SASSI, Attilio

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
SASSI, Attilio

Date di esistenza

Luogo di nascita
Castel Guelfo di Bologna
Data di nascita
October 6 1876
Luogo di morte
Roma

Biografia / Storia

Nasce a Castel Guelfo di Bologna (BO) il 6 ottobre 1876 da Luigi e Anna Lucia Selva, gestori di osteria. Il padre appartiene al gruppo internazionalista del paese. Cresce in un ambiente di fervente ribellione sociale, di forte attrazione verso le idee dell’illustre conterraneo Andrea Costa. Dopo le scuole elementari, viene avviato al lavoro di muratore. A 19 anni emigra con la famiglia in Brasile per lavorare al diboscamento delle foreste, poi nelle miniere di manganese a Minas Gerais. Qui, nei ranghi di un sindacalismo che è ormai elemento di caratterizzazione dell’emigrazione europea in Sud America, svolge il suo apprendistato pratico e teorico, mentre culturalmente si forma attingendo alla vulgata rivoluzionaria indotta dalle letture di Arturo Labriola e di Georges Sorel. Durante i nove anni della permanenza di S. (i familiari sono costretti a rimpatriare prima per le difficoltà economiche) si assiste ad una notevole espansione dell’anarchismo nel paese sudamericano. In un clima di fermenti politici, culturali e sociali, nel duro lavoro in miniera egli matura le sue idee libertarie. Ciò dopo una prima evidente formazione più ispirata alle correnti del sindacalismo rivoluzionario socialista francese che, in Italia, raccolgono consensi soprattutto nel PSI. Una volta rimpatriato, si impegna nell’attività sindacale occupandosi dei lavoratori preposti ai mestieri più ingrati. “Ribelle, maleducato, molto intelligente e di discreta cultura” sono le prime credenziali della prefettura di Bologna che subito però ne riconosce il carisma, oltre l’influenza esercitata negli ambienti sovversivi dell’intera regione e la “espressione fisionomica gaia”. Nel 1905 si sposa con Maria Lucia Coralupi e soggiorna per un breve periodo in Svizzera. Dal matrimonio nasceranno cinque figli: tre morti in tenera età, cui seguono Eliseo (1912), Edera (1915). Riveste le cariche di segretario del Sindacato muratori di Imola, del sindacato lavoratori della terra di Piacenza, della Lega barrocciai di Crevalcore. È schedato come anarchico per la sua attività di organizzatore, di pubblicista e di conferenziere, noto a tutti per l’irruenza dei suoi comizi. Intrattiene relazioni epistolari con esponenti anarchici e socialisti in Italia e all’estero, con Luigi Fabbri e con Errico Malatesta. Milita nel gruppo anarchico “Amilcare Cipriani” di Imola; collabora alle testate emiliano romagnole «Il Pungolo», «La Voce proletaria», «Agitatore». È denunziato, processato e però assolto per aver svolto propaganda anticlericale. Nella CGdL aderisce alla corrente sindacalista rivoluzionaria che, al congresso di Parma del 1907, si costituisce in Comitato nazionale dell’Azione Diretta. Promuove con altri la scissione dai confederali e la fondazione dell’USI (Modena, novembre 1912). Nella vigilia elettorale delle prime elezioni a suffragio universale maschile partecipa alla campagna astensionista nell’imolese. Sostiene pubblici contraddittori con Antonio Graziadei, Giuseppe Emanuele Modigliani, Guido Podrecca. Al II congresso dell’USI (Milano, dicembre 1913) è ancora presente come delegato. Partecipa alla mobilitazione in favore dei soldati imprigionati Augusto Masetti e Antonio Moroni. A Imola è fra i promotori della Settimana Rossa. Il suo attivismo si intensifica a livello nazionale proprio a partire dal 1914 quando, espulsi gli interventisti dall’USI, il conterraneo Armando Borghi assume la carica di nuovo segretario generale dell’organizzazione. Protagonista dello scontro di piazza contro i sostenitori dell’intervento, polemizza aspramente con i