GAGGI, Otello

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
GAGGI, Otello

Date di esistenza

Luogo di nascita
San Giovanni Valdarno
Data di nascita
May 6 1896
Luogo di morte
Russia

Biografia / Storia

Nasce a San Giovanni Valdarno (AR) il 6 maggio 1896 da Silvio e Adele Rossi, operaio saldatore. Di famiglia operaia, terzo di quattro figli, rimane presto orfano di mamma. “Cultura scarsa, studi elementari, nessun titolo accademico” dicono le note della prefettura. È saldatore in Ferriera e “non è assiduo al lavoro”. Accanito lettore della stampa sovversiva partecipa al Comitato contro la guerra pro Masetti promosso dalla locale Lega Metallurgici e dai minatori di Castelnuovo, vive a pieno il confronto di piazza con gli interventisti. Nel dicembre 1915, soldato del 35° Reggimento Fanteria, giunge in zona di guerra. Deferito al Tribunale militare per diserzione, subisce una prima condanna a due anni ed è rispedito al fronte. Durante la guerra accumulerà, quasi sempre per reati di diserzione o rifiuto d’obbedienza, 12 anni di carcere e nell’agosto del 1917 viene espulso dall’esercito. Usufruirà dell’amnistia del 1919. Nel 1920, a San Giovanni, G. e l’amico Vittorio Curzi sono denunciati per “lesioni guaribili oltre i 20 giorni” procurate a un guardiano di Ferriera. Da allora la dizione “da arrestare” resterà perennemente sulle schede di polizia. Il 23 marzo 1921, una spedizione di fascisti viene intercettata a Castelnuovo dei Sabbioni da un gruppo di sovversivi. Dopo una furibonda battaglia che causa un morto e nove feriti i fascisti sono costretti a ritirarsi. L’eco di questi avvenimenti funge da detonatore per il vicino bacino lignitifero. I minatori prendono possesso dell’area mineraria. Un gruppo fa irruzione negli uffici intimando agli impiegati la consegna delle armi. Il direttore, mentre tenta di parlamentare con i rivoltosi, viene ferito a una gamba. Dalla direzione si chiede di trasportare il ferito all’ospedale. Gli operai acconsentono a condizione che una loro commissione effettui prima un sopralluogo. La commissione è “preceduta da un giovane identificato per Otello Gaggi, che impugnata una pistola ed appena fattosi avanti ordina ai presenti di alzare le braccia”. Adagiato il ferito su un’automobile avviene però l’irreparabile. Dalle ingiurie si passa alle revolverate. È colpito a morte l’ingegnere Agostino Longhi e sono feriti altri impiegati. Appiccato il fuoco alla direzione i rivoltosi si allontanano. Seguono ondate di arresti. Sul mandato di cattura per G. risultano le imputazioni: correità in omicidio volontario e in mancato omicidio, incendio doloso, danneggiamento e minacce. I carabinieri di Castelnuovo però, non ritenendolo responsabile diretto, lo denunciano in quanto “visto dal direttore Raffo invadere gli uffici” e perché “presente al ferimento ed all’uccisione del Longhi”. La Corte d’appello confermerà l’estraneità di G. all’omicidio. Il processo si celebra in Corte d’assise ad Arezzo. Alla sbarra 75 sovversivi. Il tribunale distribuisce secoli di galera. Per i latitanti si tiene una causa contumaciale il 14 luglio 1923 che si conclude con un ergastolo e con pene non inferiori a 24 anni. G. è condannato “a 30 anni di reclusione, tre anni di vigilanza e lire 165,60 di pena pecuniaria”. Per G. dopo