VIANI, Lorenzo
Tipologia Persona
Intestazione di autorità
- Intestazione
- VIANI, Lorenzo
Date di esistenza
- Luogo di nascita
- Viareggio
- Data di nascita
- November 1 1882
- Luogo di morte
- Ostia
Biografia / Storia
- Nasce a Viareggio (Lu) il 1° novembre 1882 da Rinaldo e Emilia Ricci, pittore e scrittore. In quella brulicante area di esperienze artistiche che nell’Italia di primo secolo avevano stabilito collegamenti con i movimenti di opposizione, sicuramente V. occupa uno spazio di grande rilievo. Lo occupa per via degli esiti della sua produzione pittorica, che oggi è valutata dalla critica d’arte tra le più interessanti manifestazioni dell’espressionismo europeo. Ma lo occupa anche per lo spessore della sua partecipazione alla lotta politica e sociale che assume il carattere di un’attiva militanza nelle formazioni dell’anarchismo e di una connessione con le organizzazioni dell’antagonismo rivoluzionario. Alla matura comprensione del valore e del significato della vicenda Viani – ma il ragionamento è estensibile a molte altre figure che condividono il suo percorso – hanno sicuramente nuociuto i riflessi della sua “conversione” al fascismo. Da questa assai sbrigativamente sono state tratte considerazioni circa la superficialità della sua precedente storia politica e anche valutazioni sulla fragilità del suo carattere. È da sottolineare che gli studi condotti in questi ultimi anni si sono liberati da questi schemi e hanno permesso di recuperare il senso vero della storia politica e umana di V., rintracciando così i sicuri elementi della sua coerenza. Una coerenza che passa attraverso drammi e tragedie che mutano destini di popoli e cambiano il volto del mondo. Del resto che, a modo suo, V. sia rimasto sempre uguale a se stesso lo aveva ben compreso Mussolini al quale l’artista viareggino ricorreva in continuazione per richiedere aiuti materiali necessari a una dignitosa sopravvivenza. Parlandone con Yvon de Begnac, il “duce”si esprimeva così: “Lorenzo Viani, fascista rimasto libertario, o libertario divenuto fascista, mi scrive spesso dal suo studio viareggino di Fossa all’Abate. Mi parla del suo Ceccardo Roccatagliata Ceccardi che mi fu presentato a Milano da Corridoni e da Marinetti, durante i mesi della battaglia per l’intervento, nel 1915. Mi parla della sua, ancora, non licenziata o avviata al congedo, Armata dei Vagèri. Mi dice che la rivoluzione deve avere come avanguardia gli artisti, non gli intellettuali, i pensatori, i filosofi. E nemmeno i tecnici che, per lui, sarebbero i traditori della materia. Difende un mondo di indubbia suggestività, ma inesistente o quasi.” La “coerenza” di Viani sta tutta in quella sua volontà di difesa del “sogno del Liberato Mondo”, ormai definitivamente ripudiato da Mussolini, che rappresenta insieme la sostanza e l’orizzonte della sua vicenda. Svolta nel segno dell’anarchia. È stato lo stesso V. a fornire la chiave per la sua comprensione, rievocando con una pagina di grande effetto l’iniziazione all’ideale libertario che decise la sua vita : “Avevo dodici anni, si aprì per caso un orizzonte nuovo nella mia vita. Sulla piazza del mio paese sentii cantare la storia di Caserio. Molto probabilmente quel canto di dolore lo portò a Viareggio Pilade Salvestrini, uno di quei ‘poeti-viandanti’ che giravano per gli assopiti borghi della Toscana per recare le notizie del ‘mondo grande’: ‘il sedici agosto / sul far della mattina / il boia aveva disposto / l’orrenda ghigliottina, / mentre Caserio dormiva ancor / e non pensava al triste orror’. È ancora V. a ricordare l’effetto di quella storia subito entrata nel martirologio della protesta: “Che un giovinetto avesse ucciso il padrone di una nazione mi fece pensare alla nostra stupidità. E dire che, quando noi vediamo i nostri padroni, ci rimpiattiamo dietro gli