dirigenti sindacalisti che hanno “saltato il fosso” (l’ex segretario generale Tullio Masotti, Alceste De Ambris, Umberto Pasella, Michele Bianchi, Filippo Corridoni, Livio Ciardi...) e con il loro organo (usurpato) «L’Internazionale». Firma un appello per l’Unione Anarchica Piacentina di protesta “contro quei sovversivi che per pretesti di razza o di civiltà, invocano la legge militare e per mezzo della sua violenza vorrebbero mandare il proletariato al macello”. Durante il periodo bellico la polizia segnala la sua presenza a riunioni clandestine, sia di carattere antimilitarista che sindacale, in Emilia, Lombardia e Toscana. Scrive articoli su «La Voce proletaria», invia corrispondenze a «Guerra di Classe» e “Volontà». Instancabile nei suoi giri di propaganda, si prodiga per il consolidamento organizzativo di varie strutture militanti, dall’USI nazionale alla Camera del lavoro di Piacenza, dal Fascio libertario di Bologna a quello di Imola, alle Leghe dei minatori del Valdarno. Sottoposto a stretta vigilanza è più volte diffidato dalle autorità, arrestato e carcerato, processato e condannato per reati politici. La polizia sospetta che il S. sia affiliato ad un imprecisato (forse inesistente) “Comitato segreto rivoluzionario” dedito al sabotaggio ferroviario, con sede a Piacenza. Membro del consiglio generale dell’USI, contribuisce alla stesura di appelli pubblici che richiamano i principi, ritenuti inamovibili, della lotta di classe, dell’antimilitarismo, dell’internazionalismo proletario. Appoggia e organizza il passaggio in Svizzera dei disertori, la solidarietà agli operai militarizzati degli stabilimenti ausiliari imputati per propaganda sovversiva. In tutto questo viene certo facilitato anche dalla maggiore libertà di movimento che gli deriva dal suo nuovo impiego, presso la sede piacentina dell’impresa di trasporti Gondrand, come facchino caposquadra. Ma anche la Gondrand svolge compiti di supporto bellico e, per questi motivi, il prefetto ne dispone l’allontanamento dal Piacentino. Nell’aprile 1917 lo ritroviamo a Firenze per una riunione clandestina fra dirigenti dell’USI e membri del Comitato d’azione internazionalista anarchica. Sono fra gli altri presenti, oltre a Borghi, Pasquale Binazzi, Temistocle Monticelli, Virgilio Mazzoni e Torquato Gobbi. Nell’occasione si decide: di stampare un manifesto “diretto al popolo russo in rivoluzione”, di predisporre un piano insurrezionale non appena fossero iniziati moti rivoluzionari in Germania, di affidare il compito di mantenere la rete dei contatti a elementi fidati del Sindacato Ferrovieri, di aderire infine all’imminente convegno internazionale di Stoccolma convocato dal “Comitato degli operai e dei soldati di Pietrogrado”. Viaggia di continuo, nell’agosto è a Roma con Borghi, nella sede del PSI, per incontrare “due rappresentanti del Soviet Russo”. Nel settembre 1917 l’USI lo invia in Valdarno quale sostituto di Enrico Meledandri. S., pur sottoposto a strettissima sorveglianza e a provvedimenti restrittivi “assume la carica di segretario delle leghe minatori e rappresentante della massa operaia in quel bacino lignitifero di Cavriglia e di Castelnuovo dei Sabbioni e presenzia più volte alla riunione di commissioni operaie ricevute dalla Direzione delle Miniere per trattare argomenti di carattere economico”. Qui il sindacato conta cinquemila organizzati per un settore senz’altro strategico nell’economia nazionale di guerra. Nel 1919 i minatori del Valdarno guidati da S., primi al mondo insieme ai cavatori di Carrara, conquistano la giornata di sei ore e mezza. Il lunghissimo sciopero (undici settimane) rimarrà negli annali delle conquiste sindacali. “Contro i pescecani dell’Ilva e della Mineraria” e, soprattutto, “per più umane condizioni di lavoro” la mobilitazione