quel 23 marzo si apre un nuovo capitolo di speranze: il rifugio in Russia, con lui c’è “l’amico indivisibile” Vittorio Curzi. La via della fuga passa da San Marino. Qui trovano riparo centinaia di perseguitati che, nell’imminenza delle estradizioni, organizzano un’evasione di massa. È il 6 giugno 1921. I fuggitivi, raggiunta la vicina costa, sono “raccolti da una nave sovietica”. I fuggiaschi sbarcano a Odessa. A San Giovanni la famiglia riceve le prime notizie solo nel dicembre 1926. Così emerge che nel novembre 1922 G. era stato arrestato a Baku per motivi politici, condannato a tre anni e rinchiuso nel carcere di Cheljabinsk. Ma la novità è che Otello ha una figlia di tre anni, Lilina. La compagna e madre della bambina, Marsaide, è una giovane donna russa. Il nuovo nucleo familiare, negli anni dal 1926 al ’28, si trasferisce prima a Novorossijsk e poi a Mosca, dove vi sono tra i 100 e i 200 rifugiati politici antifascisti italiani, in massima parte comunisti. In molti lavorano come operai. Un gruppo di essi invece, circa 30, è impegnato nelle varie istituzioni a carattere internazionale, frequenta la Scuola leninista alloggiando in genere all’Hotel Lux. Il ritrovo di tutti gli emigrati è al Club Internazionale. L’accoglienza per i nuovi arrivati non-funzionari è pessima. A questo si aggiunge – parole di Dante Corneli – “un odioso controllo da parte della NKVD e dei dirigenti dell’emigrazione italiana”. Ed è proprio il Club, che anche G. frequenta co-me piazzista di libri, il luogo privilegiato di osservazione per quell’odioso controllo di cui parla il “redivivo tiburtino” e Antonio Roasio, dirigente del settore quadri del Komintern, non avrà difficoltà per compilare il cartellino di G., visto che la sua futura moglie, Dina Ermini da San Giovanni (alias “Boffa”, addetta all’ufficio quadri del Komintern) anch’essa rifugiata, è cognata di un cugino dell’anarchico valdarnese. Nel 1929 precipita anche la situazione economica della famiglia che ha già dovuto traslocare due volte, finendo in un appartamento fatiscente dell’ex-hotel Marsiglia. Con il 1930 la sua situazione già di “sopportato“ e “vigilato” appare compromessa. G., che continua nel suo lavoro di venditore, è “diffidato e minacciato”. La colpa grave nel giudizio dei dirigenti comunisti che lo perseguitano, al di là della posizione assunta nell’ambito dell’aspra diatriba in corso al Club Internazionale, scaturisce forse da un disperato tentativo di contatto con l’ambasciata italiana da lui effettuato allo scopo di saggiare le possibilità per un rimpatrio. Dall’Italia una lettera dell’avvocato Droan-di riapre intanto le speranze per una revisione del processo per i fatti del 1921. All’aprile 1930 risa-le un piano non realizzato di fuga del quale non si conoscono i dettagli: “il Gaggi avrebbe ottenuto un lavoro nell’Isola Sohcolin [Sahalin] nell’estremo oriente e partirebbe quanto prima da Mosca ove non si sentirebbe molto sicuro. Egli avrebbe manifestata l’idea di rifugiarsi in Cina alla prima occasione”. Una misteriosa cartolina giunge ai familiari a San Giovanni: “Parto per ignoti lidi”. Amareggiato egli prosegue la sua vita di stenti. Lavora come interprete per gli ingegneri della Ceretti & Tanfani, ditta milanese che ha un contratto con il governo sovietico. Alla