​TADDEI, Ezio

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​TADDEI, Ezio

Date di esistenza

Luogo di nascita
Livorno
Data di nascita
October 2 1895
Luogo di morte
Roma

Biografia / Storia

Nasce a Livorno il 2 ottobre 1895 da Ubaldo e Eufemia Lomi, cameriere. Rimasto orfano della mamma a cinque anni, segue il padre a Roma nel 1903 e a dodici anni viene fermato una prima volta nella capitale, durante uno sciopero generale. Nel 1913, dopo la rottura dei rapporti con il padre, va a Milano, poi è a Livorno, dove aderisce a un gruppo anarchico e frequenta – secondo le fonti di polizia – “elementi sospetti” e militanti libertari. Vive poveramente, facendo i più svariati mestieri e continua a condurre un’esistenza girovaga, che lo porta a Genova, a Firenze, a Milano e di nuovo capoluogo ligure, dove si ferma per un anno.

Chiamato alle armi nel 1916 e mandato a combattere sul Monte Nero, viene ferito a un braccio da una scheggia di granata, mentre sta riportando nelle trincee italiane un commilitone moribondo. Inviato in convalescenza per un mese, riceve una medaglia per il suo gesto di coraggio, ma il 19 maggio 1918 non si ripresenta al reggimento e viene arrestato a Savona e chiuso nel carcere di S. Elmo, dove conosce il militante libertario pisano Braschi, collaboratore de «L’Avvenire anarchico», e Ferruccio Scarselli, un anarchico di Certaldo, condannato, nel 1917, a 27 anni di reclusione per diserzione e “tradimento”. È, quello con Scarselli, un incontro assai importante per T. Rispettato e benvoluto dai compagni di carcere, Scarselli non solo diventa amico di T., ma dà un contributo decisivo alla sua formazione: “Quando uscii dalle sue mani e tornai ad essere libero, avevo acquistato una discreta conoscenza dei problemi politici e sociali del mio tempo e mi ero formato un carattere che mi portò lontano”.

Il 25 marzo 1919 T. viene condannato dal Tribunale militare di Napoli a due anni di reclusione per furto (forse gli indumenti militari, che aveva quando era andato in convalescenza), ma beneficia dell’amnistia nittiana (2 set. 1919) e viene rilasciato. In seguito è ospite per pochi giorni di Ferruccio Scarselli e dei suoi fratelli a Certaldo, dove per la prima volta si inserisce in una vera famiglia. Lasciata Certaldo, torna ancora una volta a Genova, dove, al principio del 1921, è legato a un gruppo di anarchici e sovversivi, che compiono, il 23 marzo, un attentato dimostrativo per protesta contro l’ingiusta detenzione di E. Malatesta, A. Borghi e altri compagni di fede. Il 24 marzo T. viene arrestato per associazione a delinquere e attentati terroristici, insieme a Gino Piastra, Melchiorre Vanni (che combatterà nelle Brigate internazionali), Angelo Porcu, Ettore e Angelo Brusaioli, Carlo Settimio Camisotti, Ferruccio Cucini e ad altre 23 persone e il 16 febbraio 1922 è condannato dalla Corte d’assise di Genova a otto anni di reclusione e a un anno di vigilanza speciale, mentre quasi tutti gli altri imputati sono assolti. 30 anni dopo, nella prefazione all’arringa pronunciata davanti ai giudici di Genova da uno dei difensori degli imputati, l’avv. Ezio Bartalini, gli anarchici scriveranno: Ezio Taddei, il solo vero condannato in quel processo, narra a pag. 40 e seg. del suo libro “La fabbrica parla” quell’episodio drammatico con uno stile semplice e pur nervoso, dove rifulge la “immaginosa” figura del Malatesta, non meno che la bramosia dei giovani anarchici di agire per liberarlo. E stupisce com’egli, scontata la grave pena cui fu condannato per quell’agire, abbandonasse il nostro Movimento per aderire al PCI. Stupisce in quanto che il Taddei, in quel che scrive, si addimostra anarchico per temperamento ed insofferente di disciplina”. Prima della sentenza di Genova, T. si è visto infliggere, il 14 novembre 1921, dalla Corte d’appello di Lucca tre anni di carcere e un anno di vigilanza speciale per un reato comune, ai quali si aggiungeranno, il 22 aprile 1922, tre anni di reclusione, comminatigli dalla Corte di appello di Napoli sempre per un reato comune.

