SCHICCHI, Paolo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
SCHICCHI, Paolo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Collesano
Data di nascita
August 31 1865
Luogo di morte
Palermo

Biografia / Storia

Nasce a Collesano (Pa) il 31 agosto 1865 da Simone (avvocato e patriota, era stato tra i protagonisti del moto insurrezionale di Francesco Bentivegna nel 1856) e Michelangela Dispensa. Durante la gestazione viene diagnosticato alla madre, per errore, un cancro allo stomaco. Alle cure che le vengono praticate verrà fatta risalire dai familiari la costituzione gracile e malaticcia del piccolo S., alla quale egli ovvierà nell’infanzia e nell’adolescenza con continui esercizi fisici, e il suo temperamento nervoso e irruente. Fin dalle scuole elementari professa arditamente i sentimenti repubblicani già coltivati dal padre. Studente al ginnasio di Cefalù, diretto dal poeta garibaldino Eliodoro Lombardi, improvvisa a quindici anni un comizio anticlericale sulla scalinata del duomo rischiando il linciaggio da una folla inferocita. Prosegue quindi gli studi a Palermo, dove si lega ai circoli degli studenti radicali e mazziniani, e partecipa entusiasta, nel gennaio 1884, alle manifestazioni in onore di Mario Rapisardi in visita alla città. Dal 1885 al 1887 frequenta la facoltà di giurisprudenza di quella università di Palermo e collabora, con lo pseudonimo «Il Gladiatore», ai giornali «Le Feste di Nerone» (dove attacca in alcune corrispondenze corrosive il vescovo di Cefalù) e «Il Picconiere», foglio protoanarchico diretto dal narese Calogero Bonanno, affrontando polemiche e duelli e costruendosi fama di benefattore dei poveri. Innamoratosi perdutamente della sorella dell’anarchico Giuseppe Genova, Maria, dinanzi alle resistenze dei genitori di lei si spara un colpo di pistola al cuore, ferendosi di striscio. Richiamato prudentemente in famiglia, proseguirà gli studi all’università di Bologna, grazie all’interessamento di Giacinto Scelsi, collesanese amico del padre, prefetto in quella città. A Bologna segue le lezioni di Ceneri, Filopanti e Carducci, s’unisce al gruppo dei giovani goliardi che dà vita al «Bononia Ridet» (a lui viene attribuita l’invenzione del cappello goliardico) e guida la gioventù repubblicano-socialista nelle dimostrazioni contro la visita del re in occasione dell’ottavo centenario dell’università. Sospeso dai corsi e costretto a rientrare a Palermo, frequenta da praticante lo studio dell’avvocato Aristide Battaglia (fratello dell’ex internazionalista Salvatore Battaglia) finché non è chiamato, il 26 novembre 1888, a vestire la divisa di allievo ufficiale nell’11° RGT di fanteria di stanza a Palermo. Il 10 maggio successivo riesce ad ottenere il trasferimento a Torino, come semplice fante nel RGT di artiglieria da montagna. Ha da tempo maturato il proposito di disertare che attua l’11 agosto 1889, attraversando la frontiera francese a Sant’Anna di Vinadio. Raggiunta Parigi, dove sono in corso i festeggiamenti per il centenario della Grande Rivoluzione, si avvicina agli ambienti dei disertori di varie nazionalità che hanno raggiunto la capitale francese per difendere “armi alla mano” quella repubblica dalle minacce di guerra lanciatele dalle monarchie d’Europa. Il 17 novembre 1889, con lettera inviata al sindaco di Collesano, S. rinunciava alla cittadinanza del “putrefatto” regno d’Italia per abbracciare quella della repubblica francese, “leonessa d’Europa”. Ma l’esaltazione repubblicana, dovuta al particolare momento celebrativo, si trasforma ben presto in delusione: come in Italia, anche in Francia regnano ovunque sfruttamento, miseria e fame. Nel gennaio 1890 egli assiste alle conferenze di Louise Michel alla salle Horel, partecipa alla mobilitazione contro l’espulsione dell’anarchico Oscar Bertoja e alle altre iniziative del gruppo cosmopolita parigino che fa capo al settimanale anarchico «L’Attaque». Questo giornale, redatto principalmente da Sebastian Faure, Lucien Weil e Charles Malato, è anche fautore di una sorta di “rivoluzione culturale” nell’anarchismo francese (che influenza gli esuli anarchici d’altre nazionalità), tesa essenzialmente a tradurre nei comportamenti privati dei militanti le teorie politiche professate in pubblico, sull’onda lunga dell’insegnamento morale – senza obbligo né sanzione - del filosofo J.P. Guyau (“I pregiudizi, i costumi, le abitudini, le false credenze, la morale borghese – tutta convenzionale – sono così come la Legge altrettanti baluardi della tirannia e