​RUOZI, Giuseppe

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​RUOZI, Giuseppe

Date di esistenza

Luogo di nascita
Mantova
Data di nascita
May 8 1886
Luogo di morte
Marsiglia

Biografia / Storia

Nasce a Mantova l’8 maggio 1886 da Angelo e Carolina Franceschetti, meccanico, marinaio da grande frequenta le scuole serali professionali. Figlio di una guardia carceraria, si trasferisce a Reggio Emilia, dove lavora alle Officine meccaniche reggiane fino all’aprile 1906, quando viene licenziato. Arrestato e condannato, il 16 luglio, a 5 mesi e 4 giorni di reclusione per violenza privata, ingiurie e lesioni al direttore e al custode delle Officine, emigra in Francia nel luglio. L’8 aprile 1909 è condannato dal Tribunale della Senna a sei mesi di carcere per furto e il 27 dicembre è espulso dalla Francia. Tradotto a Venezia per rispondere di diserzione, cerca di farsi rilasciare, nel 1912, un passaporto dal Consolato di Marsiglia, spacciandosi per il marionettista e suonatore di piano “Girolamo Tieppo”, poi dimora a Ginevra, dove comincia a professare idee anarchiche. Di nuovo a Parigi, si vede infliggere, il 5 marzo 1913, 18 mesi di carcere per furto e inosservanza del bando di espulsione. Rifugiatosi in Gran Bretagna, è condannato, il 10 novembre 1914, a nove mesi di detenzione dalla Corte criminale di Londra per possesso di arnesi da scasso ed espulso.

Deportato in Italia, sbarca a Reggio Calabria il 26 agosto 1915 e viene accompagnato alla Spezia dove è arruolato nella Marina militare. Il 4 novembre è schedato dalla Prefettura di Mantova, che lo descrive come persona di piccola statura e di corporatura robusta. Il 7 luglio 1917 R. viene internato nel Forte Vittoria di Messina, insieme “ad altri militari colà concentrati per le idee sovversive”, e più volte punito per aver conservato un quaderno, “in cui erano scritti argomenti contrarii alle istituzioni dello Stato”, e per altre “infrazioni”. Rimesso in libertà al principio del 1919, risiede a Reggio Emilia e a Oneglia, mandando, nei mesi seguenti, a «Il Libertario» della La Spezia alcune corrispondenze sulle manifestazioni sovversive organizzate nelle due città. Il 21 giugno 1920 fa pervenire alla «Cronaca sovversiva» di Torino un articolo sulle proteste popolari, scoppiate a Oneglia, intitolato: Contro la nuova guerra, e viene notato per il suo impegno nella raccolta di sottoscrizioni per «Umanità nova» di Milano, al quale collabora con lo pseudonimo di Tranquillo.

Il 21 giugno 1921 subisce un altro arresto per furto e detenzione abusiva di armi e viene condannato a 4 anni di reclusione. Scarcerato il 18 marzo 1926, è ospite della sorella Margherita a Reggio Emilia, fino alle leggi eccezionali, quando, ammonito e minacciato d’arresto, emigra clandestinamente. Nel 1928 risiede nella città belga di Seraing, conducendovi un’esistenza tribolata, e nel 1929 è in Lussemburgo, dove il console italiano gli nega arrogantemente i documenti d’identità. Di nuovo in Belgio nel 1930, frequenta i compagni di fede Guido Bruna e Vincenzo Consoli e collabora a «L’Adunata dei refrattari» di New York, a «Il Risveglio anarchico» di Ginevra e a «Vogliamo» di Biasca, sottolineando che la politica economica di Mussolini ha regalato all’Italia una “miseria nerissima che strazia tutta la penisola”.