Il 10 aprile 1923 T. viene condannato a 5 mesi di carcere dalla Corte d’assise di Genova per incitamento all’odio di classe e alla disobbedienza alle leggi, il 28 settembre a 5 anni e sei mesi di reclusione e 3 anni di vigilanza dalla Corte di appello di Firenze per un reato comune e il 28 ottobre a 3 anni di carcere dal Tribunale militare di Firenze per duplice diserzione. Detenuto prima a Pozzuoli, poi Portolongone, a Santo Stefano, a Turi di Bari e in altri istituti di pena, è, nel reclusorio di Finalborgo, fra gli organizzatori di una protesta collettiva contro il divieto di lettura, insieme a Giuseppe Boldrini, uno degli anarchici condannati per la strage del Diana, e nelle varie prigioni, in cui sconta la pena, incontra i compagni di fede Giuseppe Mariani e Gino Lucetti, i comunisti Antonio Gramsci e Umberto Terracini e molti altri antifascisti. Uscito dal carcere nel 1930, tenta di espatriare clandestinamente in barca da Livorno, ma viene fermato in alto mare e condannato dalla Corte di assise di Firenze, il 31 ottobre 1930, a 3 anni e 3 mesi di carcere e a 20000 lire di multa.

L’11 giugno 1931 subisce dal Tribunale di Livorno una condanna a 7 mesi e mezzo di reclusione per incitamento alla disobbedienza e istigazione all’odio fra le classi sociali e il 22 marzo 1933 partecipa, insieme ad alcune migliaia di persone, - secondo quello che racconterà molti anni dopo – ai funerali del comunista livornese Mario Camici, ai quali fanno seguito, nella medesima nottata, alcuni attentati contro le sedi del fascio e della MVSN di Livorno, ad opera di un gruppo di anarchici e comunisti.

Il 29 aprile 1933 T. si vede infliggere dalla Corte di appello di Genova un anno di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale e viene rinchiuso nel carcere di Castelfranco Emilia, dove rimane fino al 22 luglio 1935. Rilasciato, rientra a Livorno, dove gli viene negato qualunque lavoro e viene arrestato dopo pochi giorni per essere confinato. La difficile situazione lo spinge a rivolgersi di nuovo a Mussolini, al quale scrive: “Eccellenza, nell’anno 1930 ebbi a scrivere un memoriale all’Ecc. V. Memoriale che da quanto potei capire fu benevolmente e con equità preso in considerazione. Narravo in esso come io, ex detenuto politico, dopo aver scontata una pena di nove anni, venuto a Livorno fui mio malgrado messo a lavorare, per ordine del Questore, in un posto che ritenevo troppo delicato e pericoloso dato il momento; difatti qualche giorno dopo l’Ecc. V. veniva a Livorno e io malgrado che fossi appena uscito dal carcere fui lasciato in quel luogo; ed ebbi per l’occasione l’incarico di portare sul treno presidenziale il latte e il ghiaccio ordinato la sera prima a mezzo di telegramma. Dopo la venuta dell’E.V. fui licenziato per un motivo qualsiasi e siccome la Questura, non so bene per quali motivi, cercava danneggiarmi in tutti i modi, cercai di fuggire all’estero.

Arrestato e condotto davanti ai magistrati la Questura dette di me informazioni pessime dicendomi pericoloso ecc. ecc. Fui così condannato a 3 anni e 20000 £ di multa”. La lettera segnala che la Questura ha continuato a molestarlo, malgrado avesse cercato di improntare il suo comportamento a “obbedienza”: “Insomma feci tutto per dimostrare che io non volevo più continuare nella strada del passato ma fu tutto inutile. Una sera fui arrestato. Mi dissero che loro colpa non ce ne avevano ma che era stato il Ministero ad ordinare il mio arresto per l’invio al confino! Dunque è tutto inutile! Non so cosa dire né cosa pensare… Eccellenza non so se la presente avrà la stessa fortuna dell’altra inviata nel 1930, non le nascondo però che scrivendo l’ò sperato vivamente. Il devotissimo Taddei Ezio”. Il 2 settembre T. è assegnato al confino per due anni a causa della sua “attività anarchica” e il 16 settembre la Questura di Livorno sottolinea che il suo odio per le autorità lo rende capace “di pericolosi atti” e gli attribuisce le seguenti parole, pronunciate durante il processo del 1930: “Ma queste sono cose che succedono in questa porca Italia. La vostra non è giustizia. Verrà la vera giustizia, ho fatto 9 anni di galera, ne farò altri trenta, ma voglio dire quello che penso, è tutta colpa di quel porco (alludendo forse a S.E. il capo del Governo) e tu, popolo, perché non ti ribelli?”. Internato nell’isola di Ponza, T. chiede di poter scrivere a una parente, Anita Toncelli, e a Pietro Del Moro, entrambi residenti a Livorno, ma il permesso gli viene rifiutato perché la Toncelli è la moglie del “noto anarchico” Amleto Bicchierai, schedato ed ex ammonito, e il Del Moro è un comunista schedato e sottoposto ai vincoli dell’ammonizione. Nel novembre del 1935 T. fa domanda di trasferimento in una sede di confino “continentale” e il 6 dicembre parte per Bernalda, in provincia di Matera.

