CORTESE, Salvatore
Tipologia Persona
Intestazione di autorità
- Intestazione
- CORTESE, Salvatore
Date di esistenza
- Luogo di nascita
- Lungro
- Data di nascita
- February 21 1899
- Luogo di morte
- Lungro
Biografia / Storia
- Nasce a Lungro (Cs) il 21 febbraio 1899 da Domenico e Teresa Maria De Marco, bracciante. Soldato nella Prima Guerra mondiale, viene ferito e fatto prigioniero dagli austriaci. Dopo la fine del conflitto, torna a Lungro e si iscrive al PCdI, facendosi notare – scriverà la Questura di Cosenza il 24 aprile 1932 – per la sua attività “volta a contrastare e ad ostacolare l’azione dei poteri dello Stato” e per la sua “velenosa propaganda sovversiva”. La nascita dello squadrismo lo spinge a intensificare l’attività comunista e a organizzare, nel paese di origine, dei “gruppi di sovversivi”, che affrontano “gli elementi fascisti del luogo”. Emigrato in Argentina il 14 marzo 1924, prende subito contatto con “gli elementi più accesi del partito comunista, affinando la sua cultura e rinfocolando il suo odio” contro il regime fascista. In seguito abbraccia le idee anarchiche e viene denunciato per aver scritto alla madre una lettera dove non mancano gli insulti a Mussolini. Condannato dal Tribunale di Castrovillari, il 20 agosto 1926, a otto mesi di reclusione e a una multa per “offese al duce” e ritenuto “pericolosissimo”, aderisce, verso la metà del 1929, al gruppo “Umanità nova”, fondato da Lino Barbetti. Nello stesso periodo scrive tre articoli per la rivista «Eresia» di New York (Qualche parola sulle associazioni libere di produzione e di scambio, dic. 1928; Erronee interpetazioni dell’individualismo anarchico, gen. 1929; L’improfetizzabile avvenire di fratellanza, mar. 1929) e ha un’aspra polemica con i giornali comunisti «La Internacional» e «Ordine nuovo» sulla deportazione in Siberia dell’anarchico Francesco Ghezzi. Considerato temibile dall’Ambasciata fascista di Buenos Aires “per la passione che egli porta nelle contese politiche”, sottoscrive, nel 1930, delle piccole somme per il periodico «Fede!» di Parigi, raccoglie aiuti per Gino Lucetti, Sante Pollastro, Gino D’Ascanio e altri compagni di fede, diventa segretario del Comitato anarchico pro vittime politiche d’Italia e scrive due articoli sul risveglio dell’India per la rivista «Studi sociali», che L. Fabbri pubblica a Montevideo. Arrestato nel 1931, viene rinchiuso nel carcere di Villa Devoto, insieme a Cesare Cucchi, Antonio De Marco e Gregorio Soria, con l’accusa di essere coinvolto “moralmente” negli attentati dinamitardi di Severino Di Giovanni, al quale le forze di polizia locali pretendono che C. fosse legato. Espulso dal paese il 27 febbraio 1932 e deportato in Italia, è arrestato a Napoli il 23 marzo, per essere quindi tradotto a Cosenza e assegnato al confino per cinque anni, in quanto “individuo dominato dalla passione rivoluzionaria e capace di infrangere alla prima occasione l’ordine costituito”. Il 25 aprile 1932 la rivista di Fabbri postilla un suo articolo, intitolato L’anarchismo e la violenza, per difenderlo dalle “menzogne calunniatrici della polizia argentina che ha cercato di farlo passare per delinquente comune”, e che lo ha posto “in relazione con Severino di Giovanni, conducente allora vita estralegale”, mentre “di fatto Cortese non aveva con questi rapporti di sorta ed era diviso da lui anche da un profondo dissenso di idee e di metodi”. Relegato a Ponza, C. è condannato dalla Pretura locale, il 26 agosto 1932, a una multa per aver violato il regolamento della colonia. Negli anni seguenti gli anarchici italiani, che ha conosciuto in Argentina, cercano di aiutarlo, spedendogli da Bahia Blanca e da Buenos Aires libri, riviste e denaro, che vengono sequestrati, quando giungono a destinazione. Iscritto nella lista dei sovversivi attentatori, C. viene rilasciato il 1° aprile 1937 e ritorna a Cosenza, dove viene fermato il 27 marzo 1939, alla vigilia di una visita di Mussolini, poi, il 12 settembre, la sua iscrizione nella prima categoria degli oppositori viene confermata, insieme a quelle di Ida Scarselli e Giacomo Bottino. Negli anni successivi C. vive a Cosenza, dove viene sorvegliato sino alla caduta del regime fascista. Nel dopoguerra riprende l’attività nel movimento anarchico ed è in stretto contatto con Giovanna Berneri. Muore a Lungro il 27 luglio del 1951. Dopo il decesso la famiglia continua a ricevere aiuti da Luce Fabbri, Pio Turroni, Giovanna Berneri, Nino Woditzka e altri compagni. (R. Bugiani – G. Piermaria – A. Tozzi)
