MARTUCCI, Vincenzo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
MARTUCCI, Vincenzo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Caserta
Data di nascita
March 20 1904
Luogo di morte
Atri

Biografia / Storia

Nasce a Caserta il 20 marzo 1904 da Ettore e Jole Morelli, i suoi studi sembrano arrestarsi alla soglia del ginnasio, nonostante successive indebite appropriazioni di lauree. Controversa figura di marginale dell’anarchismo, costantemente diffidato, fin dal 1924, dai circoli e dai gruppi anarchici italiani. Tacciato di essere una spia, un millantatore, un truffatore, M. è riuscito per decenni a muoversi e talvolta anche a trovare credito in quel sottobosco individualista percorso da tentazioni amoralistiche per non dire immoralistiche che ha sempre attecchito, come “edera maledetta”, negli ambienti degli “irregolari” del movimento libertario. Appena sedicenne fugge di casa e si distingue per la violenza verbale, come quando a Voghera tiene nel giugno 1920 una commemorazione di Bresci. Una serie di denuncie gli costa l’assegnazione al Riformatorio Ferrante Aporti di Torino, da cui viene rilasciato nel 1921 con l’intermezzo di una evasione. In un crescendo di fughe, ritorni a casa, fermi di polizia, nell’aprile 1922 M. s’iscrive al PNF venendone però espulso dopo un mese. Nel luglio successivo il diciottenne M. ingaggia, sulle colonne di «Umanità nova», una breve polemica con Malatesta (La voce di un “individualista”, «Umanità nova», 13 lug. 1922) il quale, di fronte al proclamato “egoarchismo” e alla “satanica superbia” di M., ritiene opportuno ribadire La base morale dell’anarchismo (ivi, 16 set. 19227 e distinguere tra Libertà e delinquenza (ivi, 30 set. 1922). Ha così inizio la prolifica nonché prolissa carriera pubblicistica di M. che, utilizzando anche lo pseudonimo di Enzo da Villafiore, collabora nel 1923 a «La Rivendicazione» (Parigi) di Tintino Rasi e poi a «L’Adunata dei refrattari» e all’«Iconoclasta!» (Parigi) di Virgilio Gozzoli, esaltando indifferentemente gli attentatori del Diana, Giuseppe De Luisi, Bonnot e Pontillo. L’amoralismo di vent’anni prima di Massimo Rocca, alias Libero Tancredi, sembra impallidire di fronte alle dichiarazioni di illegalismo e di satanismo del giovane M. Nel 1924 ha luogo un episodio alquanto oscuro: M. è segnalato aver partecipato o guidato un gruppo di fascisti all’assalto di un Circolo repubblicano di Caserta. Al di là dell’attendibiltà della circostanza, sia «Fede» che «Pensiero e volontà» nel settembre-ottobre 1924 danno notizia di una sua conversione al fascismo (“Sia grazia al fascismo che ce l’ha tolto dai piedi”, «Fede», 5 ott. 1924). Il dato interessante è che M. viene difeso sulle colonne de «Il Picconiere» (Marsiglia) di Paolo Schicchi a dimostrazione della incredibile capacità di un soggetto considerato “manicomiale” di procurarsi forme di solidarietà in ambienti in cui il culto dell’“en-dehors” rasenta la patologia. Nel 1925 inizia per M. una lunga serie di vicissitudini giudiziarie per reati comuni che lo inducono a proporsi come infiltrato nei circoli antifascisti in una spirale di accuse e ritrattazioni che lo squalificano agli occhi degli inquirenti. Il suo girovagare gli procura diversi rimpatri e alla fine del 1926 gli viene comminata l’ammonizione, con la variante suppletiva di una condanna per oltraggio al pudore. Dopo una temporanea emigrazione clandestina in Francia, nel settembre 1929 viene nuovamente sottoposto all’ammonizione per un biennio e nel novembre 1933 assegnato per reati comuni a 3 anni di confino (a Lampedusa e alle Tremiti) subendo nel frattempo anche una condanna per sfruttamento della prostituzione. Rilasciato nel novembre 1936, M. si trasferisce a Napoli dove entra in contatto con Giuseppe Imondi. Di nuovo arrestato, accusato di “professare e propagandare idee anarchiche” è assegnato al confino per 5 anni e inviato alle Tremiti. Tradotto nel 1938 a Ventotene, non riuscendo ad ottenere atti di clemenza per via ordinaria scrive a Mussolini professandosi stirneriano ma sostanzialmente indifferente ad ogni regime politico e ben più preoccupato del comunismo che non del fascismo. Trasferito nel 1939 ad Isernia, viene liberato nel 1942 e può rientrare a Napoli. Ma già nel gennaio 1943 è denunciato per furto e arrestato. La vicenda che segue è troppo complessa, confusa e tutto sommato irrilevante per indurci a entrare nel dettaglio. Basti dire che M., una volta in carcere, denuncia l’esistenza di un complotto antifascista facendo i nomi dei presunti complici. Ma, come già in precedenza, messo a confronto con gli accusati, ritratta e viene a sua volta denunciato per reato di calunnia e condannato a 2 anni e 6 mesi. Nel processo d’appello, tenutosi a Liberazione avvenuta, M. è invece assolto con l’implicita ammissione della autenticità del complotto e quindi della sua delazione. Nel maggio 1944 M. pubblica a Bari il suo primo numero unico «Ribellione», a