operaia è coinvolgente, totale la solidarietà della popolazione. Scaduto l’ultimatum per una risposta della controparte al memoriale le maestranze passano all’azione diretta attuando le nuove turnazioni (“Le miniere ai minatori!”). La Mineraria accusa il sindacato di avanzare richieste fuori linea rispetto al resto degli operai italiani, perfino di quelli della Russia bolscevica! Intanto gli scioperi e i comizi pro Russia e Ungheria, i moti del Biennio Rosso creano ovunque un clima di grandi aspettative. In Valdarno il movimento generale si salda con quello sindacale. La lunga guerra di posizione si conclude nell’agosto 1919 con un ‘armistizio’ ed un comunicato congiunto delle parti. È la vittoria, incontestabile, dei minatori che ottengono persino il rimborso per la serrata. Nel corso del 1920, più volte S. partecipa a pubbliche manifestazioni, a convegni sindacali, per portare la solidarietà dei lavoratori delle miniere ai metallurgici che occupano le fabbriche, subendo per questo ripetute denunzie per incitamento all’odio fra le classi. Tiene con Errico Malatesta a San Giovanni Valdarno un memorabile comizio, di fronte ad una piazza straripante. Invia a Nitti un telegramma di protesta per la minacciata, poi rientrata, sospensione delle forniture di carta al nuovo quotidiano anarchico «Umanità nova» di Milano: “Minatori Valdarno ammoniscono Governo effettueranno sciopero appena Umanità nova sospende pubblicazione causa mancanza carta. Segretario Sassi”. È in questa fase di guerriglia di classe dilagante che si arriva, in Valdarno, al tragico 23 marzo 1921. L’antefatto si verifica nella vicina San Giovanni dove viene assaltata e svaligiata un’armeria. Un’auto di fascisti proveniente da Firenze viene fatta segno da “un fuoco incrociato di fucili, rivoltelle e bombe a mano dalle finestre e dai portoni”. Le barricate vengono rimosse dalle camicie nere che “aiutano la forza pubblica”. L’eco di questi avvenimenti funge da detonatore per il vicino bacino minerario. Un gruppo di minatori fa irruzione negli uffici, occupa il centralino telefonico e appicca fuoco alla direzione. Esplodono colpi di rivoltella e due bombe a mano. Viene colpito a morte l’ingegnere Agostino Longhi, e rimangono feriti il direttore e alcuni impiegati. Il processo contro i settantacinque “giudicabili” per i “moti rivoluzionari” del Valdarno si celebra nel 1923. Undici risultano gli assolti e cinquantacinque sono i condannati fra cui alcuni a trent’anni. A S. è comminata una pena di sedici anni di reclusione e un anno di vigilanza speciale quale istigatore morale dell’insurrezione. Dopo la condanna, continuano le violenze contro i familiari dei detenuti, i fascisti incendiano la casa di S. a Cavriglia. Il sindacalista romagnolo è sottoposto a trattamento carcerario duro e subisce trasferimenti dalle prigioni di Perugia a quelle di Spoleto e Portolongone. Scarcerato nel 1925 per indulto, si stabilisce a Imola. Da allora viene sottoposto a stretta vigilanza da parte della polizia. Nel 1928, a seguito di denuncia della questura di Roma, città dove nel frattempo si era trasferito, è disposta la sua assegnazione al confino di polizia di Ponza per cinque anni. Il provvedimento viene però commutato in ammonizione alla fine dello stesso anno. Dopo brevi soggiorni a Torre Pedrera e a Ravenna, per motivi di lavoro, nel 1930 è di nuovo nella capitale, dove continua ad essere vigilato. Alla divisione polizia politica risulteranno, per il 1934, contatti con elementi antifascisti rifugiati in Francia. Alla caduta del fascismo contribuisce alla riorganizzazione della CGIL e, dopo la liberazione, riprende i primi giri di propaganda nelle zone minerarie di tutt’Italia. Eletto segretario generale della Federazione Italiana Minatori e Cavatori (FIMEC), la sua attività