VANNI, Adriano

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
VANNI, Adriano

Date di esistenza

Luogo di nascita
Jundiai
Data di nascita
January 24 1900
Luogo di morte
Piombino

Biografia / Storia

Nasce a Jundiai (Brasile) il 24 gennaio 1900 da Pasquale e Angela Sardi, operaio. Risiede a Piombino con i genitori e la sorella Maria e aderisce giovanissimo al movimento anarchico. Chiamato alle armi dopo Caporetto e mandato in Lombardia, saluta i familiari dalle pagine de «Il Martello» di Piombino, nel maggio 1918, insieme a Dino Buonriposi e ad altri sovversivi. Qualche settimana più tardi diserta e il 5 luglio viene condannato a sette anni di carcere dal Tribunale di guerra di Alessandria. Rilasciato in virtù dell’amnistia del 2 settembre 1919, fa ritorno a Piombino, dove aderisce al gruppo libertario “La Comune” ed è uno dei protagonisti dell’insurrezione anarchica dell’estate del 1920. La mattina del 26 giugno un certo numero di militanti libertari, guidati da V. e da Angelo Rossi, attaccano la caserma dei carabinieri, in piazza Umberto: “Molti operai – dichiarerà un testimone - non sapevano maneggiare i fucili e Rossi Angelo insegnava a caricare e sparare mentre il Vanni porgeva i caricatori”. Nella battaglia i manifestanti fanno uso di bombe, i carabinieri sparano con i fucili e persino con una mitragliatrice, tre civili (due dei quali anarchici) perdono la vita e altri 35 vengono feriti. 18 componenti delle forze dell’ordine sono feriti (tre in modo grave) e molti negozi vengono svaligiati dalla folla. Qualche ora dopo V. parla a Campiglia, “sostenendo che l’insurrezione piombinese avrebbe avuto un risultato di vittoria anche soltanto dimostrando ai ladroni della terra e del commercio, quanto sia fragile il cerchio nero che essi si sono illusi di aver creato intorno a Piombino”. Arrestato nella serata, V. è chiamato a rispondere nella primavera del 1922 di una serie di reati gravissimi (eccitamento alla guerra civile, lancio di bombe, ecc.), davanti alla Corte d’Assise di Pisa, insieme a Angelo Rossi, Oliade Bartolucci, Settimo Montauti, Egidio Fossi, Cesare Salvadori, Adelio Cantini, Selico Carlotti, Leonetto Bardi, Giuseppe Maggini, Secondo Filippelli, Rubino Bonucci e Ilio Iacopini. Tutti gli imputati sono rinchiusi in una gabbia, a eccezione di Carlotti, tenuto lontano dagli ex compagni, perché si è trasformato in loro accusatore. Condannato il 14 giugno a 12 anni, 6 mesi e 6 giorni di reclusione e a 2 anni di vigilanza speciale, V. grida alla lettura del verdetto: “Viva l’anarchia, abbasso la giustizia borghese!” Detenuto a Portolongone e in altri penitenziari, viene rimesso in libertà il 2 ottobre 1925, grazie a un’amnistia, ma la Procura generale di Firenze impugna il provvedimento e la Corte di Cassazione sentenzia il 20 gennaio 1926 che l’anarchico non aveva i titoli per beneficiare del condono. Colpito da un nuovo mandato di cattura il 29 gennaio, V. entra clandestinamente in Francia e resta a Parigi per quattro mesi. Iscritto nel «Bollettino delle ricerche» e nella “Rubrica di frontiera” per la misura di arresto, si stabilisce successivamente nella città belga di Montigny-sur-Sambre, dove è aiutato da Agostino Gazzei, un anarchico originario di Monterotondo Marittimo, e dove svolge, nell’estate del 1927, una “attiva propaganda sovversiva”. Il 3 novembre è segnalato a Grenoble e il 19 giugno 1929 abita a Charleroi, dove è considerato uno dei “fuorusciti” più pericolosi, “dato che la sua attività va dalla propaganda sovversiva più aperta alle continue minacce verso i connazionali, che si dimostrano di sentimenti patriottici”. Espulso dal Belgio il 5 settembre, passa nel Lussemburgo, dove risiede a Esch–sur–Alzette fino al giugno del 1930, quando viene cacciato dal Granducato e rientra in Francia, stabilendosi a Lyon. Qui prende parte alle riunioni del Circolo Sacco e Vanzetti e collabora al giornale anarchico «Insorgiamo!», insieme a Gusmano Mariani e ad altri compagni di fede. Indicato, l’8 settembre 1931, “come individuo di vivace intelligenza, di carattere violento, autoritario, capace di azioni delittuose…”, è ritenuto l’autore degli articoli Stato e libertà e Sport, apparsi, a firma Walter, nel primo numero di «Insorgiamo!». Nella città della seta V. frequenta Alfredo Bonsignori, un comunista dissidente del gruppo “operaista”, da lui conosciuto a Portolongone, dove entrambi scontavano una condanna di natura politica. Una relazione – non priva di errori – di una spia fascista segnala che V. insieme a Bonsignori, ed altri quattro o cinque sovversivi che si riuniscono al Café Dauphine, di sovente partono in comitiva alla caccia dei fascisti. Il 