​IPPOLITI, Francesco

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​IPPOLITI, Francesco

Date di esistenza

Luogo di nascita
San Benedetto dei Marsi
Data di nascita
February 12 1865
Luogo di morte
San Benedetto dei Marsi

Biografia / Storia

Nasce a San Benedetto dei Marsi (AQ) il 12 febbraio 1865 da Silverio e Ottavi Rachele, medico. È l’uomo che tra i primi denuncia la miseria dei contadini del Fucino e lo sfruttamento che la ricca e fertile frazione di San Benedetto dei Marsi subisce dall’amministrazione comunale di Pescina (AQ) grazie al sostegno della famiglia Torlonia. L’autonomia dal comune di Pescina e i suoi ideali anarchici sono gli argomenti che lo accompagnano per tutta la vita. Ignazio Silone ricorda come il medico, in poche parole, spiega anche la necessità pratica che lo spinge a intraprendere la dottrina rivoluzionaria: “Quelli che nascono in questa contrada sono veramente disgraziati, mi ripeteva il dottor F.J., un medico di un villaggio vicino. Egli si ribellò, si dichiarò anarchico, tenne discorsi tolstoiani alla povera gente. Divenne lo scandalo dell’intera contrada”. Proprio al medico Silone si rivolge per ricevere libri e materiale adatto per diffondere il seme della cultura tra i contadini della lega socialista del suo paese: “Mi tornarono a mente le parole d’un povero medico che praticava in una frazione del nostro comune. Egli era conosciuto come anarchico, conduceva una vita assai stentata ed era perciò trattato con diffidenza e disprezzo dalle buone famiglie. ‘Ho qualche libro che potrei prestarti’, mi aveva detto una volta. Il giorno dopo mi recai dunque da lui per chiedergli consiglio e aiuto […]. Gli spiegai in che impiccio mi ritrovassi, ‘Una lettura per i contadini?’, borbottò, ‘Non so cosa consigliarti’. ‘Sono persone semplici ma non stupide’, io insistetti. ‘Li conosco e so che è difficile’, egli ribadì […]. ‘Comincia con questo’ mi disse porgendomi un libretto sgualcito. ‘Se l’esperimento riesce ti darò qualcos’altro’. Era una piccola scelta di racconti di Leone Tolstoi.[…] Non avevo mai letto nulla di lui. […] Cominciato a leggere […] mi colpì soprattutto la storia di Polikusc’ka. […] Mi pareva incomprensibile, anzi assurdo, di essere arrivato a conoscenza di una storia come quella soltanto per caso. Perché non veniva letta e commentata nelle scuole?”. Al contrario di quanto scrive la polizia sul suo conto, I. è molto stimato dalla gente della sua contrada per essere il “medico dei poveri”: è solito infatti non farsi pagare la parcella per le sue visite e nell’adoperarsi per procurare i medicinali a chi non ha soldi per acquistarli. La prima segnalazione delle autorità reperita è del 1901, nella quale I., fondatore e animatore del circolo sovversivo “Il Progresso”, è classificato come socialista. Nel 1905, a Roma, partecipa attivamente al Congresso della Federazione socialista anarchica del Lazio indetto da Merlino e Fabbri. Nel 1908 scrive e pubblica in forma anonima I piccoli farabutti, versi in rima, spesso satirici, strutturati in modo da poter essere cantati, usando una terminologia composta da espressioni classicheggianti e modi propri del dire e del pensare contadino. Nei versi viene narrata la corruzione, l’avidità, la falsità e la lussuria presente nei palazzi, nella caserma e nel convento di Pescina. Nel 1911 subisce un’ennesima condanna a dieci mesi di reclusione e una multa per diffamazione a mezzo stampa. Lascia il suo paese per qualche anno, fermandosi come medico condotto in provincia di Viterbo, prima a Ronciglione e poi, nel 1917, a Bagnorea (ora Bagnoregio). Anche qui, in contatto con l’anarchico romano Temistocle Monticelli, si fa notare per l’attiva propaganda ed è segnalato dalla sottoprefettura di Viterbo. I. vive sempre povero ma la miseria non gli impedisce di svolgere un’intensa propaganda che lo mette in contatto