CIAVATTI, Carlo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
CIAVATTI, Carlo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Rimini
Data di nascita
December 21 1893
Luogo di morte
Foggia

Biografia / Storia

Nasce a Rimini il 21 dicembre 1893 da Giuseppe e Maria Liurni, straccivendolo. Per la polizia C. è un individuo pericolosissimo e non è suscettibile di ravvedimento, violento e rozzo, “dotato di forza fisica non comune e abilissimo nel tiro della pistola malgrado sia monco della mano destra”. Un’amputazione conseguente a un incidente occorsogli da giovane mentre stava scaricando una botte. L’infortunio alla mano (da allora verrà tristemente soprannominato “il Monco”), lo convince a guadagnarsi da vivere, sempre secondo le autorità, per mezzo di azioni delittuose, dalla ricettazione alla rapina. Più volte denunciato per istigazione a delinquere e oltraggio alle pubbliche autorità, omessa denunzia d’armi e detenzione di bombe, la sua giovinezza è un susseguirsi di reati, pene detentive e multe, pertanto dal 1907 al 1921 subisce quattro processi per un totale di sette mesi e tre giorni di reclusione. Si dice quindi che, proprio per queste ragioni, sia “temutissimo da ogni categoria di cittadini”, fino a essere “allontanato anche dagli aderenti ai partiti sovversivi”. Da molti è già considerato un anarchico individualista. Nell’agosto del 1921, in seguito a uno scontro tra gli Arditi del popolo di Rimini (la locale sezione è composta in prevalenza da anarchici e comunisti e le operazioni sono affidate all’anarchico Ciro Musiani) e due fascisti  bolognesi, ma residenti a Rimini, in cui restano feriti C. e un fascista, cresce la sua reputazione di anarchico d’azione. Più tardi C. si vanterà di aver partecipato in tutto a 18 imboscate e scontri a danno dei fascisti. Uno degli ultimi risale alla primavera del 1922 quando spara contro una squadraccia fascista vicino l’Arco di Augusto, nel Borgo XX Settembre a Rimini. Ricercato dalla polizia e dai fascisti trova la collaborazione del comunista Roberto Carrara (uno dei responsabili delle tre Squadre d’Azione di Rimini) il quale lo aiuta a riparare per qualche giorno presso l’abitazione del comunista Attilio Venturi, noto per essere stato tra i fondatori del PCdI riminese. Per tale reato il 6 giugno viene condannato a 40 giorni di reclusione. Nel frattempo è in corso una massiccia repressione giudiziaria contro molti anarchici e socialisti, accusati della morte (19 mag. 1921) di un guardia sala della stazione ferroviaria di Rimini, che è uno dei fondatori del PNF locale. Dei 26 arrestati a fine istruttoria (6 mag. 1922) solo sette sono rinviati a giudizio presso la Corte di assise di Forlì. Accusato come esecutore materiale dell’omicidio è l’anarchico Guerrino Amati. Suoi complici sono ritenuti gli anarchici Zeno Amati (il fratello), Dante Lazzari, Zeno Zavoli e Gabellini, il socialista Francesco Zama e il socialista, poi comunista, Edgardo Magrini. Tutti, tranne Gabellini e Lazzari arrestati successivamente, subiscono tre anni e mezzo di duro carcere preventivo. Il colpo di scena scoppia l’anno seguente, nell’autunno del 1923 quando emerge che il vero colpevole del delitto, con grande sorpresa di tutti, è proprio C. il quale è già in carcere per altri fatti politici contro i fascisti. Il 13 settembre 1923 infatti la Corte di appello di Bologna condanna C. a un anno e due giorni di reclusione, un anno di vigilanza speciale e una multa per minacce, lancio di bombe e violenze varie. Dal carcere a Forlì C. si autoaccusa come unico esecutore della morte del ferroviere, ma per molto tempo non viene creduto fino a quando la verità viene scoperta da un commissario di Pubblica sicurezza. Il 14 novembre 1924 i due processi, unificati in un unico dibattimento presso la Corte d’assise di Forlì, vedono l’assoluzione piena per tutti i precedenti imputati e la condanna di C. a 16 anni e 18 mesi di reclusione e a due anni di libertà vigilata. Per otto anni C. resta rinchiuso nelle carceri di Padova, poi nel 1932 è trasferito a Castelfranco Emilia. L’anno successivo, con una disposizione del Ministero di Giustizia, ritenendosi che C. sia un sovversivo capace di compiere attentati ed azioni terroristiche, per precauzione viene trasferito in un primo momento nella casa penale di Ancona, considerata più sicura, poi a Civitavecchia. Per buona condotta ottiene una riduzione della pena e la data del rilascio è fissata per il 10 maggio 1936. C. non può fare ritorno nella sua città natale perché è ancora vivo il rancore tra i fascisti per l’atto delittuoso e ciò potrebbe tradursi in azioni vendicative. Le autorità negano altresì la richiesta presentata da C. di risiedere a Pesaro, già crocevia di noti sovversivi, oltre a essere una città non molto distante da Riccione, luogo della residenza estiva di Mussolini. Il 23 giugno riceve l’autorizzazione a stabilirsi ad Ancona dove lo attende una ferrea vigilanza speciale. Nella città dorica le opportunità di lavoro sono limitate e la richiesta di manodopera è da tempo esaurita, pertanto C. si arrangia a fare lo straccivendolo attenendosi come può alle disposizioni delle autorità. Sperando in un atto di clemenza scrive al Duce una lettera in cui espone l’urgenza di ritornare dai suoi familiari, per potere ricevere da essi una dignitosa e vitale assistenza. Il 21 gennaio 1937 è tratto in arresto per contravvenzione alla libertà vigilata (resterà in carcere quattro giorni). Il 20 febbraio 1938 il giudice di sorveglianza del Tribunale di Ancona assegna, beffardamente, C. alla Colonia agricola dell’Asinara – reparto minorati fisici – per la durata di un anno. Nel marzo dell’anno successivo C. ritorna ad Ancona per revoca della misura di sicurezza detentiva, ma è ormai alle strette, costretto cioè a una vita di stenti per mancanza di mezzi di sussistenza. Il 1° aprile 1939 si trasferisce a Napoli, con la speranza di rifarsi una vita ma il 27 giugno per misure di Pubblica sicurezza è tratto in arresto e condotto nelle carceri della città partenopea. Un mese dopo, con un’ordinanza giudiziaria, è costretto a fare ritorno ad Ancona. Chiede di nuovo un’assegnazione al confino di polizia. Il 17 ottobre 1939 C., munito di mandato per il confino, raggiunge l’isola di Ventotene per la durata di cinque anni. Nella primavera del 1943 viene trasferito alla colonia per confinati politici alle Tremiti. Per circostanze ignote viene condotto nel carcere di Foggia dove muore suicida nel gennaio del 1947. (L. Febo)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: E. Vichi, A. Bertozzi, Nelle mani della giustizia. Il delitto Platania nella politica riminese, Bologna, 1976; G. Giovagnoli, Storia del Partito Comunista nel riminese 1921/1940, Rimini 1981; R. Carrara, La lunga lotta (a cura di P. Zaghini), «Storie e storia» (Rimini), ott. 1984.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Giuseppe e Maria Liurni

Bibliografia

2003

Persona

Collezione

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