ufficiale in seno alla CGIL unitaria ha inizio con il convegno sindacale dell’Italia liberata (Roma, settembre 1944). In quella sede si discute anche di ‘modelli’ della rappresentanza operaia, di democrazia interna. “Parlo a nome dei minatori valdarnesi...” esordisce S., auspicando per la Confederazione l’autonomia più completa dai partiti politici, nel segno di un autentico sindacalismo di classe. Il concetto è ribadito al 1° congresso della CGIL (Napoli, gennaio 1945) dove si pongono i presupposti per l’impostazione della vertenza delle miniere, per la stipula dei nuovi contratti a condizione però di sottoporli all’approvazione preventiva dei lavoratori. Intanto S., con Mario Mari, promuove il comitato provvisorio delle camere del lavoro riunite di Arezzo e del Valdarno. Nel dicembre 1945 è a Firenze per il 1° congresso nazionale della fimec che, dopo la relazione di S., vota una mozione per le sei ore giornaliere, per il collocamento in pensione dopo 25 anni di miniera e comunque al compimento del sessantesimo di età. A conclusione dell’assise Mari rende omaggio a S. definendolo una “bandiera mai ammainata”. “...Questo è l’uomo, o compagni minatori, che il Congresso di Firenze ha democraticamente rieletto a Segretario Generale della fimec. Chiamato dalla fiducia del Congresso a dividere con lui l’oneroso compito, sicuro di interpretare l’unanime sentimento di tutti i minatori e cavatori italiani, auguro ad Attilio Sassi molti anni ancora di vita, perché possa spenderla bene e per l’avvenire di tutto il proletariato d’Italia”. Chiamato a Roma da Di Vittorio sarà fortemente impegnato nella contrattazione di livello federale. Nel 1947, lancia un appello ai minatori e cavatori: “..Cercate di consolidare la Repubblica anche se essa non è quella che voi sognavate, per migliorarla e volgerla verso la libertà e la giustizia sociale. Difendetela! Voi che sfidate la morte continuamente, entro le viscere della terra; voi che nel lavoro rappresentate l’aristocrazia del sacrificio, le vittime del dovere; difendetela dalla reazione da qualsiasi parte venga..” Al II congresso nazionale della fimec (Firenze, febbraio 1947) S. relaziona sui processi di razionalizzazione produttiva in atto e sugli obiettivi economici e morali. Il congresso si pronuncia per l’unità sindacale al di fuori delle correnti politiche, per il diritto di sciopero e contro la serrata. Dopo la scissione, rimarranno nella CGIL socialcomunista le correnti minoritarie socialdemocratica, cristiana unitaria, indipendente, mazziniana, sindacalista. In quest’ultima sono ben rappresentati i minatori, con i loro dirigenti storici S. e Gaetano Gervasio eletti nel comitato direttivo confederale. Al III (Firenze 1948) e IV (Massa Marittima 1949) congresso della FILIE (Federazione Italiana dei Lavoratori delle Industrie Estrattive, secondo la nuova denominazione “unitaria”) S. interviene sui consigli di gestione, “per un controllo dei lavoratori sulla produzione nel campo tecnico-amministrativo”, e sulle nazionalizzazioni. Nell’ottobre 1949 a Genova, al II congresso nazionale della CGIL, si segnala un suo intervento, polemico ma molto applaudito. Esprime il suo vibrato dissenso: contro il vezzo di promuovere la formazione di commissioni tecniche e di studio con l’apporto di elementi vicini agli industriali o al governo; contro le correnti e per l’unità al di fuori e al di sopra dei partiti politici, per un maggior spazio ai comitati operai piuttosto che a deputati o senatori; per lo sciopero quale diritto dei lavoratori da difendere a oltranza. Intanto gli esiti negativi dei ripetuti tavoli di trattativa sfociano nella così detta gestione ‘illegale’ delle miniere del Valdarno. I lavoratori respingono i ricatti della Mineraria che ha intimato loro di cessare l’attività