dell’oppressione … Parallelamente alle distruzioni materiali devono camminare le distruzioni morali”: L. Weil, n. 53, 7-14 dic. 1889). Tale proposito sarà uno dei tratti distintivi dell’anarchismo professato da S. Nell’aprile 1890 egli è tra i fondatori del Circolo internazionale degli studenti anarchici per il quale compila gran parte del manifesto Agli studenti - Ai militari, distribuito in diverse migliaia di copie in Italia, Francia e Svizzera alla vigilia del 1° maggio 1890. Al Circolo aderiscono anche Galleani, Merlino e il bulgaro Stojanoff, con i quali si lega di profonda amicizia. La sua adesione all’anarchismo è ancora piuttosto acerba, divisa tra le motivazioni politiche e personali che l’hanno condotto alla diserzione (accusa di maltrattamento l’esercito italiano) e la scelta di campo internazionalista e antiautoritaria. L’esito disastroso del 1° maggio parigino, alle cui dimostrazioni prende parte, lo porta gradualmente ad aderire alle tesi dei gruppi anarchici più radicali, prevalenti nella capitale francese, contrari alla “rivoluzione a data fissa” e all’organizzazione strutturata. Le sue critiche ricalcano quelle di Malatesta, presente in quel frangente a Parigi, che adopera il termine “bizantinismo” per indicare l’immobilismo dei compagni e la loro attitudine alle discussioni oziose. S. ne farà in seguito un uso polemico contro lo stesso Malatesta. Minacciato d’espulsione, nel luglio 1890 abbandona la Francia e in compagnia di Merlino raggiunge Malta, via Marsiglia e Tunisi. Da Malta si tiene in fitta corrispondenza coi compagni siciliani e del continente, inviando corrispondenze ai loro giornali («Il Piccone» di Catania, «La Nuova Riscossa» di Trapani, «Il Proletario» di Marsala, «La Plebaglia» e «La Poveraglia» di Imola, ecc.) È in questo periodo che firma il manifesto I socialisti anarchici al popolo italiano. Non votate! col quale, insieme ad altri 56 anarchici esuli all’estero, incita a disertare le urne nelle elezioni politiche del novembre 1890; e traduce l’opuscolo anonimo Ricchezza e miseria, che costituisce il primo titolo della “Biblioteca del Proletario” di Marsala. Contrario al congresso di Capolago, inizia una polemica che fa di lui ben presto il capofila della tendenza antiorganizzatrice dell’anarchismo italiano. Capisaldi di questa tendenza sono: il rigetto dell’organizzazione strutturata (che “ha portato sempre all’intolleranza, all’esclusivismo, all’obbedienza cieca”), secondo il principio che “la funzione crea l’organo e l’organo alla sua volta riproduce la funzione”; l’inutilità e anzi la dannosità dei congressi, “fasi del parlamentarismo” (“o chiacchierarvi e sono grotteschi, inutili; o formularvi dogmi, dettarvi leggi, crearvi evangeli, pigliarvi impegni e caschiamo nell’autoritarismo. Per tutto il resto: propaganda, intendimenti, iniziativa, se ne può fare a meno”); il rifiuto dell’idolatria, che prospera anche tra gli anarchici ed impedisce lo spontaneo scatenarsi della rivoluzione nel popolo (“Togliete all’individuo i mezzi d’innalzarsi e vi resterà eroe, capace di qualunque sacrificio; avvelenatelo coi miasmi dell’adulazione, dell’idea di superiorità, dell’orgoglio ed avete il traditore e il rinnegato”); il culto della forza e della violenza (“La persuasione più eloquente è quella che viene dal ferro e dal fuoco […] Ad ogni idea deve corrispondere una ribellione, ad ogni discorso un atto, se no essi restano senza effetto”), correlato alla critica del determinismo “musulmano” e all’esaltazione della “volontà” individuale (“Tutte le rivoluzioni che ricordi la storia le vediamo fatalmente precedute da una serie non interrotta di sacrificii, di martirii, di tentativi infelici”); il necessario intreccio tra l’iniziativa individuale e l’azione collettiva (“Malafede o cretinismo il voler far credere che la libera iniziativa escluda l’azione collettiva. Per noi la prima è il miglior mezzo di determinare la seconda, giacché è con essa che tutti gli slanci, tutti i temperamenti, tutte le forze possono trovare sfogo”); la contrapposizione di una scienza e di un’arte anarchiche, volte verso la liberazione dell’uomo, alla scienza e all’arte borghesi (concetto che già Rapisardi aveva tratto da Guyau); il relativismo morale infine (“La morale anarchica [è] la libera manifestazione di tutte le facoltà psicologiche e fisiologiche dell’uomo senz’altra sanzione che la natura e la scienza, senz’altro limite che il rispetto alla libertà degli altri”). S. porterà quest’ultimo alle estreme conseguenze