alberi, e, se ci vedono gli si baciano le mani. Il culto per quel ragazzo crebbe in silenzio nel mio cuore di ragazzo: guardavo la sua effigie con la venerazione di un santo . [...] E divenni anarchico.” La disgregazione economica della famiglia, provocata dal licenziamento del padre dalla tenuta dei Borbone, getta V. nella compagnia degli “arrabbiati”, dei “trascurati”, della “canaglia”. L’anarchia, un sentimento di ribellione che si unisce all’afflato di fraternità per l’umanità dolente, è l’ancoraggio che gli consente di non fare naufragio, è un fuoco di speranza: “L’anarchismo coronato di fiamme riscaldò la mia anima: [...] Io annetto molta importanza al fatto di aver in quell’anno appreso le idee anarchiche, o meglio di averne subito il fascino. Cosa sarei stato io, da 15 a 25 anni, senza l’entusiasmo della rivolta o della distruzione? Una barca senza timone a discrezione del vento. Ogni difficoltà, ogni ostacolo che si opponeva al mio cammino mi sembrò sempre una sciocchezza. Le difficoltà erano per me il superare tutte le leggi borghesi, distruggerle, rinnovarle.” Agli inizi egli anni Novanta l’anarchia ha già fatto la sua apparizione a Viareggio, che si è procurata la fama di centro di diffusione degli ideali libertari. È con questa gente, più grande di età e più ricca di esperienze, che si lega il giovanissimo V.: il professor Giuseppe Di Ciolo, originario di Pisa, valente scultore, che ha fondato una scuola di arti e mestieri e un sodalizio chiamato “In arte libertà”, il violinista e poi barbiere Narciso Fontanini – V. sarà suo garzone di bottega – e Guglielmo Morandi, che andrà a combattere con Cipriani per la libertà della Grecia. Sono loro a guidare la tumultuosa manifestazione del 1° maggio 1893 e a chiamare a Viareggio P. Gori. Il bardo dell’anarchia, vi tiene una conferenza sulla questione sociale che suscita un grande impressione e lascia duratura memoria se 15 anni più tardi uno dei presenti ricorda ancora l’emozione di essersi sentito trasportato “nelle eteree regioni dell’universo, dove solo l’amore, la perfezione, la giustizia, la libertà rifulgevano.” Gori torna più volte a Viareggio. Sappiamo per certo che vi fa un’improvvisa comparsa ai primi del marzo del 1898, la sera del passaggio del feretro di Felice Cavallotti, e in quella occasione all’adunanza intervie anche V. che ricorda l’incontro con il “poeta veggente” nelle prime pagine del Roccatagliata: Gori “quasi al buio ci disse parole lucenti di fede.” In quegli anni Viareggio è battuta da altri “predicatori della Spartana”, il già ricordato Salvestrini, Ulisse Barbieri, Giovanni Gavilli. Per ascoltarli nelle taverne e nelle osterie si riunisce la gente delle darsene e dei vicinati. La loro dimora è il Casone, un edificio semiabbandonato in via Pinciana, eletto a luogo di riunione dai più giovani affiliati all’anarchia. È al Casone, che intorno al 1900, si costiuisce il gruppo socialista-anarchico “Delenda Carthago”, del quale V. è uno dei più attivi animatori assieme a Egisto Ghilarducci, Ovidio Canova, Manlio Baccelli. La prima uscita pubblica della “Delenda” avviene in occasione della cerimonia indetta per la commemorazione di Giuseppe Verdi. È un’uscita burrascosa, in coerenza con i propositi e le attitudini dei giovani affiliati al sodalizio. Al commissario di polizia che, preoccupato per quella insolita sconosciuta denominazione, va chiedendo informazioni su chi sono i suoi componenti si fa incontro V. Quello che succede lo riferiscono le cronache del tempo: “l’amico carissimo Viani Lorenzo, un giovane pieno di fede e d’ardore rispose: ‘Io con altri ne faccio parte.’” Risposta sufficiente per essere arrestato e condotto in prigione insieme a Canova che ne aveva preso parti. Sodalizio di giovani la “Delenda”, che si muove lungo la linea malatestiana, riesce a coagulare una