cui ne seguiranno molti altri, mentre negli ambienti libertari viene diffusa la notizia (in realtà priva di fondamento) che sia stato confidente dell’OVRA. Alla fine del 1944 M. pubblica il primo di una lunga serie di opuscoli, Non credere, non obbedire, non combattere. A guerra finita cerca di riprendere i rapporti con gli anarchici ed entra in contatto con Lato Latini, alla cui giovane figlia si unisce, stabilendosi a Firenze. Nel dicembre 1945 «Volontà» lancia nei suoi confronti la prima diffida del dopoguerra e nel febbraio 1946 il “caso Martucci” diventa oggetto di un giurì composto, tra gli altri, da Giovanna Berneri, Cesare Zaccaria, Armido Abbate, che nella circolare finale lo qualifica come un “volgare delatore ed un ricattatore privo di senso morale”, perciò “indegno” di appartenere al movimento libertario. Ma il senso morale è proprio quello che M., nella sua totale accettazione di ogni pulsione “egoistica”, condanna. Oltre alla pubblicazione di articoli sui numeri unici editi da Lato Latini nel 1946 («Gli Scamiciati», «L’Anarchia», con polemica con il giovane Pier Carlo Masini, «L’Idea libera»), M. si specializza nel contraddittorio anticlericale con frati, prelati, religiosi di varia natura, da cui, secondo la sua versione, esce immancabilmente vittorioso. La sua capacità di sollevare polemiche e di seminare discordia è tale che la Federazione Anarchica Campana esce, nel maggio 1946, con un opuscoletto dal titolo Chiusura del caso Martucci. L’affaire in realtà è tutt’altro che chiuso. Alle denunce degli anarchici M. risponde accusando la FAI di essere in combutta con la Chiesa, Pio Turroni di aver fatto la guerra di Spagna seduto al caffè, Cesare Zaccaria di essere l’uomo di fiducia dell’armatore Lauro, ecc. Nonostante il preoccupante versante patologico dei suoi scritti M. riesce ancora a trovare qualche sostegno alle sue tesi di libertà senza confini, ad esempio in Renzo Ferrari, il figlio di Renzo Novatore, e nel 1948 entra in rapporto epistolare con Mario Mariani, da poco tornato dall’Argentina e in cerca di adepti per un nuovo movimento politico. L’iniziativa non avrà seguito, ma è interessante comunque che Mariani, come altri, prendano M. in considerazione tanto da intessere con lui una vibrante corrispondenza. Puntualmente seguito dalle diffide di «Umanità nova», nel 1950 M. si trasferisce a Pescara dove pubblica il volume La bandiera dell’Anticristo, nel quale scrive: “la salvezza dell’individuo è nell’individuo stesso. Se egli saprà diventare unico come Stirner, superuomo come Nietzsche ed anticristo come me”. Anche i suoi lavori successivi, come a esempio La sette rossa (1953), si presentano come una miscela corrosiva di letture maldigerite, sconcertante nella sua superficialità culturale e costantemente autoreferenziale. Nel 1956 si stabilisce prima a Firenze, poi a Lucca, per tornare infine nel 1959 a Pescara. In questo periodo entra in corrispondenza – intensissima, a quanto pare - con Carmelo Viola e collabora alla rivista di quest’ultimo, «Previsioni». A Pescara s’immerge nella vita politica locale, entrando in dura polemica con il sindaco e pubblicando diversi numeri unici (più di 25) che vanno dall’annosa questione della stazione ferroviaria pescarese ad Anarchia ed anarchismo, anche questa una reminiscenza tancrediana. Impossibile citare compiutamente la sua enorme e farraginosa produzione scritta, basti dire che riesce a rispolverare perfino il dannunziano Corrado Brando, sempre di tancrediana memoria. Nonostante sia ora più defilato, «Umanità nova» nel luglio 1966, per la penna di Alfonso Failla, non cessa di denunciarlo come spia. Perfino Julius Evola, con cui possiamo azzardare condividesse alcuni tratti caratteriali, lo nota e scrive di lui. Tutto ciò che suona ribellione trova in M. parole di elogio: da Graziano Mesina e i banditi sardi al sudtirolese Alois Amplatz, da Che Guevara al rapinatore Pietro Cavallero, dal condannato per plagio Braibanti a Charles Manson detto Satana. Muore il 17 luglio 1975 ad Atri (TE), dopo aver inutilmente tentato, scrivendo ripetutamente a Prezzolini, di stabilirsi in Svizzera. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, cp, b. 634, ad nomen.
 
Bibliografia:
Scritti di M: Non credere, non obbedire, non combattere, Piombino [1944]; Più oltre, Pistoia 1947; Mastro Titta ritorna, Pistoia 1948; Stroncatura del gesuita Lombardi, Pistoia 1948; Contro il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, Firenze 1949; Risposta a Papa Pacelli, Firenze 1949; La bandiera dell’Anticristo, Bologna 1950; No ai democristi, chierici e imposture, Pescara 1951, 1951; La setta rossa, Pescara 1953.
 
Scritti su M.: G. Bellei, L’edera maledetta. Vita ed opere di Enzo Martucci un individualista sottoproletario, Piombino 1990. 

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Ettore e Jole Morelli

Bibliografia

2004

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