autogestita. S., dalle colonne di «Umanità nova» istiga ancora alla resistenza, come trent’anni prima. “[...] i minatori lotteranno sino all’estremo delle loro forze e, se sarà necessario, interverranno altre forze in aiuto per far s“ che anche in questa lotta i minatori possano raggiungere la vittoria”. E la vittoria arriva nell’aprile 1950, dopo 52 giorni di mobilitazione. Oltre ai dirigenti sindacali S. e Mari, ai parlamentari locali, sono intervenuti nella fase decisiva delle trattative e venendo personalmente in Valdarno, anche Giuseppe Di Vittorio e Pietro Nenni. Poi arriva, finalmente, il decreto ministeriale per l’affidamento della coltivazione delle miniere alla gestione diretta operaia. S. porta anche il suo contributo e la sua esperienza nei comitati direttivi confederali. Contrario all’unità d’azione con gli scissionisti, indica quali priorità irrinunciabili l’abolizione delle zone salariali e il rispetto dei contratti. A proposito della tendenza diffusa a trasformare il cottimo individuale in collettivo sostiene che “nella lotta contro il supersfruttamento, contro le ore straordinarie, i cottimi ed altri incentivi, dobbiamo cercare di non fare accettare alla classe operaia il concetto egoistico del cottimo”. Al III congresso della CGIL (Napoli, 26 novembre-3 dicembre 1952) la corrente “anarcosindacalista” interviene nel dibattito con propri esponenti membri del direttivo confederale, dirigenti del sindacato minatori, delegati di grandi fabbriche. S., dopo aver svolto una sua relazione in tema di salario operaio, critica le interferenze dei partiti politici nella vita organizzativa del sindacato. In rapporto di intensa amicizia con Di Vittorio, con il quale aveva condiviso nell’USI esperienze notevoli e fondamentali per la sua formazione di dirigente, nella CGIL egemonizzata dai comunisti, S. è rispettato e tenuto in grande considerazione. Questo nonostante che il suo spirito libero e antiautoritario non gli facesse sottacere la sua forte avversione alle dittature dell’Est europeo. All’età di ottant’anni fa il suo ultimo intervento in un congresso nazionale della CGIL (il IV a Roma, 27 febbraio-4 marzo 1956). Con grande energia denuncia quelli che ritiene gli errori più gravi commessi dall’organizzazione, nell’accettazione della scala mobile (“miseria stabile”), del regolamento per le commissioni interne, nell’impostare le lotte “con un minimo di sacrificio, con la speranza vana di un massimo risultato”. Sulle nazionalizzazioni, un tema che ormai pare acquisito in tutta la sinistra sindacale e politica, e sulle nuove funzioni confederali prospettate da “sindacato del controllo”, avanza serie riserve. Muore a Roma il 24 giugno del 1957. I funerali sono seguiti da una folla di amici e compagni. Ci sono i minatori del Valdarno e i cavatori di Carrara, ci sono rappresentanti della CGIL, della FAI, del PCI, e c’è Di Vittorio. L’orazione funebre è pronunciata da Borghi. Nel 2001 il comune di Cavriglia delibera di intestargli la strada principale del Villaggio Minatori a Santa Barbara. (G. Sacchetti)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Pubblica sicurezza, F1 / s. nera, f. Umanità nova; ivi, Pubblica sicurezza (1921), f. Arezzo; Archivio dello Stato - Arezzo, Corte d’Assise (1923), processo contro Quartucci Dante e altri; Archivio dello Stato - Arezzo, fondo Avvocato Giovanni Droandi, f. Processi di S. Giovanni V.no e Castelnuovo; Archivio Storico dell’ENEL “Piero Ginori Conti”, Firenze, Società Mineraria del Valdarno, f. Documentazione attività sindacali; Intervista a Edera Sassi (Imola, 10 novembre 1993), a cura di G. Sacchetti, inedita; Attilio Sassi è morto, «Umanità nova», 30 giu. 1957; «Il Momento», Imola, 4 lug. 1957 (necrologio); I funerali di Attilio Sassi, «Umanità nova», 7 lug. 1957.