consistente corrente di simpatia come lo dimostra la sottoscrizione in solidarietà con i processati di Ancona inviata a «L’Agitazione» nel giugno del 1901. Tra i firmatari V., il fratello Mariano, Canova, Baccelli e un folto gruppo di viareggini dell’arcipelago dell’opposizione. È per iniziativa dei giovani della “Delenda” che la manifestazione in onore di Percy Bysshe Shelley del settembre 1903, con grande scandalo dei pensanti locali e dei “santoni” del “Marzocco”, si trasforma in una radunata del vario sovversivismo della regione apuo-tirrenica. Shelley viene celebrato da Pietro Gori come l’antesignano delle aspirazioni di radicale rigenerazione sociale e adottato come il “profeta del Liberato Mondo”. Per il numero unico stampato in quella occasione V. disegna il ritratto del poeta inglese in felice coerenza con la fascinosa immagine introdotta da Giosuè Carducci dello “spirito di titano entro virginee forme”. Tra gli intervenuti a quella manifestazione anche l’anarchico pisano Gino Del Guasta. È quindi da collocare a questo periodo l’avvio del suo sodalizio con V. che da allora stabilisce un attivo collegamento con i vivaci gruppi libertari di Pisa. Di questo rapporto è testimonianza la copertina che il giovane artista viareggino disegnava per la rivista «Precursor» redatta da V.S. Mazzoni, Del Guasta e Icinio Brahma, al secolo Mario Bachini, che poi riapparirà tra i componenti della ceccardiana “Repubblica d’Apua”. Avviandosi alla maturità V. è dunque bene inserito nel milieu protestatario-sovversivo verso il quale lo spingono le frequentazioni del pittore Plinio Nomellini, che ha preso dimora nella vicina Torre del Lago, ed è riguardato come maestro e come guida spirituale, e del poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che nella casa di Nomellini trova spesso accoglienza. Ritroviamo infatti V., insieme a Nomellini, tra i collaboratori del quotidiano «Il Popolo», fondato a a Firenze da Luigi Campolonghi, e del quale Ceccardo è redattore. È per iniziativa di questo foglio, di chiara ispirazione massonico-anticlericale, che nel febbraio del 1907 si tengono le manifestazioni per Giordano Bruno. Uno dei centri dell’agitazione è Viareggio dove adesso è attivo il gruppo anarchico “Né dio né padrone”, sorto sulle ceneri della “Delenda Carthago”. Successivamente V. viene associato da Campolonghi nella rivista «La Fionda» che prende ad uscire a Genova nel novembre 1907 e sono opera sua i disegni per le copertine che denunciano gli orrori del militarismo e le vergogne del clericalismo. Conclusa la breve esperienza de «La Fionda», V. fornisce la sua collaborazione a «La Pace» di Ezio Bartalini, dove all’inizio del 1908 appaiono le sue grottesche raffigurazioni dei pilastri del sistema borghese. Sempre a Genova prepara le illustrazioni per il libro di Fransuà Muratorio I ribelli. Di quell’anno, di grande importanza per la sua vicenda artistica, – è infatti l’anno della prima spedizione a Parigi –, è anche la sua attiva partecipazione alla mobilitazione in sostegno del grande sciopero dei contadini parmensi, che avrebbe poi rievocato come tappa cruciale della sua formazione nel romanzo Ritorno alla patria. Rientrato a Viareggio, dopo una breve permanenza nella capitale francese, riprende il suo posto nelle file del movimento libertario ed è tra i promotori delle manifestazioni in solidarietà con Ferrer e contro la venuta dello zar. Assieme al giovane repubblicano Pietro Nenni, venuto da Carrara, V. è tra gli oratori della manifestazione che la sera del 25 ottobre 1909 si tiene al Politeama di Viareggio per protestare contro l’autocrate russo. Anche questa manifestazione ha una conclusione burrascosa perché il delegato di Pubblica sicurezza non fa finire V. che sta dicendo: “ Se il popolo di Pietroburgo anziché con una voce fosse andato sotto