nell’esilio ginevrino, affermando che, “avendo tutti diritto all’esistenza ed alla libertà, qualsiasi istituzione che serva a menomarli è immorale; ogni atto di ribellione a questa, sotto qualunque forma si manifesti, è moralissimo”. Ammetterà di conseguenza la moralità della dinamite, dell’incendio, del furto e dell’assassinio. Sarà però un accecamento momentaneo, che correggerà più volte negli anni seguenti, allorché descriverà “saccheggi, rapine, vendette, stragi, ecc” come “le contorsioni spasmodiche, i vaneggiamenti, le convulsioni, i delirii, le febbri” della rivoluzione, non il fine (che è “dar vita a nuovi organismi colla materia del corpo caduto”) né il mezzo (“che deve tendere ad espropriare tutti i beni mobili ed immobili per metterli in comune in una nuova società”). Arrestato per due volte a Malta nell’autunno del 1890, e infine espulso, S. inizia da Catania, il 1° gennaio 1891, il suo viaggio clandestino in Sicilia di preparazione per il 1° maggio insurrezionale. Convinto personalmente da Malatesta ad accantonare le polemiche sull’organizzazione anarchica, percorre l’isola in lungo e in largo sfuggendo più volte d’astuzia all’arresto. Dirige in prima persona, al suo arrivo, sia «Il Piccone» di Catania che «Il Proletario» di Marsala. I gruppi siciliani, tuttavia, dopo il giro di propaganda effettuato da Amilcare Cipriani in Sicilia tra la fine di marzo e i primi di aprile, assumono in maggioranza un atteggiamento prudente e di attesa che S. disapprova facendo esplodere una bomba, il 29 aprile, davanti alla caserma di cavalleria di Palermo. Fuggito dall’isola, vaga per mezza Europa prima di rifugiarsi a Ginevra dove, dal 18 luglio 1891, pubblica due numeri di «Pensiero e Dinamite» e due numeri e due supplementi (un terzo numero è sequestrato in bozze) de «La Croce di Savoia», violentissimi contro Casa Savoia e contro i “pontefici” dell’anarchismo (Malatesta, Merlino, Cipriani e Gori) che ritiene responsabili della mancata insurrezione del maggio e della debolezza del movimento anarchico davanti alla repressione. Le sue posizioni provocano in Italia la nascita di due schieramenti, dei “primomaggisti” e degli “antiprimomaggisti”, i quali ultimi contestano con successo il tentativo di rifondare il partito anarchico nato a Capolago. Il linguaggio colorito e intemperante di S., seppur infarcito di citazioni letterarie, scatena dure reazioni nei suoi confronti e le accuse di “personalità” e di “provocazione”, ch’egli rintuzza raddoppiando gli attacchi e specificando che «tutto ciò che riguarda più o meno davvicino la lotta che si combatte, ogni rapporto dell’individuo coi principi che professa, esce dal campo delle personalità ed entra in quello delle idee…» Tanto che verso gli esponenti anarchici che ha pesantemente criticat, forse con la sola esclusione di Malatesta ma per espressa volontà di questi, egli manterrà buoni e duraturi rapporti di stima ed amicizia personale. Espulso dalla Svizzera l’11 settembre 1891, riprende la polemica a Barcellona col giornale trilingue «El porvenir anarquista» (due numeri e un supplemento) finché il sostegno da lui offerto alla rivolta di Jerez non serve da pretesto al governo spagnolo per arrestarlo, il 10 febbraio 1892. Torturato e ridotto in fin di vita, riesce con l’aiuto di Maria Margaleff, la sua compagna spagnola, e corrompendo guardie ed impiegati carcerari, ad uscire di prigione il 10 settembre dello stesso anno. Dopo un breve soggiorno a Marsiglia, il 3 ottobre 1892 S. è a Genova dove fa esplodere una bomba al Consolato spagnolo per vendicarsi delle sevizie subite e protestare contro le persecuzioni ai danni dei suoi compagni in Spagna. La sera stessa raggiunge Pisa con un passaporto intestato all’anarchico pisano Di Ciolo, ma alla stazione, riconosciuto, viene arrestato dopo aver opposto una strenua resistenza, assieme a Virgilio Mazzoni, accorso in suo aiuto. Viene processato dalla Corte di Assise di Viterbo dal 16 al 19 maggio 1893: nonostante le generose arringhe difensive di Pietro Gori e di Vito Grignani, S. è condannato, per gli attentati di Palermo e Genova ed il mancato omicidio del delegato Tarantelli alla stazione di Pisa, a 11 anni, 3 mesi e 15 giorni di reclusione (più 3 anni di sorveglianza speciale). La pena si accresce di un altro anno perché egli, alla lettura della sentenza, indirizza ai giudici l’epiteto di «pecorai», e di altri 2 mesi e 10 giorni inflittigli il 12 dicembre 1893 dal Tribunale militare di Alessandria per il reato di diserzione. Nel frattempo, promossa