fine del 1932 trova un impiego all’hotel Mètropole come aiuto-cassiere. Il 16 gennaio 1933 si tiene nella sede del Club in via Petrovka una riunione del gruppo italiano “non ufficialmente disposta dal Komintern”. Partecipano fuorusciti di Mosca, Kiev e Odessa ed è presente anche un informatore fascista che stila una puntuale relazione. L’assemblea si caratterizza per le violente discussioni fra gli esponenti della “sinistra” e per la non partecipazione del gruppo dirigente. Quando Giuseppe Sensi di Odessa (già espulso dal partito per trockismo nel 1927, poi riammesso e che cadrà nuovamente in disgrazia), propone agli astanti di “chiedere tutti quanti in massa la cittadinanza dell’URSS”, motivando che “i comunisti italiani sono nell’animo [già] cittadini della terra sovietica”, esplode la rissa. “Il noto Otello Gaggi dichiarò per primo che non voleva chiudersi ogni via ad un possibile ritorno in patria, che francamente desiderava. Le sue parole furono il segnale di una violenta disputa che tosto de-generò in vie di fatto”. Quella sera in molti avranno preso nota. In questo contesto di veleni si inserisce una lettera di calunnie inviata da Lui-gi Capanni – comunista rifugiato, originario di Figline Valdarno – a Luigi Longo. In essa si so-stiene che G. “fa il triplo gioco”: per disgregare il partito; a favore della GPU; al servizio dell’ambasciata italiana. La segnalazione è girata alle autorità sovietiche. Nel 1934, mentre Sergej Kirov – esponente della nomenklatura – cade in un assassinio politico dagli oscuri contorni, il terrore staliniano compie un nuovo decisivo giro di vite. Stalin e i partiti del Komintern, PCdI in testa, fanno propria la tesi del complotto ordito dal “centro trotzkista-zinovievista” e dal “fronte unico fra la borghesia, il fascismo, il trotzkismo, la socialdemocrazia e le guardie bianche”. G. si è chiuso in un mutismo angosciante. Dopo che da San Giovanni era giunta la notizia della morte di babbo Silvio, ha dovuto affrontare un nuovo lutto con la morte di Marsaide. Ora convive, insieme alla figlia Lilina, con una russa di nome Tamara (N.M. Lachtina?). La notte del 28 di-cembre 1934 gli “organi addetti alla sicurezza dello Stato proletario” prelevano dalle loro abitazioni, con un’azione simultanea nella città di Mosca, undici persone di cui dieci di nazionalità italiana. G. è fra gli arrestati. Pochi giorni dopo la retata due degli undici sono rilasciati: “Di Modugno e l’amante dell’anarchico Gaggi (una giovane russa, agente della GPU, che parla perfettamente la nostra lingua)”. Questa circostanza ali-menta i sospetti. Restano dubbi sulla figura un po’ misteriosa di Tamara la nuova compagna di G., a causa della sua condizione particolarissima di dipendente del Narodnyj kommissariat. L’arresto degli italiani a Mosca, dove nel frattempo il Club internazionale è stato chiuso in quanto “co-vo di spie”, ha una notevole eco fuori dai confini dell’URSS. Ne scrivono i giornali ovunque, e non solo negli ambienti dei rifugiati politici antifascisti in Francia o in Belgio. Durante la permanenza nel carcere sovietico, a completa disposizione dei torturatori del I dipartimento della polizia politica, finisce per “confessare” le sue colpe. Esse, secondo quanto emerge dai verbali di interrogatorio pubblicati, si basano