Nasce a Lungro (Cs) il 21 febbraio 1899 da Domenico e Teresa Maria De Marco, bracciante. Soldato nella Prima Guerra mondiale, viene ferito e fatto prigioniero dagli austriaci. Dopo la fine del conflitto, torna a Lungro e si iscrive al PCdI, facendosi notare – scriverà la Questura di Cosenza il 24 aprile 1932 – per la sua attività “volta a contrastare e ad ostacolare l’azione dei poteri dello Stato” e per la sua “velenosa propaganda sovversiva”. La nascita dello squadrismo lo spinge a intensificare l’attività comunista e a organizzare, nel paese di origine, dei “gruppi di sovversivi”, che affrontano “gli elementi fascisti del luogo”. Emigrato in Argentina il 14 marzo 1924, prende subito contatto con “gli elementi più accesi del partito comunista, affinando la sua cultura e rinfocolando il suo odio” contro il regime fascista. In seguito abbraccia le idee anarchiche e viene denunciato per aver scritto alla madre una lettera dove non mancano gli insulti a Mussolini. Condannato dal Tribunale di Castrovillari, il 20 agosto 1926, a otto mesi di reclusione e a una multa per “offese al duce” e ritenuto “pericolosissimo”, aderisce, verso la metà del 1929, al gruppo “Umanità nova”, fondato da Lino Barbetti. Nello stesso periodo scrive tre articoli per la rivista «Eresia» di New York (Qualche parola sulle associazioni libere di produzione e di scambio, dic. 1928; Erronee interpetazioni dell’individualismo anarchico, gen. 1929; L’improfetizzabile avvenire di fratellanza, mar. 1929) e ha un’aspra polemica con i giornali comunisti «La Internacional» e «Ordine nuovo» sulla deportazione in Siberia dell’anarchico Francesco Ghezzi. Considerato temibile dall’Ambasciata fascista di Buenos Aires “per la passione che egli porta nelle contese politiche”, sottoscrive, nel 1930, delle piccole somme per il periodico «Fede!» di Parigi, raccoglie aiuti per Gino Lucetti, Sante Pollastro, Gino D’Ascanio e altri compagni di fede, diventa segretario del Comitato anarchico pro vittime politiche d’Italia e scrive due articoli sul risveglio dell’India per la rivista «Studi sociali», che L. Fabbri pubblica a Montevideo. Arrestato nel 1931, viene rinchiuso nel carcere di Villa Devoto, insieme a Cesare Cucchi, Antonio De Marco e Gregorio Soria, con l’accusa di essere coinvolto “moralmente” negli attentati dinamitardi di Severino Di Giovanni, al quale le forze di polizia locali pretendono che C. fosse legato. Espulso dal paese il 27 febbraio 1932 e deportato in Italia, è arrestato a Napoli il 23 marzo, per essere quindi tradotto a Cosenza e assegnato al confino per cinque anni, in quanto “individuo dominato dalla passione rivoluzionaria e capace di infrangere alla prima occasione l’ordine costituito”. Il 25 aprile 1932 la rivista di Fabbri postilla un suo articolo, intitolato L’anarchismo e la violenza, per difenderlo dalle “menzogne calunniatrici della polizia argentina che ha cercato di farlo passare per delinquente comune”, e che lo ha posto “in relazione con Severino di Giovanni, conducente allora vita estralegale”, mentre “di fatto Cortese non aveva con questi rapporti di sorta ed era diviso da lui anche da un profondo dissenso di idee e di metodi”. Relegato a Ponza, C. è condannato dalla Pretura locale, il 26 agosto 1932, a una multa per aver violato il regolamento della colonia. Negli anni seguenti gli anarchici italiani, che ha conosciuto in Argentina, cercano di aiutarlo, spedendogli da Bahia Blanca e da Buenos Aires libri, riviste e denaro, che vengono sequestrati, quando giungono a destinazione. Iscritto nella lista dei sovversivi attentatori, C. viene rilasciato il 1° aprile 1937 e ritorna a Cosenza, dove viene fermato il 27 marzo 1939, alla vigilia di una visita di Mussolini, poi, il 12 settembre, la sua iscrizione nella prima categoria degli oppositori viene confermata, insieme a quelle di Ida Scarselli e Giacomo Bottino. Negli anni successivi C. vive a Cosenza, dove viene sorvegliato sino alla caduta del regime fascista. Nel dopoguerra riprende l’attività nel movimento anarchico ed è in stretto contatto con Giovanna Berneri. Muore a Lungro il 27 luglio del 1951. Dopo il decesso la famiglia continua a ricevere aiuti da Luce Fabbri, Pio Turroni, Giovanna Berneri, Nino Woditzka e altri compagni. (R. Bugiani – G. Piermaria – A. Tozzi)
Fonti
- Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Dipartimento Polizia politica, ad nomen; «Fede!», 10 mag. 1929; Entrate, ivi, 29 mar. 1930; Pro Fede!, ivi, 25 mag. 1930.
Bibliografia: S. Carbone, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Calabria, Cosenza 1977, p. 129; Rossi, ad indicem; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995 , ad nomen; A. Dal Pont, S. Carolini, L’Italia al confino, Milano 1983, ad indicem; L. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia di un uomo libero, Pisa, 1996, ad indicem.
Codice identificativo dell'istituzione responsabile
- 181
Note
- Paternità e maternità: Domenico e Teresa Maria De Marco
Bibliografia
- 2003