il Palazzo d’inverno con le spade in pugno chi sa cosa ne sarebbe avvenuto dello ....” L’intervento censorio provoca una forte protesta e a distanza di pochi giorni viene indetto un altro comizio durante il quale prendono la parola Nenni, V., Zavattero e il socialista rivoluzionario di scuola apuana Luigi Salvatori. A uno sguardo retrospettivo queste agitazioni della fine 1909 segnalano l’avvenuta ripresa dell’azione dei movimenti di lotta, ma per chi le visse la loro percezione è assai diversa ed il loro esito negativo sembra dare conferma alla ineluttabilità di quel ciclo di sconfitte che è stato inaugurato dalla disastrosa conclusione dello sciopero parmense. Da questo clima di disorientamento sortiscono sbandamenti e cedimenti che punteggiano gli anni a cavallo con la fine del primo decennio, quando sembra che la “pace giolittiana” possa regnare duratura. Anche V., se dobbiamo dare credito ad un documento prefettizio, è stato contagiato dalla “crisi dell’opposizione” che sollecita ripiegamenti, fughe in avanti, vulnerabilità a suggestioni provenienti da richiami dotati di grande forza attrattiva. Al tornante dell’ottobre 1910 una nota della Pubblica sicurezza ne parla in questi termini: “Non fa attiva propaganda delle sue idee anarchiche. Rappresenta il gruppo anarchico di Viareggio nei comizi e conferenze. Non è pericoloso, e si ha motivi di ritenere che rientrerà nel socialismo, da cui anni orsono si staccò.” A meno di due anni di distanza di quelle previsioni che hanno tranquillizzato i tutori dell’ordine non è rimasta traccia. Nella sua scheda del CPC si legge alla data del maggio 1912: “Fa parte del gruppo anarchico di questa città e ne è uno dei capi influenti. È intimo dei noti correligionari Fabiani Pietro e Canova Ovidio, individui violenti e pericolosi.” A imprimere quella “correzione di rotta” ha provveduto l’effetto congiunto di due fattori collegati strettamente. Il primo, di carattere generale, è l’inasprimento della conflittualità politica e sociale per effetto della guerra di Libia. Il secondo, ed è capitolo fondamentale della storia di V., è l’incontro con Alceste De Ambris avvenuto a Parigi nel dicembre del 1911. Il dirigente sindacalista recupera V. “alla rivoluzione” e fa dell’artista viareggino uno dei bracci operativi della campagna di mobilitazione contro la “piratesca impresa” tripolina. La ripresa del movimento dell’azione diretta, che vede assumere dalle organizzazioni di Parma un ruolo di primo piano, ed avrebbe poi condotto alla formazione dell’usi, parte proprio dalla campagna d’opposizione alla spedizione in Libia alla quale V. fornisce la collaborazione della sua arte. Sono sue le tavole per l’album Alla gloria della guerra pubblicato agli inizi del 1912 che viene diffuso in tutti gli ambienti del sovversivismo. Da allora i suoi disegni prendono ad essere pubblicati dai fogli della montante opposizione. Primo fra tutti «L’Internazionale» di Parma che ospita in prima pagina un disegno di V. il 30 marzo del 1912 alla vigilia della grande manifestazione contro la guerra che raduna nella città emiliana il gotha del rivoluzionarismo italiano. Tra i partecipanti, assieme al giovane Di Vittorio, venuto dalla Puglia, anche il pittore viareggino. Le forti immagini disegnate da V. appaiono anche sul «Versilia» di Luigi Salvatori, sulla «Bandiera del Popolo» di Mirandola, sul «Lavoratore» di Busto Arsizio, su «Il Cavatore» di Carrara. È suo il disegno per il monumento voluto dall’organizzazione sindacalista per ricordare le vittime dell’eccidio di Langhirano compiuto dalle forze dell’ordine che hanno sparato alla gente che protestava contro la spedizione tripolina. La sua fama si diffonde negli ambienti della sinistra estrema, per effetto anche dell’aureola di martirio procuratagli dall’avvenuta incriminazione per il reato di