sulla sua presunta ap-partenenza alla “organizzazione contro-rivoluzionaria trotzkista” che fa capo a Siciliano Calligaris. G., mentre nega la circostanza e respinge la qualifica di “controrivoluzionario”, afferma di condividere l’opinione di Siciliano sul fatto “che in URSS i lavoratori vivano male e che nel paese non ci sia libertà”. Ammette i contatti epistolari con esponenti dell’anarchismo italiano esuli a Parigi, come Umberto Tommasini. A G., così come agli arrestati italiani, dopo l’ammissione di colpe, è inflitta una pena “in via amministrativa” a cura dello stesso Narodnyj kommissariat: “tre anni di confino a piede libero” ai sensi dell’art.58 del codice dell’URSS. Il PCdI di Togliatti, dall’epoca dell’attentato Kirov e durante l’ondata repressiva seguente, sposa la tesi staliniana del complotto trockista e non fa mancare il sostegno agli organi di polizia e alle autorità sovietiche. Su G. rimbalzano ancora notizie in Italia. Si sa che è “costretto a lavorare in una miniera” e che vive “relegato a Jarensk, sotto l’accusa di far parte dei gruppi di opposizione al Governo di Stalin”. A distanza di cinque mesi dall’arresto si hanno notizie certe della sua esistenza in vita. Ne fanno fede un breve carteggio con la famiglia e una lettera disperata all’amico Angelo Cardamone di Teramo. Il luogo di detenzione risulta ancora quello di Jarensk (“Sewerny Krom, Lensky Raion”). Il Comité International contre la répression en Russie di Bru-xelles reclama la liberazione di G., Calligaris e Merini. Scoppiata la guerra antifascista in Spagna i massimi organi della CNT e della milizia sul fronte d’Aragona chiedono a Stalin, ottobre 1936, che vengano lasciati partire per arruolarsi come combattenti i rivoluzionari G., Ghezzi e Sandormirski. La risposta alla mobilitazione internazionale è il trasferimento a Semipalatinsk (Kazakistan). Da qui il nostro scrive a Luigi Bertoni di Ginevra. Il contenuto delle lettere fuga ogni dubbio sullo spirito coerente mantenuto da G. Il morale, nonostante tutto, è ancora buono mentre spera davvero di poter partire per la Spagna. Ricorda commosso la morte di Durruti e forse non immagina che, di lì a poco, neppure nella penisola iberica sarà tollerata la presenza degli antifascisti anarchici. Le sue parole di commiato sono: “la vittoria definitiva sarà nostra, e da questa lontana Asia giunga il mio augurio fraterno al popolo spagnolo di un prossimo raggiungimento di una società di liberi in terra liberata”. È il novembre 1936 quando si perdono le sue tracce. Dall’aprile 1938 fino al luglio 1941 si susseguono laconiche note della Prefettura di Arezzo: “Nulla da segnalare”. Dopo l’apertura degli archivi dell’URSS si viene a conoscenza della sua data di morte, 31 maggio 1945, sopravvenuta “in stato di detenzione” e della sua inutile “riabilitazione”, nel 1956, da parte delle autorità sovietiche. La Corte di appello di Firenze (20 nov. 1954) revoca l’ordine di cattura dichiarando “estinti per prescrizione tutti i reati”. Togliatti ministro – nel 1944 e quindi con G. ancora vivente – evita di rispondere a una lettera di Victor Serge che gli chiede di intervenire. Nei decenni successivi il caso sarà riproposto da comitati e personalità, fra cui Giuseppe Saragat, dalla pubblicistica anarchica. (G. Sacchetti)