da Pietro Gori e dal «Sempre Avanti!» di Livorno con la pubblicazione del Resoconto del processo, da Luigi Molinari con un opuscolo biografico e dagli anarchici di Marsala, si estende in tutta Italia la campagna per la sua liberazione, presto interrotta dalla repressione crispina. S. sconta quasi per intero la sua pena, per volontà del re che tanto aveva oltraggiato, nelle carceri di Oneglia, Orbetello e Viterbo. Nell’ottobre del 1894 è protagonista ad Oneglia dell’ammutinamento di quei detenuti contro le condizioni di vita e le angherie del direttore del carcere. Negli anni successivi alimenta la campagna per la liberazione dei prigionieri e dei coatti politici con lettere che fa pervenire clandestinamente agli amici e ai compagni. I socialisti, suo malgrado, lo portano candidato nelle elezioni del 1897 a Grosseto e Cefalù; nel 1901 viene incluso senza successo nella lista dell’on. Marinuzzi a Palermo e nel 1902 in quella di Noè a Messina. Nel marzo 1904 rifiuta sdegnosamente la grazia reale che gli è stata concessa in luogo dell’ultima amnistia. Il 27 maggio successivo riacquista la libertà e torna a Collesano, dov’è sottoposto a vigilanza speciale fino al 31 maggio 1907. Riprende a scrivere, ne «La Battaglia», settimanale socialista di Palermo, e nei giornali del movimento. Il 1° giugno 1908 parte per Milano dove va a dirigere «La protesta umana» ma già a settembre è in rotta con Nella Giacomelli ed Ettore Molinari, maggiori azionisti del giornale. Ha inizio una polemica con gli anarchici milanesi, in particolare con quelli ch’egli definisce “individualisti bisognisti”, che sfocia nella pubblicazione, avvenuta nel luglio del 1909, della prima parte de Le degenerazioni dell’anarchismo, dal titolo Mentecatti e delinquenti. Rinuncia a pubblicare la seconda parte, su invito dei compagni a lui più vicini, limitandosi a diffondere l’8 gennaio 1910 una Appendice alla parte prima de “Le degenerazioni dell’anarchismo” in cui risponde alle calunnie che la coppia Epifane-Ireos (pseudonimi di Molinari e della Giacomelli) hanno nel frattempo sparso sul suo conto. Reiscrittosi all’università, prima a Bologna, poi a Pavia, infine a Pisa, con l’intento di laurearsi ed inserirsi in quegli ambienti letterari, attraversati da forti venature libertarie, scientiste e anticlericali, se ne congederà definitivamente il 19 luglio 1910. Dopo la fucilazione di Francisco Ferrer, tiene numerose conferenze e comizi in Toscana e Liguria, specialmente di carattere anticlericale. All’attività oratoria affianca la fondazione, a Pisa, della Libreria Editrice Sociale e della Cooperativa Tipografica «Germinal», dove stampa vari opuscoli e cartoline di propaganda, il «Satana», mensile dell’associazione Razionalista, e dal 1° maggio 1910 «L’Avvenire Anarchico», settimanale ch’egli stesso dirige per alcuni mesi. L’8 agosto 1910 è a Marsala dove, invitato dagli anarchici locali, tiene una conferenza su “Scienza e religione”. Il Circolo di Studii Sociali, fondato per l’occasione, ha uno sviluppo talmente impetuoso da convincere S., già alle prese con difficoltà economiche e familiari (il padre morirà l’anno dopo), a restare in Sicilia e ad assumere la direzione de «Il Proletario Anarchico», un nuovo settimanale che vede la luce a Marsala il 23 ottobre dello stesso anno e che svolge fino al giugno successivo una preziosa opera di orientamento e raccordo dell’intero movimento isolano. Ai temi usuali della propaganda degli antiorganizzatori, che costituiscono in Sicilia l’ossatura del movimento, si aggiungono ora quelli della polemica “sicilianista”, ch’egli conduce con una precisa connotazione libertaria, di classe e federalista, risalente alla Prima Internazionale  (ma parlerà anche di “passione del popolo siciliano” che rimonta all’epoca araba). Entrato in crisi il progetto di ricompattamento dell’anarchismo siciliano, S. si ritira a coltivare la terra nei suoi poderi di Collesano. Non rinuncia di tanto in tanto a tenere comizi e conferenze in varie località dell’isola, grazie alle sottoscrizioni degli anarchici siciliani emigrati in America, specialmente dopo l’assassinio di Lorenzo Panepinto, capolega di Santo Stefano Quisquina. Esercita in questo periodo particolare attrazione anche su di lui, come su un buon numero di militanti anarchici, il sindacalismo rivoluzionario, radicato tra i contadini e i minatori della Sicilia “interna”. Nelle estati del 1911 e del 1914, torna nell’Italia continentale per due ampi e fruttuosi giri di propaganda. Collabora