Iscritto, il 5 giugno 1931, nel Bollettino delle ricerche per l’arresto e condannato il 27 novembre, a Bruxelles, per uso di falso passaporto, è espulso dal Belgio il 16 dicembre. Scortato in Lussemburgo il 1° gennaio 1932, si rifugia, dopo qualche settimana, a Barcellona, dove chiede inutilmente il passaporto al Consolato italiano e continua a collaborare ai giornali anarchici, prestando speciale attenzione alle sorti della Repubblica spagnola, che gli appare uguale a “qualunque regime monarchico – borghese o comunista”, sorda ai bisogni delle masse popolari, debole con i forti e forte con i deboli. Incapaci di fiaccare la potenza della Chiesa e di colpire a fondo i privilegi dei reazionari, i governanti repubblicani e socialisti hanno permesso di rimanere al loro posto ai generali “africanistas”, che rappresentano una minaccia mortale per la democrazia (come ha mostrato la rivolta di Sanjurjo), e hanno approvato una scialba riforma agraria, che, invece di dare le terre espropriate ai contadini, le ha affidate a un “carrozzone governativo”. La Repubblica spagnola – scrive R. nello stesso anno – tollera gli elementi fascisti, mentre fa arrestare gli anarchici, alcuni dei quali – Francisco Ascaso, Niccolò Turcinovich e Egidio Bernardini – sono detenuti da molti mesi. R. è critico verso gli anarcosindacalisti della CNT, che tendono – afferma – ad autoperpetuarsi attraverso il reclutamento e il tesseramento, invece di passare all’azione diretta e agli scioperi generali e di puntare alla rivoluzione sociale. Molto severo con i repubblicani e i socialisti, commenta, dopo il loro tracollo elettorale alle politiche del 1933: “Le sinistre non vogliono rassegnarsi alla sconfitta preparata da esse con una sporca politica forcaiola di tre anni di potere! Socialisti e repubblicani si ebbero una meritata lezione, ma quella della destra non è che una vittoria di Pirro”. Iscrittosi, successivamente, alla LIDU, R. fa, a Barcellona, lo stagnino, lo sguattero e altri umili e faticosi mestieri per fronteggiare la miseria, che lo perseguita. Incluso nella lista dei sovversivi attentatori reggiani, insieme a Torquato Grossi, Egidio Gandolfi, Enrico Zambonini, Prospero Rossi, Giuseppe Fantini, Desiderio Cugini, Luciano Bertani e Luigi Storchi, viene arrestato nella capitale catalana il 19 febbraio 1934 per la sua attività politica e tenuto in carcere per otto giorni. Rimesso in libertà, denuncia, il 5 maggio, il selvaggio assassinio dell’anarchico Bruno Alpini, consumato dalla polizia catalana, che “lo portava in giro”, ammanettato, “per la città onde raccogliere “prove” a suo carico”. Il corpo di “Bruno il matto” “era crivellato di ferite d’arma d’arma da fuoco: 13 ne furono contate”. R. rende un sincero omaggio al compagno caduto: “Se, come già il Pollastro, Bruno Alpini non fosse stato preso a tradimento, la sbirraglia avrebbe avuto da lui un saggio del suo coraggio e del suo valore, che i compagni ben conoscevano. Questa morte, alla Matteotti, gli fa egualmente onore: l’hanno spezzato, ma non l’hanno piegato, i manigoldi”.

Il 10 maggio R. viene nuovamente arrestato e rinchiuso per tre settimane in una prigione galleggiante, dove incontra Pietro Bruzzi. Portato, il 31 maggio, alla frontiera francese, rientra subito in Spagna e nei mesi successivi denuncia l’atroce repressione della sollevazione asturiana da parte del governo delle destre (“Si vedono strade intere completamente distrutte, ma non si assiste all’entrata delle truppe di López, della famigerata Legione straniera e dei marocchini fanatici avidi di sangue e di bottino!”) e l’estradizione in Italia di Pietro Bruzzi. Caduto Lerroux alla fine del 1935, R. dissente dalla decisione della CNT di appoggiare nel febbraio 1936, “non apertamente, ma dietro le quinte, le sinistre nella loro opera di riconquista del potere”, invitando i propri iscritti a votare per il cartello del Fronte popolare, e polemizza con Buenaventura Durruti, che s’illude che “una vittoria elettorale delle sinistre sarà un passo verso la rivoluzione”. Poi, il 19 e il 20 luglio, si batte per le strade di Barcellona contro i militari in rivolta e il 26 luglio scrive che il “pericolo fascista imminente ha avuto la virtù di unire tutte le forze di sinistra. “È un fatto sbalorditivo quello di aver visto assieme sulle barricate le guardie civili e d’assalto e i nostri compagni ch’esse avevano più volte perseguitati e massacrati. Tutti i partiti avevano provvisoriamente fatta loro la bandiera rosso ne nera degli anarcosindacalisti come quella più atta a guadagnare le masse. Anche dopo la resa dei soldati, la lotta è continuata contro preti e fascisti trincerati in chiese e conventi. Il popolo finì col mettervi a buon diritto il fuoco perché si trovavano trasformati in altrettanti arsenali e fortezze”. A fine mese interviene alla riunione, indetta da Berneri, Rosselli e Angeloni per costituire la Colonna Italiana a maggioranza anarchica, e in agosto invia molte corrispondenze ai giornali di New York e di Ginevra sul generoso contributo degli anarchici alla lotta contro il fascismo spagnolo.