Bibliografia: Scritti di S.: Memoriale di Attilio Sassi, «Fede!», Roma, 16 dic. 1923; Saluto ai minatori, «Vita della Miniera», Iglesias, 20 mag. 1947; La lotta dei minatori del Valdarno e l’intervento della Magistratura, «Umanità nova», 28 ago. 1949; L’avvenire del lavoro, «Il Libertario», Milano, 30 nov. 1949; Errico in Valdarno, «Umanità nova», 6 dic. 1953; Agitazioni passate, «Umanità nova», 16 ott. 1955; Le correnti e l’unificazione, «Rassegna Sindacale», n.22, 30 nov. 1956 (e «Umanità nova», 10 lug. 1960). Scritti su S.: Comitato dell’USI, Ai compagni d’Italia!, «Il Libertario», 7 gen. 1915; La lotta dei minatori d’Italia per le sei ore. Il Valdarno ha proclamato lo sciopero generale, «Guerra di Classe», 31 mag. 1919; Le sei ore e mezzo conquistate dai nostri minatori, «Guerra di Classe», 23 ago. 1919; «Rivista del Servizio Minerario», 1919, passim; «La Nazione», mag.-giu. 1923, passim; «Il Giornale Nuovo», mag.-giu. 1923, passim; I condannati del Valdarno, «Guerra di Classe», 1° ago. 1923; «Il Piccone», Firenze, 31 dic. 1945; «Il Piccone», 2 apr. 1947; La CGIL dal Patto di Roma al Congresso di Genova, vol. I, Roma 1949; «Notiziario della CGIL», 1949, 1950, 1951, 1952, 1953, passim; P.G. [G. Peluzzi], Agitazioni operaie nell’Aretino, «Umanità nova», 31 ott. 1954; L’intervento di Attilio Sassi, «Il Libertario», Milano, 17 mar. 1956; G. Verni, L’USI in provincia di Arezzo, «Volontà», set.-ot. 1973; F. Nibbi (a cura di), Antifascisti raccontano come nacque il fascismo ad Arezzo, Arezzo 1974; L. Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1 t. 2. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero (1872-1971), Firenze 1976, pp. 49-77; Il Movimento Operaio Italiano Dizionario Biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen, a cura di I. Biagianti; B. Miliciani, L’Unione Sindacale Italiana nelle lotte operaie aretine (1919-1921), Tesi di laurea, Univ. di Siena, aa. 1979-’80; Gruppo Malatesta Imola, Attilio Sassi. Un sindacalista anarchico in 50 anni di lotte, «Autogestione», Milano, n.6/1980; R. Manfredini, Difesa Sindacale: la componente anarchica nella Confederazione Generale Italiana del Lavoro (1944-1960), Tesi di laurea, Univ. di Bologna, a.a. 1986-1987; G. Sacchetti, G. Cardinali, Dal sacrificio degli uomini al sacrificio ambientale, «L’Osservatore», Arezzo, mar.-apr. 1989; G. Sacchetti, Attilio Sassi (1876-1957). Un sindacalista imolese fra i minatori del Valdarno, «Università Aperta. Terza Pagina», Imola, n.2/1994; Id., Camicie nere in Valdarno. Cronache inedite del 23 marzo 1921 (guerra sociale e guerra civile), pref. di G. Arfé, Pisa 1996, ad indicem; Id., Sindacalisti e anarchici: il socialismo rivoluzionario valdarnese e aretino, «Annali Aretini», (IV) 1996, Firenze 1997, pp.179-191; Id., Ligniti per la patria. Collaborazione, conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle miniere del Valdarno Superiore (1915-1958), Roma 2002.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Luigi e Anna Lucia Selva

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

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