono rappresentare un pericolo e che Barsotti, nella stessa conversazione prevedeva giorni gravi per l’Italia e più gravi per il regime, perché quando il potere passerà nelle mani della Autorità Militare, finiranno i bagordi e le mangerie dei signori fascisti».
Secondo gli ultimi accertamenti di pubblica sicurezza Barsotti, terminata l’attività di venditore ambulante di verdure, si sarebbe occupato presso lo stabilimento cinematografico Pisorno, a Tirrenia. Non si hanno notizie del suo impegno in politica dopo la Liberazione. Muore a Pisa il 21 febbraio 1955. (M. Bacchiet)
Fonti
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Biblioteca Franco Serantini, sez. archivio, Intervista a Roberto Barsotti, 15 settembre 2021.
Bibliografia
Antifascisti nel Casellario Politico Centrale, 18 voll., Roma, 1989-1994, ad nomen; R. Barsotti, Era Uma Vez em Pisa. A Saga de Três Gerações de Uma Família Barsotti Pisana em Três Momentos: Fascismo, Guerra e Emigração, São Paulo, Scortecci editora, 2022.