vilipendio all’esercito ed alle istituzioni per le tavole dell’album antilibico. Una conferma della sua popolarità si ha a Pisa alla manifestazione contro la guerra al Politeama, quando viene acclamato alla presidenza del “grandioso comizio”. Sono questi gli anni del pieno coinvolgimento di V. nella lotta politica e sociale. A Viareggio è uno dei più attivi collaboratori di Canova che ha fatto risorgere la locale CdL indirizzandola nella linea dell’azione diretta in stretta congiunzione con l’organizzazione camerale di Carrara diretta da Alberto Meschi. Quasi a voler dare la rappresentazione simbolica di questa sua scelta di vita l’artista stabilisce il suo studio-abitazione proprio in uno stanzone della CdL viareggina, che ha come insegna uno tabellone dipinto da V. In questo periodo, che vede una forte ripresa della conflittualità sociale di tutta l’area apuo-tirrenica, non c’è agitazione alla quale non risulta presente. Quando scoppia lo sciopero dell’Altissimo, una delle più dure vertenze dei cavatori versiliesi, V. si porta a dar man forte ai dirigenti della CdL di Carrara che guidano alla vittoria quella lotta, infliggendo così uno scacco alle organizzazioni riformiste che perdono consensi e posizioni. È poi la volta dei renaioli di Viareggio ad entrare in sciopero e troviamo V. che parla assieme a Meschi al comizio di solidarietà. Seguono i muratori ed ancora troviamo V. con Meschi, Bachini Salvatori e Mazzoni a dirigere la mobilitazione che si conclude con un clamoroso successo. Dopo i muratori tocca ai tranvieri ad entrare in sciopero. A scoraggiare i crumiri provvede V. che dipinge in forme caricaturali le loro sembianze su grandi cartelloni che vengono esposti nei luoghi più frequentati di Viareggio. È significativo, a conferma di questo ruolo svolto da V., che Tullio Masotti, segretario generale dell’usi, illustrando lo sviluppo della CdL di Viareggio, riconosce esplicitamente l’apporto fornito dall’“amico Viani […] il pittore reprobo che disprezza nella stessa guisa l’oro e la celebrità ufficiale, per assistere con Canova all’organizzazione del proletariato, e per conservare alla sua arte l’impronta schietta della genialità.” Di questo periodo è la dichiarazione di V.S. Mazzoni che indica alle formazioni anarchiche della Versilia V. come uno degli oratori che è in grado di sostituirlo degnamente. In quella veste l’artista viareggino, a nome dei gruppi libertari della Versilia, presenta E. Malatesta che parla a Viareggio sui compiti degli anarchici nelle organizzazioni. Ruolo che ripete pochi giorni a Pietrasanta, procurandosi per il suo intervento un’ennesima denuncia per eccitamento all’odio fra le classi e apologia di reato. V. è dunque uno dei protagonisti di quel mutamento di clima politico e sociale che chiude il “tempo giolittiano” ed apre una fase in cui sembra vicino e possibile lo schianto delle strutture portanti del sistema borghese. Questa eccitante sensazione V. la coglie nella grande mobilitazione dei lavoratori apuani contro la serrata dei “baroni del marmo” e ne da testimonianza nell’articolo che da Carrara invia a «L’Internazionale»: “Una grande verità si è palesata in questi giorni ai più semplici: l’inutilità dei parassiti e neghittosi, la possibilità di potere vivere senza questa genia”. Che la rivoluzione fosse vicina V. lo “sentiva” e lo scriveva in occasione del 1° Maggio 1914 : “Sentiamo rinascere in noi la speranza di una rivoluzione catastrofica che ridia, colla terribilità di una vittoria o col terrore di un disastro, la gioia del trionfo o l’amarezza della sconfitta. Solo nel tedio della schiavitù tremenda si temprano le anime degli eroi, solo nell’illusione del trionfo si rinnova la vita. Questa epoca di vili e di rinnegati noi la odiamo, all’equilibrio di Lantier preferiamo Souvarine: la terra lavata dal