Il 22 settembre deplora che l’aiuto del “proletariato internazionale” alla rivoluzione spagnola sia stato finora “insignificante” e invita i popoli a non limitarsi a organizzare qualche comizio in favore del “movimento rivoluzionario spagnolo”, ma a mandare “i mezzi necessari”, “la fornitura di armi innanzi tutto”, accogliendo gli appelli della CNT e della FAIb. Ancora a Barcellona nelle terribili giornate del maggio 1937, quando numerosi rivoluzionari, spagnoli e “stranieri”, sono assassinati dai comunisti e dai moderati, nel corso di una provocazione premeditata messa a punto dal Governo spagnolo, è contrario alla decisione di una parte dei militanti libertari di tornare in Francia, dopo gli omicidi di Berneri e Barbieri. “Incaricato di fiducia” della “Sezione Volontari Libertari Italiani”, formatasi per iniziativa di Umberto Consiglio, Ludovico Rossi e Carlo Castagna, è arrestato a Barcellona, nell’autunno 1937, insieme a Dante Armanetti ed altri compagni. Scarcerato dopo pochi giorni, scrive il 5 novembre 1937 che la sede della Sezione anarchica di Ronda F. Salvochea è stata chiusa definitivamente e che tutta la corrispondenza deve essergli indirizzata in via Durruti, 32: “Io e Lanciotto abbiamo potuto uscire dopo pochi giorni d’arresto. Sono rimasti dentro Armanetti ed alcuni altri, imputati d’aver favorito la fuga di alcuni antifascisti italiani della Brigata Garibaldi, che hanno abbandonato il servizio militare. Credo si tratti più che altro di una montatura. Con la chiusura del locale è stato un disastro per tutta la roba dei compagni al fronte che tenevo in consegna e per quella dei rientrati in Francia che non ebbi modo, mancando di mezzi, di far loro recapitare. Bisogna proprio pensare ad andarsene e riprendere la via crucis. Per intanto me la sono cavata con 25 pesetas di multa”.

Rientrato in Francia, R. riallaccia i suoi legami con “L’Adunata dei refrattari” di New York dopo la seconda guerra mondiale, confutando sulle sue pagine il revisionismo vecchio e nuovo, sostenendo che il sindacalismo “è cosa distinta dall’anarchismo”, affermando che gli anarchici non possono collaborare con gli altri partiti “antifascisti” e occupandosi di scienza e di questioni antireligiose. In un articolo dedicato agli “assalti all’anarchismo tradizionale” R. sottolinea che alcuni degli “innovatori” dell’anarchismo si sono già messi “in coda al grande partito comunista” e che altri intendono fondare un “partito anarchico, disciplinato e bene inquadrato da una piccola gerarchia, che ordina, comanda, dirige” Non manca infine chi, come lo spagnolo García Pradas, travolto da “fratesche aberrazioni”, confonde la violenza rivoluzionaria con quella statale e nega agli oppressi il diritto di reagire con le armi ai soprusi degli oppressori.

Qualche anno dopo R. torna, su «Volontà» di Napoli, sopra alcuni nodi della rivoluzione spagnola, attaccando il “ministerialismo” di Joan García Oliver e di altri esponenti anarchici e il senso di “responsabilità”, di cui essi dettero prova, consentendo al Governo e alle istituzioni statali spagnole di riprendersi dalla crisi gravissima del 19-20 luglio 1936 e prepararsi a una sanguinaria rivincita: “La prima doccia fredda su questi entusiasmi cadde quando certi dirigenti anarchici proclamarono che prima bisognava vincere la guerra e poi fare la rivoluzione, e parteciparono alle “responsabilità” del governo, dando così modo a questo di rinforzarsi. Le realizzazioni in campo sociale, come le collettivizzazioni agricole, furono iniziative spontanee, compiute ad opera degli stessi interessati, dai lavoratori della terra, e ben poco aiuto venne dato loro dalle autorità. Quando la colonna Lister venne a sterminare le collettività aragonesi, per quanto la FAIb e la CNT fossero in pieno sviluppo, non seppero impedirlo, come non seppero impedire i luttuosi fatti del maggio 1937”.

Negli stessi anni R. collabora a «Il Seme anarchico», redatto a Torino da Italo Garinei, scrivendo molti articoli sull’Indocina, sulla Francia, sull’elettoralismo e sull’inconciliabilità fra anarchismo e religione. Muore a Marsiglia il 12 dicembre 1962. (F. Bucci, S. Carolini - G. Cattini - C. Gregori)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Quelli che ci lasciano, «L’Adunata dei Refrattari», 26 gen. 1962.

Bibliografia: Istituto Storico Milanese, K1B45 lombardi e ticinesi per la libertà della Spagna, Milano 1976; La colonna italiana, a cura di A. Lopez, Quaderno n.5, Roma 1985; C. Berneri, Epistolario inedito, vol. 2, a cura di P. Feri e L. Di Lembo, Pistoia 1984, ad indicem; F. Madrid Santos, Camillo Berneri, Pistoia 1985, ad indicem; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Angelo e Carolina Franceschetti

Bibliografia

2004

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Collezione

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