Il 17 novembre 1936 viene colpito da ordine di cattura della Procura generale di Firenze, perché deve ancora scontare 10 giorni di carcere per istigazione all’odio fra le classi sociali, e il 2 dicembre è incarcerato a Pisticci. Dimesso il 12 dicembre, lascia Bernalda il 10 settembre 1937 per tornare a a Livorno con foglio di via obbligatorioma dopo pochi giorni è a Milano, da dove riesce ad emigrare clandestinamente in Svizzera, grazie ai compagni di ideali, che lo aiutano a valicare le Alpi. Passato in Francia, si stabilisce a Parigi, dove viene ospitato dall’anarchico Adamo Agnoletto, un ex miliziano di Padova, che ha combattuto sul fronte di Aragona nella Colonna “Ascaso” CNT-FAIb, e comincia a collaborare a «L’Adunata dei refrattari» di New York, tracciando, nel primo articolo (Di ritorno, ivi, 4 dic. 1937), uno sfavorevole ritratto di Antonio Gramsci, di cui si serve Mussolini su «Il Popolo d’Italia» per ridimensionare la figura del dirigente comunista scomparso.

Il 29 gennaio 1938 T. prende le difese dell’anarchico spezzino Aldo Fiamberti, già volontario in Spagna, arrestato e pestato dalla polizia francese dopo l’attentato fascista all’Etoile di Parigi (settembre 1937), al quale era assolutamente estraneo, e ha parole di fuoco contro il quotidiano comunista della capitale, «Ce soir», diretto da Jean-Richard Bloch, che il 4 ottobre ha avuto l’impudenza di vantarsi di essere stato il primo giornale ad “annunciare ieri l’arresto del terrorista” Fiamberti. Accusato dai comunisti di aver meschinamente denigrato Gramsci, T. replica il 30 aprile (La Ceka a Ponza, ivi) di non averlo trattato “poi tanto male”, rincarando la dose, e negli articoli successivi non risparmia Giorgio Amendola e Giovanni Roveda, con i quali ha condiviso confino e carcere, e muove aspri attacchi al quotidiano antifascista «La Voce degli italiani» di Parigi, a Léon Blum e al Fronte popolare francese, che accusa di aver assicurato, insieme ai “gendarmi comunisti”, la pace sociale alla borghesia transalpina e di aver perseguitato i senza patria, gli “ebrei erranti” e i reietti del mondo. Lasciata la Francia, raggiunge clandestinamente gli USA, dove si distacca, non senza qualche polemica, da «L’Adunata dei refrattari», tiene alcune conferenze sul fascismo e diventa redattore del giornale anarchico «Il Martello» di New York, diretto da Carlo Tresca, che pubblica molti suoi racconti e articoli (Gli umiliati, ivi, 15 mar. 1939, Che metodi son questi?, ivi, 28 mar. 1939, Il pane altrui, ivi, 14 mar. 1939, L’ultimo ribelle, ivi, 28 apr. 1939, ecc.).

L’11 gennaio 1943 giunge alla sede del giornale anarchico pochi minuti dopo che Tresca è stato ucciso da due colpi di pistola alla schiena e alla testa. Interrogato dal sostituto del District Attorney, dichiara che molte persone potevano aver ucciso il direttore de «Il Martello» e il 14 febbraio, parlando nella Casa del Popolo di New York, dopo Norman Davis, Roger Baldwin e Ralph Dey, accusa la mafia e i politici fascisti italo-americani, che cercano di nascondere il loro passato di ammiratori di Mussolini, che è diventato uno dei principali nemici degli usa, di aver messo a punto l’omicidio. Gli stessi fatti racconta nell’opuscolo: Il caso Tresca. Poi ha dei contatti con il comunista Ambrogio Donini e manda qualche articolo a «L’Unità del popolo» di New Yok, il giornale che lo studioso di religioni dirige per conto del pcdi. Ed è Donini a scrivere la prefazione del primo volume di T., Il pino e la rufola, che appare in America, tradotto da Samuel Putnam, e gli dà un notevole successo.