intanto diffusamente alla stampa anarchica («La Rivolta» di Milano, «Rompete le file!» di Ravenna, «Il ’94» e «Il Cavatore» di Carrara, «Libera tribuna» de Il Cairo, «La Comune» di Philadelphia, «Cronaca Sovversiva» di Barre Vermont ecc.) e compone saggi e lavori letterari d’incerto valore (a proposito dei quali si parla oggi di “scapigliatura meridionale”), in parte sequestratigli, manoscritti, nel 1917. Si salvano i due drammi La morte dell’aquila e Tutto per l’amore, stampati a Milano in quello stesso anno in unico volume, preceduti da un denso saggio su La guerra e la civiltà, di accorata denuncia dell’imperialismo e della guerra libica, e in difesa della civiltà araba. Nei mesi precedenti l’entrata dell’Italia in guerra svolge una febbrile e coraggiosa propaganda antibellica (che gli frutta alcuni processi) girando per le piazze dell’isola e collaborando alla stampa anarchica internazionale. Scoppiata la guerra, rientra a Collesano dove, agli articoli sulla stampa internazionale (ha un ruolo di rilievo nella compilazione del numero speciale di «Cronaca Sovversiva», in data 18 marzo 1916, che passa in rassegna le posizioni degli antiorganizzatori “contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione!”), alterna il lavoro diretto nei campi, necessario per il sostentamento della famiglia. Il giorno dell’armistizio, l’11 novembre 1918, tiene a Palermo un violento discorso al popolo raccolto in piazza Pretoria. Inizia subito dopo un’attivissima propaganda fra i contadini, incitandoli all’occupazione delle terre. Sarà egli stesso protagonista dell’epica stagione delle occupazioni nella Sicilia occidentale, girando a cavallo per le campagne e affrontando latifondisti e mafiosi in affollati comizi pubblici (rimarranno celebri la “cavalcata di Prizzi” del 7 settembre 1919 e il comizio tenuto nella stessa località il 1° maggio successivo). Ai contadini dedica un libro, Il Contadino e la questione sociale; un inno di battaglia, Il Canto dei Gladiatori (musicato a New York, nel febbraio 1921, dal maestro Vittorio Sciacca), e parecchi degli articoli pubblicati, con vari pseudonimi (“L’artigliere”, “Il picconiere”, “Il mietitore”, “Il falciatore”, “Il contadino”, “Un ex-studente”, “Il barbaro”, “Il bandito delle Madonie”, “Massar”) nei 14 numeri unici anarchici che appaiono dal luglio 1919 al maggio 1921. Nel 1920 S. pubblica Fra la putredine borghese, l’unico volume di una serie che avrebbe dovuto raccogliere i suoi articoli più noti e ricorrenti di critica politica e culturale. Ridà intanto vita al progetto di riorganizzazione del movimento anarchico siciliano, interrotto dieci anni prima, che ora fa perno sul gruppo comunista anarchico Spartaco, fondato a Palermo all’indomani dell’armistizio. I collegamenti con i centri più attivi della Sicilia occidentale vengono garantiti, oltre che da convegni periodici (di Palazzo Adriano il 7 luglio 1919, di Cefalù nell’estate del 1920 e di Palermo nel novembre 1921), da incontri informali in occasione di pubblici comizi, da continui giri di propaganda effettuati da Cannone, Guarisco, Napolitano, Marcello Natoli, dallo stesso S., e soprattutto dalla massiccia diffusione di un nuovo quindicinale, «Il Vespro Anarchico», apparso a Palermo il 6 maggio 1921, dedito quasi interamente alla lotta al fascismo e alla dittatura bolscevica. Tutto ciò risponde ad una complessa strategia di espansione del movimento, con obbiettivi principali la costruzione di un “fronte unico”, fra gli anarchici di ogni tendenza, e di un “fronte unito proletario” articolato rigidamente dal basso. Il “fronte unico” fra anarchici, che in Sicilia regge più che altrove, sarà posto in crisi dall’atteggiamento assunto dall’UAI nei confronti dell’attentato al Diana. Schicchi e i suoi corrispondenti, in particolare Pietro Gualducci da Londra, sono fermamente convinti che la bomba del Diana sia stata “ammaestrata” dalla polizia, mentre l’UAI non esita a incolparne gli individualisti, unendosi al coro di deplorazione di socialisti e comunisti. I dissensi sul “fronte unito proletario” hanno origine invece nell’esigenza, particolarmente sentita dagli anarchici siciliani, di non farsi assorbire come nel passato dai “cugini” socialisti attraverso “amoreggiamenti” equivoci: Noi soli contro tutti recita il titolo di un famoso articolo di S., apparso su «La Zappa» del 10 novembre 1920. Il che non significa opporsi ad una politica di alleanze dal basso, come precisa «Il Vespro Anarchico» del 20 agosto 1921 a proposito della costituzione