​TANINI, Alighiero

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​TANINI, Alighiero

Date di esistenza

Luogo di nascita
Las Mercedes
Data di nascita
March 10 1889
Luogo di morte
Torino

Biografia / Storia

Nasce nel quartiere Les Mercedes di Asunción (Paraguay) il 10 marzo 1889 da Giulio e Adele Burgetti, giornalista. Venuto in Italia, aderisce al movimento anarchico nel 1906, seguendo l’esempio del padre, professore di fisica e chimica, umanista libertario, poliglotta e pubblicista. Tre anni dopo, il primo maggio 1909, T. ricorda, in un comizio, che l’umanità è divisa fra i difensori della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza e i paladini della schiavitù, della miseria e delle catene. Nel 1910 difende gli armeni dai “corrotti” governanti turchi, che li massacrano e li costringono forzatamente a convertirsi all’islamismo, e nel 1911 collabora, da Genova e da Losanna, a «Il Libertario», al quale invia, nel 1912, alcuni articoli su Ettor e Giovannitti e su Burtzeff. L’anno seguente intensifica, da Losanna, la sua collaborazione al giornale di Binazzi, che spesso pubblica in prima pagina i suoi “pezzi”, come accade a La follia collettiva (30 gen. 1913), in cui T. simpatizza per il “militarismo borghese balcanico”, “ma portavoce cosciente, diremmo quasi barbaramente rivoluzionario di interessi umani non trascurabili, anzi addirittura impellenti”, a La politica dell’Italia nell’attuale momento storico (6 feb. 1913), dove giudica la politica estera di Giolitti “reazionaria e austriacante”, nonché “subdola e traditrice”, ad Abbasso la ghigliottina (13 feb. 1913), nel quale leva la protesta, “in nome dell’umanità”, contro le condanne a morte, che la Francia sta per infliggere a Raymond Callemin e ad altri membri della banda Bonnot, a La rivoluzione chinese. Nel primo anniversario della sua proclamazione (6 mar. 1913), dove tratteggia le figure contrapposte di Yuan Shih-kai e di Sun Yat-sen, e a Nel tricentenario dei Romanoff (18 mar 1913), dove sottolinea che il feroce Nicola ii ha sostituito il capestro ai lavori forzati per molti reati. Riferendosi ai complici tragici di Bonnot, difesi apertamente da «L’Avvenire anarchico» di Pisa, T. osserva che è bastato “che un gruppo di banditi sedicenti anarchici, perché loro faceva comodo chiamarsi così per coprire i loro crimini sotto la bandiera bella e purissima di un ideale filosofico e umanitario che conta a legione i martiri e gli eroi, che conta nel suo seno scienziati e dotti universalmente ammirati per le loro opere benefiche e sublimi in pro dell’umanità sofferente […], mettessero in opera gli insegnamenti tenebrosi della borghesia moderna […], perché come una iena inferocita la borghesia saltasse su come un sol uomo ad affermare violentemente, con dei crimini impuniti, il suo diritto a godere in pace il frutto delle sue ladrerie ignobili compiute a man bassa per generazioni e generazioni”. Ma più grave ancora è per T. la “perfida manovra della stampa borghese” di usare il processo contro i “banditi parigini” per far cadere “addosso ai militi di ideali politici rivoluzionari, non solo, ma a tutta una filosofia della storia nuova e giusta, le colpe dele gesta compiute con allegra baldanza da un gruppo di individui anormali”. L’anno seguente T. abita a Genova insieme a un’esule russa, la “nota terrorista e propagandista” Eugenia Adassonsky, sedicente Tomanoff, giunta con lui da Losanna, fa parte di un Comitato in favore dei profughi russi e quotidianamente, insieme alla sua compagna, incontra a Nervi – secondo la polizia – “i terroristi russi Mandelberg, Salmanoff e Stolkind”. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, T. prende posizione (La guerra dei titani, 20 ago. 1914) su «Il Libertario» contro le “tribù militariste”, che hanno aggredito le “nazioni pacifiste e democratiche”, contro la “protervia teutonica dei nuovi barbari” e contro “il sozzo imperatore autocratico che per il suo sogno di egemonia militarista sul mondo non si è arretrato nemmeno dinanzi alla spaventevole visione di sangue e di morte che dagli Urali al Mediterraneo copre il mondo esterefatto e inorridito”. È l’inizio di un percorso che porterà T. fra gli interventisti, non senza che, però, abbia condannato, nel tortuoso itinerario, la “gazzarra guerrafondaia”, difeso il diritto alla “vigliaccheria”, rifiutato di spingere il popolo italiano sui campi di