sangue purificata da l’incendio.” Sta tutta dentro questa febbrile sensazione di Fine e di Inizio, per cui ogni evento viene assunto come come conferma di questo schema, la “svolta interventista” di V. Sull’artista viareggino agisce anche la forte suggestione della tesi di De Ambris della guerra come “tragica necessità”: una sorta di sacrificio che crea le condizioni per assegnare al popolo lavoratore la guida morale della nazione rigenerata e liberata dalla caste feudali e parassitarie. E interviene poi un altro elemento, non sempre adeguatamente valutato: la “sindrome tedesca”, ben presente e molto attiva nell’area del sovversivismo italiano tanto che anche i più inveterati pacifisti non sono immuni dalla paura della prospettiva di un mondo comandato dai “teutoni dai freddi occhi celesti.” La “svolta interventista” non interrompe i legami di V. con gli esponenti del sovversivismo neutralista. Ne fanno fede la sua presenza sul «Versilia» di Salvatori, dove l’artista viareggino espone le ragioni della scelta per la guerra, e la sua collaborazione con Meschi che ancora nel settembre del 1919 si rivolge a V. per un disegno a sostegno della lotta dei cavatori apuani. Nell’agitato dopoguerra, dopo aver oscillato fra varie posizioni estreme, avvicinandosi anche ai socialisti, V., tramite De Ambris, entra nell’orbita dannunziana e guarda alla “sfinge di Gardone” (la definizione è di Malatesta) come risolutore della crisi italiana. In questo senso va letto il numero unico dedicato a Shelley che l’artista prepara nell’agosto del 1922. È nello sbandamento e nel disorientamento che seguono alla “marcia su Roma” che V. viene “catturato” da Franco Ciarlantini, fascista con un’onorata carriera sovversiva sulle spalle, che ha il compito di reclutare proseliti tra gli artisti e gli intellettuali. A V. viene garantita la protezione materiale della quale ha stringente necessità e gli si vengono aperte le porte alla collaborazione a giornali e riviste. Nel 1927, quando a Viareggio si deve inaugurare il Monumento ai Caduti, realizzato insieme a Domenico Rambelli, a V. viene chiesto una sorta di “auto da fé”, che è pubblicato sul giornale «Il Popolo Toscano»: una inattendibile ricostruzione della sua storia sovversiva che intende realizzata compiutamente nel fascismo. Non per tanto viene meno l’ostilità dei fascisti locali, che non tollerano la sua pretesa di occupare un ruolo di preminenza e sono infastiditi dai suoi atteggiamenti irriverenti verso i notabili cittadini. L’occasione per dargli una lezione si presenta sul finire del 1932, quando V. viene accusato di aver promosso una campagna di diffamazione contro il podestà Salviati. Allora, per curarsi dalla terribile asma che lo tormenta, ma soprattutto per sfuggire all’annunciata aggressione l’artista si rifugia nella casa di cura di Nozzano. Qui rimane per mesi che dedica a ritrarre gli infelici ospiti del vicino manicomio. Le opere del “ciclo di Nozzano”, sconvolgenti immagini di disperazione e di dolore, vengono esposte a Viareggio nell’estate del 1933, confermando la irrecuperabile distanza dell’artista dal clima dell’epoca che celebra la vigoria e la bellezza fisica dell’“uomo nuovo” plasmato dal regime. Il 2 novembre 1936 Viani muore a Ostia, dove sta lavorando a una serie di affreschi per il Collegio iv novembre. Quattro anni più tardi, con la motivazione di ricavarne bronzo per la patria in armi i fascisti viareggini progettano di distruggere il Monumento ai Caduti perché vi vedono l’esaltazione di “un sovversivo posseduto dalle idee di un comunismo incendiario” . La demolizione viene impedita da “superiori disposizioni” giunte all’ultimo momento da Roma. (U. Sereni)
Fonti
- Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomem; Centro documentario storico di Viareggio, Cartella documenti e autografi Viani.