anche in Sicilia di sezioni degli Arditi del Popolo: queste avrebbero dovuto sorgere solo là dove gli anarchici avessero avuto la forza necessaria per fare rispettare le proprie vedute. In questi anni S. deve affrontare numerosi processi, talvolta assistito da un vecchio amico, l’avvocato Saverio Merlino, conclusi con l’assoluzione o il proscioglimento in istruttoria. Il «Vespro Anarchico» viene soppresso per ordine diretto di Mussolini il 15 ottobre 1923. Il giorno precedente S. è arrestato a Collesano. Subisce due processi: il primo, per vilipendio alla religione, si tiene presso la Corte di Assise di Termini Imerese alla fine dell’anno e lo vede impegnato in una lezione di esegesi dantesca rivolta ai giurati; il secondo, alla Corte di Assise di Palermo, per incitamento alla disobbedienza alle leggi e all’odio di classe, si conclude il 1° maggio 1924 con una clamorosa assoluzione. Uscito dal carcere, minacciato dai fascisti, S. progetta la fuga e la ripresa delle pubblicazioni de «Il Vespro» a Malta o a Tunisi. Nell’attesa trasferisce la sua attività pubblicistica sui due maggiori settimanali anarchici nordamericani, «Il Martello» e «L’Adunata dei refrattari», ampiamente diffusi nell’isola. Il 6 ottobre 1924, eludendo la continua sorveglianza dei carabinieri, egli abbandona Collesano per raggiungere clandestinamente Tunisi. Qui, dove c’è una folta colonia anarchica siciliana, attacca il fascismo e la monarchia stampando prima il numero unico «Il Vespro Sociale» e riprendendo poi, col n° 47, le regolari pubblicazioni de «Il Vespro Anarchico». Ma già al numero successivo, pressate dal governo fascista, le autorità francesi di Tunisi sopprimono il giornale e S., che intanto ha iniziato su «L’Adunata dei refrattari» una nuova polemica con gli anarchici organizzatori, è costretto a trasferirsi a Marsiglia. A partire dal 1° maggio 1925, dà vita nella città francese ad un nuovo quindicinale, «Il Picconiere», nei cui 8 numeri pubblica, tra l’altro, i documenti relativi al coinvolgimento degli esuli anarchici nell’organizzazione armata fondata da Ricciotti Garibaldi, con la quale questi briga segretamente, in combutta con i fascisti, per condurre alla disfatta politica e militare l’opposizione in esilio. Gli anarchici “garibaldini” gli rispondono con un numero unico violentissimo, «Polemiche nostre». S., solleticato nel suo elemento, controbatte con due numeri unici consecutivi altrettanto violenti: «Il pozzo dei traditori» e «L’Unione dei padellai». Dopo di che, dissuaso dal proseguire nella polemica, indirizzerà i suoi strali principalmente contro Mussolini pubblicando i numeri unici «La Iena», «Ganellone» e «L’Africa». Non rinuncia tuttavia, negli anni seguenti, a punzecchiare Malatesta, Fabbri e gli anarchici organizzatori dell’UAI che considera, per la loro precedente politica di alleanze, come i principali responsabili delle difficoltà in cui si dibatte il movimento. All’inizio del 1926, S. lascia Marsiglia per stabilirsi a La Ciotat con la sua compagna Maria Liberti e la figlia adottiva Liliana. Ai conoscenti in Italia invia, in busta chiusa, migliaia di copie della circolare Ammazzateli come cani idrofobi, in cui espone il suo programma di lotta al fascismo. Intanto compie due viaggi clandestini a Genova e Torino, riceve aiuti finanziari consistenti dall’America e visite continue dagli esuli anarchici, tanto che il console italiano a Marsiglia può affermare il 1° novembre 1926 che “S. dirige e organizza tutto il movimento anarchico dei connazionali in Francia”. Il 26 giugno 1926 esce a Parigi «La Diana», il nuovo quindicinale di cui sono direttori Renato Siglich e S. Nel marzo del 1927 egli pubblica, grazie all’aiuto finanziario dell’anarchico espropriatore Severino Di Giovanni, il primo volume di Casa Savoia, dura requisitoria contro i reali d’Italia di cui ripercorre la storia, gli scandali, i vizi pubblici e privati. L’8 giugno 1927 partecipa alla riunione anarchica di Tolone nella quale viene votata la non adesione degli anarchici al fronte unico antifascista. Nel frattempo avvia i preparativi per un suo ritorno in Sicilia ad organizzarvi un moto insurrezionale. Ad ostacolare il progetto interviene la sua espulsione dal territorio francese, il 28 giugno 1928, che lo porta a vagare per la Francia, il Belgio, la Germania, l’Austria esercitando per copertura il commercio di concimi chimici per conto del fratello Sante, residente in Argentina. Nel luglio del 1929 anche «La Diana» è soppressa dal governo francese. S. rientra