battaglia (Il nostro pensiero pacifista, 22 ott. 1914), sia pure affermando che essere pacifisti non significa “essere complici dei barbari che devastano i campi opimi del Belgio e della Francia e commettono atrocità incredibili da far impallidire le gesta di Tamerlano e Gengiskan…”, denunciando (Imperialismo italico, 13 nov. 1914) che la borghesia italiana è intenta a preparare “la sua guerra con una furbizia che sarà un capolavoro della storia diplomatica di questi ultimi tempi tenebrosi” e invitando il proletariato a “prepararsi non alla guerra imperialistica, voluta anche da quei miopi e dissennati traditori del divenire soialista, ma alla guerra di classe, l’unica degna di essere veramente combattuta in nome dei diritti dell’uomo conculcati e traditi da secoli”. Traduttore di Lev Tolstoj e del premio Nobel belga Maurice Maeterlinck, T. depreca, nel 1923, il “tradimento della vittoria”, ottenuta al fronte dal “diritto martirizzato” sui “barbari ariani”, e rende omaggio a Nazario Sauro, ai “poveri morti” e ai “principii morali che li avevano guidati al supremo olocausto in nome di un Ideale che stava in cima ai loro pensieri prima che la mitraglia, i pugnali e i gas asfissianti del germano anticristo spengessero per sempre nelle loro esistenze la superba visione redentrice che aveva resa santa come una crociata la guerra delle Nazioni”. Sconfitti gli imperi centrali, a Versailles – continua l’articolo – è stato tradito il programma dell’Intesa”, che prometteva di dare la pace al mondo, di liberarlo dalla “servitù della guerra” e dalla “minaccia dell’oppressione reazionaria e junkerista teutonica”, di salvare “l’onore e l’esistenza della patria” e di richiamare “dai loro sepolcri popoli che vi erano sigillati da secoli” e il globo è stato consegnato a cinque potenti nazioni, due sole delle quali comandano e spadroneggiano e le altre tre obbediscono servilmente. Il popolo russo – denuncia T. – è vittima della fame, della peste e del cannibalismo, perché il bolscevismo “faceva e fa ancora comodo” all’Europa, e l’Italia è stata defraudata dei frutti della “decisiva vittoria militare”, con la quale aveva salvato l’Intesa dalla catastrofe. Avversario della rivoluzione d’ottobre e dei comunisti, T. recensisce un libro di Dimitri Merechkovsy, Hippius e Filosofoff, che fornisce delle “terribili rivelazioni sul Paradiso terrestre di Lenin” e fa fremere di sdegno e pietà dinanzi agli infiniti dolori e patimenti inflitti al popolo russo: “Dopo la fame, il freddo, i chinesi e le tremende commissioni strapordinarie poliziesche appare il tipo esantematico. A tutto questo si aggiungano: massacri di intere popolazioni, le decimazioni implacabili di intere generazioni! E poi il disastro terrificante della fame voluto e preparato coscientemente dai bolsceviki. Circa 40 milioni di esseri abbandonati in pieno terribile inverno, morenti di fame. I bambini abbandonati a migliaia dalle loro madri, folli di dolore, non più donne, ma cadaveri viventi…” Poi T. polemizza con coloro, che difendono l’U.R.S.S.: “Questo breve e tremendo quadro dantesco, assolutamente autentico e veritiero della Russia bolscevika, io offro ai lettori di tutti i partiti e di questo giornale. Io chieggo alla loro onestà di uomini e di italiani: che cosa di socialistico, di umanitario racchiude il bolscevismo russo, perché i socialisti italiani se ne facciano i paladini e gli strenui difensori? Sono essi in buona fede per ignoranza o mentiscono spudoratamente sapendo bene che se potessero i comunisti farebbero lo stesso in Italia? È stata pubblicata in dicembre sull’«Epoca» la statistica dei fucilati dall’inizio della rivoluzione russa. La statistica comprende: 28 vescovi, 1245 preti, 6576 professori d’Università e di scuole medie, 5800 medici, 54650 ufficiali, 10500 ufficiali di gendarmeria, 260000 soldati, 48000 agenti di polizia, 12950 latifondisti, 355250 professionisti liberi, 192000 artigiani e 815000 contadini…” T. muore a Torino il 9 novembre 1923. (F. Bucci, C. Gregori, A. Tozzi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio privato Giulio, Alighiero e Dickens Tanini.

Bibliografia: A. Luparini, Anarchici di Mussolini. Dalla sinistra al fascismo dalla rivoluzione al revisionismo, Montespertoli 2001, pp.31-32.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Giulio e Adele Burgetti

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

città