DALEFFE, Camillo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
DALEFFE, Camillo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Vicenza
Data di nascita
30/11/1902

Attività e/o professione

Qualifica
Operaio metallurgico

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Vicenza il 30 novembre 1902, operaio metallurgico. Trasferitosi a Voghera, abbraccia le teorie anarchiche e aderisce al Gruppo libertario locale. Il 10 aprile 1920 viene schedato. Il “cenno biografico” recita che riscuote “fama discreta”, professa accesamente le idee anarchiche ed “è sempre il primo in tutte le manifestazioni sovversive”. Accusato il 31 luglio 1920, insieme a Aldo Aguzzi e Enzo Martucci, di aver dato dei “traditori” e delle “guardie regie” ad alcuni socialisti, replica di essersi limitato a criticarli, perché avevano boicottato lo sciopero generale, indetto dal gruppo anarchico per ottenere il rilascio di un sovversivo, incarcerato per aver reagito alle sopraffazioni fasciste. Nel settembre 1920 partecipa all’occupazione delle fabbriche e nel dicembre 1921 emigra a Buenos Aires, dove si fa presto notare per l’intransigenza e capacità di azione. Nel 1923 prende parte alla fondazione del gruppo anarchico “L’Avvenire”, insieme ad Aguzzi, Giacomo Sabbatini, Luigi Tibiletti, Carlo Fontana e Pasquale Caporaletti, e, il 3 febbraio 1924, scrive sull’omonimo giornale che i veri eroi della guerra sono i disertori, perché hanno rifiutato di sparare sui loro fratelli. Il 1° aprile e il 15 maggio risponde al “sincero comunista” Carlo Ciarlante, che ha protestato perché gli anarchici conducono una campagna di denuncia contro la dittatura sovietica, ricordandogli che in Russia la borghesia è stata sostituita da una casta, che sfrutta violentemente i lavoratori e che, invece di assicurare una maggiore libertà, ha rafforzato la polizia, i tribunali, le galere e tutte le istituzioni repressive. Amministratore del giornale di Aguzzi dal 1° giugno, D. viene arrestato durante lo sciopero del 6 giugno e accusato di “intemperanze”. Liberato dopo 20 giorni, è incarcerato per “misure preventive di sicurezza”, in occasione della visita del principe ereditario italiano, e segnalato come elemento pericoloso, perché presiede le riunioni sovversive “con spirito di odio contro il fascismo e i suoi capi”. Il 1° luglio D. critica i comunisti locali, che, guidati dal “mastodontico” Codovilla, hanno assalito i riformisti e i massimalisti, durante la commemorazione di Matteotti, e non si sono peritati di fare l’apologia della dittatura del proletariato, “presentandola come l’unica forma d’organizzazione da contrapporre alla dittatura fascista” e il 15 luglio contesta al quotidiano antifascista «L’Italia del popolo» di Buenos Aires di aver fatto l’apologia del regime dittatoriale sovietico, “ben sapendo che in Russia la dittatura è esercitata dal partito comunista che è una infima minoranza”, che si è impadronita del potere, “usando metodi più o meno fascisti”, “pei loro fini di partito”. Il 5 ottobre firma, insieme a Sabbatini, a Luigi e Luisa Tibiletti, a Carlo Marchesi e ad altri compagni, una lettera dove riafferma il diritto del gruppo “L’Avvenire” di dissentire dalle decisioni del Comité pro presos y deportados di espellere dei compagni, senza essere, perciò, tacciato di ostilità verso gli anarcosindacalisti della fora e di “antorchismo”: “Del resto coloro che non hanno piegato sotto la dittatura fascista non possono piegare nemmeno sotto la dittatura anarco-sindacalista”. In novembre, dopo il riconoscimento dell’urss da parte della Francia, D. afferma che la rivoluzione francese e quella russa non si danno affatto la mano, perché la rivoluzione del 1789 non è che un pallido ricordo e la Russia attuale non è più quella del 1917. Il 5 gennaio 1925 risponde all’anarchico individualista J. Chazoff che il suo intervento su «L’Avvenire» di Buenos Aires dà forza alla tesi, da lui sostenuta, che gli anarchici comunisti e individualisti possono “lavorare uniti a vantaggio dell’anarchia, sempre che vi sia sincerità e correttezza”, poi, qualche mese dopo, entra in contrasto con Aguzzi e Sabbatini e si stacca dal gruppo “L’Avvenire”, per fondare un altro gruppo libertario, che, in dicembre, dà alle stampe, a Buenos Aires, un “periodico anarchico di propaganda spicciola”, «La Rivolta», per far conoscere ai lavoratori italiani, emigrati in Argentina, “i brani migliori dei numerosi volumi che costituiscono la vasta bibliografia anarchica”, e favorire la loro formazione civile e culturale. La nuova esperienza, però, non supera il secondo numero, perché le precarie condizioni di salute costringono D. ad appartarsi. Ciò malgrado egli viene fermato e interrogato dalla polizia argentina, dopo il tremendo attentato al Consolato d’Italia di Buenos Aires, effettuato da Di Giovanni il 23 maggio 1928. Rimesso in libertà, D. continua a risiedere nella capitale argentina, occupandosi principalmente del suo lavoro e migliorando la propria condizione economica, tanto che nel 1936 possiede, assieme al cognato, una piccola fonderia di bronzo. Negli anni seguenti sostiene la stampa anarchica argentina e nel 1976 vive ancora a Buenos Aires, da pensionato. S’ignorano data e luogo di morte. (F. Bucci – R. Bugiani – G. Piermaria)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio privato Fausto Bucci – Follonica (Gr), L. Tibiletti lettera a Marika Bianca Montani, Bahia Blanca, mar. 1976.

Bibliografia: M.B. Montani, L’attività dell’anarchico Aldo Aguzzi durante l’esilio in Argentina (1925-1936), Tesi di laurea, Univ. di Pisa, aa. 1976-77, pp.5, 10-11. 

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Bibliografia

2003

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