clandestinamente a Marsiglia e pubblica «La Guerra Civile», numero unico che incita a far fatti e non parole. Dello stesso tenore sono il manifesto insurrezionale ai Siciliani e gli articoli che invia a «L’Aurora» di Boston. Il gruppo de «L’Aurora» finanzia la pubblicazione del secondo volume di Casa Savoia, apparso nel novembre 1929, mentre un circolo criminologico viennese stampa l’anno successivo la prima parte delle Storie di Francia, in cui S. stigmatizza le violazioni del diritto di asilo da parte del governo francese. Nell’estate del 1930, partedo per l’Algeria e la Tunisia, porta con sé i manoscritti del terzo volume di Casa Savoia e della seconda parte delle Storie di Francia che, consegnati a compagni, andranno dispersi. Per sei mesi riesce a confondere le idee dei numerosi agenti segreti fascisti, sguinzagliati per il mondo sulle sue tracce, facendo diffondere dagli amici più fidati lettere, cartoline ed ogni altro genere di notizie che lo danno di volta in volta a New York, Buenos Aires, Vienna, Malta, Egitto, perfino in Russia. Sarà Amleto Natoli, fratello di Marcello, e poi Giovanni Allegra, informatore della polizia infiltratosi tra gli anarchici di Tunisi, a rivelare la sua presenza in quella città. Nonostante la defezione di molti compagni e la penuria di mezzi, S. decide di affrettare il suo rientro nell’isola. Il 20 agosto, assieme a Salvatore Renda e Filippo Gramignano, s’imbarca clandestinamente sul piroscafo Argentina. Preavvertita, la polizia lo arresta subito dopo lo sbarco a Palermo, il giorno successivo. Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato lo condanna il 16 aprile 1931 a 10 anni di reclusione e 3 di vigilanza speciale. Per effetto di un’amnistia sconta poco più di 6 anni nei reclusori di Roma e Turi di Bari (dove ha modo di polemizzare con Antonio Gramsci). Ammalatosi gravemente, si rifiuta di appoggiare la domanda di grazia avanzata dai parenti. Anziché venir liberato, il 28 gennaio 1937 è tradotto nelle carceri di Palermo. Ha 72 anni e soffre di idropsia, arteriosclerosi, palpitazione cardiaca, asma bronchiale, sciatica, catarro, cecità incipiente e rovina di tutti i denti. Nel frattempo la questura di Palermo saccheggia la sua casa natale, sequestrando gran parte della biblioteca di famiglia, centinaia di giornali e di opuscoli e persino i quaderni compilati in carcere alla fine dell’ottocento e muniti del visto della censura. Questo materiale servirà da pretesto per il suo invio al confino prima di Ponza, il 9 marzo 1937, poi di Ventotene, il 13 luglio 1939, dove viene circondato dalle premure e dall’affetto di tutti i confinati, al di là di ogni colore politico. Per le peggiorate condizioni di salute, l’8 ottobre 1940 il confino gli viene commutato in ammonizione ed egli può tornare a Collesano. Nel giugno 1941 riceve l’autorizzazione ad operarsi di ernia inguinale nella clinica “Noto” di Palermo, dove rimane convalescente fino alla fine della guerra, protetto dal primario dottor Pasqualino e soprattutto da Aurelio Drago, ex socialista e amico di gioventù, ora senatore del Regno, che gli evita la traduzione al nuovo confino di Ustica. Il 10 settembre 1943 inizia a Palermo, d’intesa con giovani libertari, repubblicani, socialisti e comunisti, la pubblicazione di una serie di manifesti contro il vecchio e il risorgente fascismo (Siciliani!, L’Impero di Ganellone, ecc.), riuniti sotto le comuni testate del «Fronte Unico della Liberazione» (2 numeri) e de «La Diana del Fronte Unico della Liberazione» (2 numeri), tramutatesi col 1944 nel «Fronte Unico del Vespro Sociale» (2 numeri), e in un opuscolo di propaganda, La Società Futura. Nel settembre 1944 S. dà vita alla prima serie delle Conversazioni sociali, seguita l’anno dopo da altre tre serie. Vi raccoglie ricordi, suoi scritti e pensieri antichi e recenti, anticipando quanto farà dal marzo 1946 con una nuova rivista mensile di cultura sociale, «L’Èra Nuova». Fanno scalpore in questo periodo le sue “avances” interlocutorie verso il separatismo e la bassa mafia. Nonostante l’età avanzata, partecipa attivamente alla rinascita del movimento anarchico siciliano, promuovendone un primo convegno a Palermo il 3 e 4 settembre 1944. La sua posizione, favorevole all’unione «di tutte le sane forze proletarie rivoluzionarie, per opporla occorrendo a qualsiasi attacco della reazione», ma «senza alleanze ibride e senza deformazioni di nessuna specie», non viene rettamente compresa dai compagni dell’”Alleanza libertaria”, riuniti in congresso