Alla fine della Seconda guerra mondiale le autorità statunitensi gli contestano l’ingresso clandestino nel paese e lo espellono. Il 22 novembre 1945 T. sbarca a Napoli, spostandosi poi a Roma, dove si stabilisce in un’abitazione molto modesta (per tutta la sua esistenza T. visse povero fra i poveri) con la sorella Tirrena, da lui rivista dopo più di 40 anni. Iscrittosi al PCI, collabora a «L’Unità» ed a «Vie nuove» e ritorna nei suoi articoli sul caso Tresca, difende i coniugi Rosemberg, polemizza con lo scrittore John Steinbeck, critica l’America, poi scrive il volumetto: Vittorio Poccecai (biografia d’un evaso dall’inferno di Tito), che viene pubblicato dal Partito comunista del territorio libero di Trieste, nella collana “I crimini del titismo”, con una prefazione dello stalinista Vittorio Vidali, nella quale si legge: “Eppure ciò che racconta Vittorio Poccecai non dà che una pallida idea del regime bonapartista, di corruzione, di ricatto, di truffa e di terrore, instaurato dalla cricca di Belgrado”.

L’impegno di T. in favore del pci e della Russia di Stalin suscitano le reazioni degli anarchici, che non hanno dimenticato le sue aspre polemiche con i comunisti ed hanno rotto ogni rapporto con lui, dopo il suo passaggio al PCI, e su «Il Libertario» di Milano P.C. Masini scrive di lui nel 1951: “Ad un certo momento tutto un complesso di gregarismo e di servitù volontaria si è fatto largo in lui, abbattendo le deboli resistenze libertarie, scoprendo, nella medaglia del carattere, dietro la maschera convulsa del rivoltoso, quella pacificata del funzionario di partito”. T. – continua Masini – glorifica ostentamente il pci “come ente metafisico” e presenta l’abbandono dell’anarchismo “quasi come passaggio dall’infanzia alla giovinezza, come faticoso raggiungimento di una maturità. È la forma peggiore della fobia anti-anarchica, una forma avvelenata. Eppure il Taddei era stato aiutato dagli anarchici proprio nei momenti difficili. Anarchici furono coloro che cooperarono alla sua fuga dall’Italia nel 1937, anarchici furono i comitati che in Svizzera, in Francia ed in America lo aiutarono a sbarcare il lunario”. Autore di romanzi ed inchieste, fra cui “Rotaia”, “Ho rinunciato alla libertà”, “La fabbrica parla” e “C’è posto per voi, mister Brown”, T. muore d’infarto il 16 maggio 1956 al Policlinico di Roma d’infarto. (F. Bucci – G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; E. Taddei, Di ritorno, «L'Adunata dei refrattari», 4 dic. 1937; Id., L’Adunata, ivi, 12 feb. 1938; Conferenze Taddei, «Il Martello», 28 feb. 1939.

Bibliografia: E. Bartalini, In difesa dell’anarchia, Genova [1922?]; Id., In difesa dell’anarchia. Contributo alla storia del movimento anarchico italiano, Bologna [1952?]; Imponente manifestazione antifascista a Livorno, «L’Unità», apr. 1933; P.C.M. [P.C. Masini]. Ezio Taddei: un caso letterario?, «Il Libertario», 19 set. 1951, 26 set. 1951; Così diceva 18 anni fa il comunista Taddei, ivi; La morte di Ezio Taddei, «L’Unità», 17 mag. 1956; P. Ingrao, Il carattere dell’uomo, ivi; Una vita per il popolo, ivi; G. Trevisani, Piccola enciclopedia del socialismo e del comunismo, Milano, 1958, p.703; D. Javarone. Vita di scrittore (Ezio Taddei), Roma: Macchia, 1958; C. Luschi, C’è tanto posto per Ezio Taddei nel cuore della Livorno popolare, «Avanti!», 24 gen. 1963; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; A. Dal Pont, S. Carolini, L’Italia al confino, Milano 1983, v. 3, p.1107; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, 5 voll., Torino 1967-75, v. 3, p. 157; G. Cerrito, Gli anarchici nella resistenza apuana, Lucca 1984, p. 29; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; A. Catalfamo. Ricordo di Ezio Taddei, «Sicilia libertaria», ott. 1995; M. Marazzi, Ezio Taddei giornalista e scrittore controcorrente, «Bolletino dell'archivio G. Pinelli», n. 22, dic. 2003, p. 20-21; M. Novelli. Un certo Ezio Taddei, livornese. Lo scrittore dei poveri, Torino 2004.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Ubaldo e Eufemia Lomi

Bibliografia

2004

Collezione

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