Fonti

Fonti: Interviste alla famiglia Gaggi (a cura di G. Sacchetti), San Giovanni Valdarno, 31 luglio e 17 agosto 1991, inedite; Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Istituto Gramsci Roma, APCI, 1921-1943, f. 1517; Archivio di Stato Arezzo, Corte d’assise, b.142 (Causa contumaciale c/ Quartucci Dante e altri) e b.143; ivi, fondo Studio legale Avvocato Giovanni Droandi, f. 924 e, ivi, f. Processi S. Giovanni V. e Castelnuovo; Archivio di Stato Milano, Polizia Politica, Brevi cenni informativi sull’attuale (Marzo 1939) organizzazione e sul funzionamento del Partito Comunista Italiano; International Institute of Social History, Amsterdam, fondo Bertoni Luigi, carteggio Otello Gaggi, 1936-1937; Rossijskij Centr Chranenija i Izucenija Dokumentov Novejsej Istorii (Centro russo per la conservazione e lo studio della storia contemporanea), Mosca, 513-2-69, Italia; FGF-Mi, Centro Studi Memorial Mosca, www.gulag-italia.it.

Bibliografia: Memoriale di Attilio Sassi, «Fede!», 16 dic. 1923; «Guerra di classe», dic. 1930; «Lo Stato operaio», Parigi, gen., feb., mar. 1935; «Il Popolo d’Italia», 17 mag. 1935, p.2; «riv», 4 apr. 1936; «Les Humbles», Cahiers n. 9-10, 1936; «ar», 6 feb. 1937; [V. Verdaro], La tragedia dell’emigrazione politica italiana in urss, «Prometeo», 16 gen. 1938; A Palmiro Togliatti, «La Sinistra proletaria», 19 feb. 1945; G. Zaccaria, 200 comunisti italiani tra le vittime dello stalinismo, Milano 1964; P. Robotti, La prova, Bari 1965, pp.54-57; V. Serge, Memorie di un rivoluzionario, Firenze 1974; A. Leonetti, Gramsci, Togliatti e le ‘confessioni’, «Il Ponte», lug.-ago. 1975; Id., Italiani vittime dello stalinismo in urss, ivi, feb.-mar. 1976; G. Averardi, I grandi processi di Mosca, 1936-1937-1938, precedenti storici e verbali stenografici, Milano 1977; P. Spriano, ad indicem; Il minuetto stalinista. Non rispose Togliatti e non rispose Berlinguer..., «Lotta continua», 18 feb. 1978; Extrait d’un rapport du Centre d’Investigation sur les Prisons, Prisons Psychiatriques et Camps de Concentration de l’urss, «Espoir», juin 1978; S. Bertelli, Il Gruppo/ La formazione del gruppo dirigente del pci / 1936-1948, Milano 1980; D. Corneli, Elenco delle vittime italiane dello stalinismo (dalla lettera A alla L), Tivoli 1981; Intervista di Miriam Mafai ad Antonio Roasio, «la Repubblica», 27 ott. 1982; U. Tommasini, L’anarchico triestino, a cura di C. Venza, Milano 1984; Corrente Comunista Internazionale, La Sinistra comunista italiana / 1927-1952, Napoli 1985; F. Bigazzi, G. Lehner, I processi ai comunisti italiani in Unione Sovietica (1930-1940). Dialoghi del terrore, Firenze 1991, pp. 112-114; G. Pulzelli, Un valdarnese fu vittima di Stalin / Le clamorose rivelazioni in un convegno tenutosi a Monte S.Savino, «La Nazione», Arezzo, 28 gen. 1992; G. Sacchetti, Otello Gaggi. Vittima del fascismo e dello stalinismo, Pisa-Lucca 1992; G. Fabre, Togliattof. Scheletri negli archivi. I comunisti italiani nella Mosca di Stalin, «Panorama», 17 mag. 1992; P. Casciola, Tra fascismo e stalinismo, «Invarianti», inv.-pri. 1992/93; L. Luciani, Il caso Gaggi, «Il Ponte», gen. 1993; C. Jacquier, L’Affaire Francesco Ghezzi. La vie et la mort d’un ouvrier anarcho-syndicaliste en urss, «Annali 2. Studi e strumenti di storia metropolitana milanese», Milano 1993; R. Caccavale, Comunisti italiani in Unione Sovietica. Proscritti da Mussolini, soppressi da Stalin, Milano 1995; E. Dundovich, Tra esilio e castigo. Il Komintern, il pci e la repressione degli antifascisti italiani in urss (1936-38), Roma 1998; G. Grassi, Dalla Russia per ritrovare i cugini, «La Nazione», Arezzo, 10 mar. 1998; G. Sacchetti, Presenze anarchiche nell’Aretino dal xix al xx secolo, Pescara 1999, pp. 170 sgg.; S. Fiori, Gulag. Quegli italiani vittime di Stalin con la benedizione del pci, «La Repubblica», 9 apr. 2002. 

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Silvio e Adele Rossi

Bibliografia

2003

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