Bibliografia: Scritti di V. (sono inseriti solo i testi più notevoli e sono omessi gli articoli dei giornali): Ceccardo, Milano 1922; Ubriachi, Milano 1923; Giovanin senza paura, Milano 1923; Parigi, Milano 1925; I Vageri, Milano 1927; Roccatagliata, Roma 1928; Angiò, uomo d’acqua, Milano 1926; Ritorno alla patria, Milano 1929; Il figlio del pastore, Milano 1930; Versilia, Firenze 1931; Il Bava, Firenze, 1932; Storie di umili titani, Roma 1934; Le chiavi del pozzo, Firenze, 1935; Poesie inedite, Asti 1938; Barba e capelli, Firenze 1939; Il cipresso e la vite, Firenze 1943; Il nano e la statua nera, Firenze 1943; Gente di Versilia, Firenze 1946; La polla nel pantano, Roma 1955; Mare grosso, Firenze 1955.
Scritti su V.: G. Nerini, Lorenzo Viani nella vita e nell’arte, Milano 1938; Krimer, Affresco per Lorenzo Viani, Sarzana 1960; I. Cardellini Signorini, Lorenzo Viani, Firenze 1978; R. Bertolucci, Lorenzo Viani, parola come colore, Firenze 1980; U. Sereni, Lorenzo Viani tra d’Annunzio e Mussolini: la progettata distruzione del Monumento ai Caduti di Viareggio, «La Rassegna Lucchese», aut. 1981-inv. 1982; P. Pacini, Viani 1912: alla gloria della guerra!, Milano 1984; V. Corti, Lorenzo Viani scrittore e altri saggi, Roma 1991; Lorenzo Viani al Lyceum ottant’anni dopo 1914-1994. Opere 1902-1918, testi di E. Dei e C. Giorgetti, Firenze 1994; Lorenzo Viani volto e psiche, testi di P. Pacini … [et al.], Firenze 1994; E. Rotelli, La forma della giovinezza. Lorenzo Viani e il Duce, Milano 1996; U. Sereni, Per la storia di un artista militante, in Lorenzo Viani. Il segno caricato tra satira e provocazione, Capezzano Pianore 1996, L. Gestri, L’infanzia dell’Eroe: Viani e il territorio apuo-versiliese tra la fine dell’800 e la Grande Guerra, «Rivista storica dell’anarchismo», lug.-dic. 1996; Caro Lorenzo. Lettere a Lorenzo Viani, a cura di P. Fornaciari, Viareggio 1998; U. Sereni, Al fratello di pene avvolto. Lettere di Lorenzo Viani a Gabriele d’Annunzio, ivi; Id., Per la storia di un uomo di pena: i giorni di Nozzano, in Ai confini della mente: La follia nell’opera di Lorenzo Viani, (a c. di G. Bruno, E. Dei) Pontedera 2001; Dizionario del Futurismo italiano, a c. di E. Godoli, Firenze 2002, ad nomen.
Codice identificativo dell'istituzione responsabile
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Note
- Paternità e maternità: Rinaldo e Emilia Ricci
Bibliografia
- 2004