una settimana dopo a Napoli, che temono una sua adesione al fronte unico con i comunisti. Ne nasce una penosa polemica con Giovanna Berneri e Cesare Zaccaria mai pienamente sopita. Così, nonostante approvi tacitamente la fondazione della Federazione Anarchica Siciliana, avvenuta a Palermo il 2 marzo 1947, S. si ritrova l’anno dopo a fianco dell’anarchico napoletano Giuseppe Grillo nella sua polemica contro Masini e  gli “accentratori” della FAI. «L’Èra Nuova» interrompe intanto le pubblicazioni col numero doppio dell’aprile-maggio 1948 perché egli si rifiuta di ottemperare alle formalità richieste dalla nuova legge sulla stampa. Appaiono perciò una serie di numeri unici (11 e 1 supplemento), l’ultimo dei quali, «Il Vespro della Nuova Civiltà», esce nel maggio-giugno 1950, alla vigilia di una nuova operazione di ernia che gli sarà fatale. S. cessa di vivere a Palermo il 12 dicembre 1950. I parenti che lo assistono in punto di morte, distintisi per il loro passato fascista e bigotto, spargono seduta stante la leggenda della sua conversione al cattolicesimo. É il primo tentativo di profanazione della sua memoria, presto smascherato, al quale non mancheranno di seguirne altri da parte dei suoi detrattori politici, numerosi nello stesso movimento anarchico. Tuttavia ancor oggi, in molti luoghi della Sicilia Occidentale continuano a circolare leggende e aneddoti fantastici sul “leone di Collesano”, sulla sua vita avventurosa e il suo carattere di lottatore indomito e ribelle. (N. Musarra)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Id., Confinati politici, b. 930 (1937-1942); id., Ministero di Grazia e giustizia, Detenuti sovversivi, b. 17 (1931-1937); Tribunale speciale, Processo Schicchi-Renda-Gramignano, 1931; Schweizerisches Bundesarchiv, Bern, Personal-Dossier “Paolo Schicchi”; Archivio storico degli anarchici siciliani, Archivio Nicolò e Paolo Schicchi; Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana – Imola (Bo), Archivio Mammolo Zamboni, Cart. Schicchi-Zamboni (1942-1949); Centro studi libertari e Archivio “G. Pinelli” - Milano, Archivio Pio Turroni, Corrispondenza Schicchi-Turroni (1945-1950).

Bibliografia: Scritti di S.: Le degenerazioni dell’anarchismo. Mentecatti e delinquenti, La Spezia 1909; La morte dell’aquila. Tutto per l’amore, Milano s.d. (ma 1917); Il Contadino e la questione sociale, Palermo 1919; Fra la putredine borghese, Palermo s.d. (ma 1920); Il Canto dei Gladiatori, New York 1921; Casa Savoia, vol. I, Buenos Aires 1928; Casa Savoia, vol. II, East-Boston 1929 ; Storie di Francia, Vienna 1930; Conversazioni sociali, 4 ss., Palermo 1944-1945; La guerra e la civiltà. Mondo arabo e aggressione occidentale, Ragusa 1988; Noi soli contro tutti! Antologia di scritti (1919-1921), Catania 1993.
Scritti su S.: L. Molinari, Paolo Schicchi, Milano 1893; (Souvarine, alias E. Recchioni), Resoconto del Processo avanti la Corte d’Assise di Viterbo contro Schicchi Paolo imputato di mancato omicidio e di vari attentati politici, Chieti 1904; «Anarchismo (Vespro schicchiano)», Napoli, mag. 1950-mar. 1951; N. Schicchi, Paolo Schicchi, dattiloscritto, s.l.s.d. (Archivio storico degli anarchici siciliani, Archivio Nicolò e Paolo Schicchi); U. Fedeli, Paolo Schicchi, dattiloscritto, s.l.s.d. (Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis – Amsterdam, Archivio Fedeli); G. Cerrito, La rinascita dell’anarchismo in Sicilia, Genova 1956; R. Souvarine (R. Siglich), Vita eroica e gloriosa di Paolo Schicchi, Napoli s.d. (ma 1957); Il Movimento Operaio Italiano Dizionario Biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen (G. Micciché); I. Rossi, La ripresa del Movimento Anarchico Italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950, Pistoia 1981; M. Corsentino, Profilo di Paolo Schicchi, in S., La guerra e la civiltà, cit.; N. Musarra, Tre lettere inedite di Paolo Schicchi, «Sicilia Libertaria», Ragusa, giu. 1988; S. Carbone-L. Grimaldi, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, Roma 1989, ad nomen; A. Piromalli, Pagine siciliane, Messina 1992; Il processo Paolo Schicchi davanti alla Corte d’Assise di Palermo nel 1924, Pescara 1997; F. Gramignano, Il tentativo rivoluzionario di Paolo Schicchi del 1930, Pescara 1997; A. Catalfamo, Scrittori, umanisti e «cavalieri erranti» di Sicilia, Ragusa 2001.

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181

Note

Paternità e maternità: Simone e Michelangela Dispensa

Bibliografia

2004

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