1° novembre, infatti, V. viene fermato, con l’accusa di aver aggredito il 16 e il 28 ottobre, insieme ad altri amici, dei fascisti italiani, che esibivano la “cimice” e partecipavano alle celebrazioni del nono anniversario della marcia su Roma. Nelle settimane successive V. diffonde a Lyon il giornale «Lotta anarchica» di Parigi e alla fine dell’anno lascia la regione del Rodano, per trasferirsi a Marsiglia. Qui viene colpito da un decreto di espulsione nella primavera del 1932, che lo costringe a spostarsi in Corsica, dove prende la decisione di rimpatriare. Così, la sera del 29 novembre , giunge a Livorno con il postale Cap Corse, ma, appena messo piede a terra, viene arrestato e portato in carcere, perché deve espiare il residuo della pena, inflittagli dalla Corte d’assise di Pisa nel 1922. Rilasciato nel febbraio del 1933 (grazie all’amnistia del “decennale”), torna a Piombino, dove conduce una vita difficile, a causa della disoccupazione e delle “attenzioni”, che gli riservano i fascisti del posto. Incluso nella prima categoria dei nemici del regime, gli attentatori, è assiduamente sorvegliato fino al settembre del 1939, quando viene inserito nella lista delle persone pericolose, che “debbono essere inviate al confino nell’eventualità di una guerra”. L’11 giugno 1940 – ventiquattro ore dopo il discorso di Mussolini a piazza Venezia – viene fermato “quale elemento capace di svolgere attività disfattista e comunque non consentita, ed internato nel campo di concentramento di Manfredonia”. Il 10 novembre 1940 è tradotto a Pisticci in provincia di Matera, dove rimane fino al mese di settembre del 1943. Nel dopoguerra partecipa ai congressi e ai convegni anarchici e lavora – con Egidio Fossi, Lorenzo Anselmi e Dario Franci – alla rinascita del movimento libertario a Piombino, nell’isola d’Elba e nella Maremma. Il 1° maggio 1946 interviene a Monterotondo Marittimo, alla cerimonia di ricollocazione delle lapidi di Ferrer, Giordano Bruno e Cavallotti, abbattute, vent’anni prima, dai fascisti, e parla agli astanti, insieme a Riccardo Sacconi. Occupato negli alti forni di Piombino, è “in prima linea, fino all’ultimo, nelle lotte operaie, affermando con l’esempio” che l’avversione degli anarchici “ai sistemi bolscevichi non deve” far perdere “di vista la necessità di tener fronte all’egoismo dei capitalisti, che sono naturalmente protesi al massimo sfruttamento della classe lavoratrice”. In luglio denuncia, sul foglio «9 luglio» di Piombino, numero unico della Federazione anarchica elbano-maremmana, gli squadristi, che hanno assassinato il 9 luglio 1922, a Campo alle Fave, i compagni Landi e Lucarelli, poi, nella primavera del 1953, dissente apertamente dalle scelte di alcuni compagni, che, in polemica con la CGIL, si sono rifiutati di unirsi ai lavoratori della Magona, impegnati in un drammatico sciopero, e li invita, a nome degli anarchici piombinesi, “a prendere parte attiva a tutte le lotte operaie in corso” e a portare, “ovunque, la loro parola di consenso o di dissenso a seconda dei casi”, scindendo la responsabilità della Federazione anarchica “dall’operato di coloro che si ostinassero a persistere in un atteggiamento… incoerente e negativo ai fini della divulgazione della ideologia anarchica”. Quest’uomo generoso (“maturato nella più cruda sofferenza – come si legge in un rapporto dei carabinieri del 2 luglio 1946 – ed affascinato dal suo credo politico”) muore a Piombino il 6 giugno 1954. (F. Bucci – G. Piermaria – A. Tozzi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, S.13, b.2; ivi, S13A, b.7, fasc. 39; ivi, S13A bis, b.1; La requisitoria del procuratore generale del re in Lucca pei moti del 26 giugno a Piombino, «Il Giornale del Tirreno», 23 lug. 1921; I moti di Piombino alle assise di Pisa, «Il Comunista», 9 giu. 1922; A. Failla, La morte di Adriano Vanni, «Umanità nova», 18 lug. 1954; R. Sacconi, Ricordando Adriano Vanni, «Seme anarchico», set. 1954;
Bibliografia: Un trentennio di attività anarchica. 1914-1945, Cesena 1953, p. 31; P. Bianconi, Il movimento anarchico a Piombino, Firenze 1970, pp. 81, 96, 103, 105, ecc.; Pericolosi nelle contingenze belliche : gli internati dal 1940 al 1943, a cura di S. Carolini, Roma 1987, p. 290; P. Bianconi, L’insurrezione anarchica del 1920 a Piombino, [s.l., s.d.]; G. Sacchetti, Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del Ministero dell’Interno. Schedatura e controllo poliziesco nell’Italia del Novecento, Ragusa, 2002, ad indicem.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Pasquale e Angela Sardi

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

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