sia con figure del movimento anarchico italiano, come Malatesta e Berneri, sia con gli anarchici statunitensi delle redazioni della «Cronaca sovversiva» e poi de «L’Adunata dei refrattari». Con l’avvento del fascismo I. e gli altri anarchici marsicani subiscono una violenta repressione che porta alla disgregazione del gruppo. Il medico stesso redige un manoscritto nel 1930, nel quale illustra il sorgere del movimento mussoliniano a San Benedetto dei Marsi: “La prima gazzarra fascista avvenne il 16 novembre 1922. Ero gravemente ammalato al letto […], mi assisteva il compagno De Rubeis e sua moglie. […] Il paese, come ho detto, è del tutto apolitico, […] due-tre anarchici si facevano i fatti loro” (F. Ippoliti in «La Vanga» “bimestrale di cronaca cittadina di San Benedetto dei Marsi”, lug.-ago. 2001). Nel giugno del 1923 nell’abitazione del medico vengono sequestrate copie de «L’Adunata dei refrattari» e la sottoprefettura di Avezzano informa il prefetto dell’Aquila delle presunte riunioni che lì si svolgono: “Il primo ad essere preso di mira fui io stesso e poscia di conseguenza quelli che trattavano con me, specialmente Francesco De Rubeis. […] A me poi fu vietato prima di tutto di entrare negli spacci pubblici anche a fare delle spese. […] Nei paesi e nelle città il manganello, il pugnale, la bomba sottomettevano tutti al fascismo. […] Il fascio, benché animato nel 1923, non si era ancora imposto a San Benedetto. Ed allora i ras escogitarono diversi mezzi per attaccare me e Cesidio, nonché alcuni compagni, onde sciogliere le conversazioni in casa” (ivi, nov. 2001-apr. 2002). Il 16 dicembre dello stesso anno viene devastata “da ignoti” la sede locale del fascio, spaccato il ritratto del Re e infilato nella stufa quello di Mussolini: “Due fascisti esponenti di Avezzano vennero a verificare il…danno. Buffoni! Subito dissi: è opera dei fascisti, come di fatti si seppe dopo. La parola d’ordine ai compagni era di non dare motivo ai fascisti di rappresaglie e questa parola d’ordine era stata mantenuta. Fu arrestato per sospetto Baduele […]. La notte del 17 la passammo in un sotterraneo nella caserma di Pescina” (ivi, mag.-giu. 2002). La finta devastazione della sede inscenata dai fascisti serve per potersi scagliare anche contro gli altri anarchici; la notte del 19 Cesidio Tarquini e altri sovversivi vengono violentemente prelevati da squadristi armati di rivoltella e pugnale che, a forza di spintoni e botte, li conducono due chilometri fuori da San Benedetto, in una contrada detta “Ponte della pietra”. Vengono lì bastonati e alle due di notte gettati nelle acque gelide del Giovenco, costretti a passare più volte sotto un ponte dove l’acqua scorre più velocemente. Nonostante l’età avanzata, I. continua a svolgere attiva propaganda col compagno Francesco De Rubeis. Nel 1926 pubblica l’opuscolo Storia morale ed amministrativa del comune di Pescina, stampato nella tipografia Marchi di Camerino, nel quale ripercorre le tappe di quella corruzione comunale, che dal 1870, agisce in maniera rapace sulla frazione di San Benedetto dei Marsi; vengono riportati precisi nomi e cognomi degli amministratori che negli anni si susseguirono e rispettivi numeri e percentuali relative ai falsi bilanci delle spese comunali. Accusato di incitamento all’odio di classe è condannato a cinque anni di confino a Pantelleria; viene liberato dopo un anno ma poi inviato di nuovo al confino a Lipari, dove conosce Galleani. Durante questa permanenza scrive il diario Lipari. Deportazione; sette mesi e mezzo di dimora, 30 settembre 1927-12 maggio 1928. Il 22 agosto del 1927 anche il socialista di Avezzano Pietrantonio Palladini (organizzatore degli Arditi del popolo marsicani) viene assegnato a due anni di confino a Lipari per “propaganda sovversiva e denigratoria del fascismo”. Palladini stesso ricorda come I., con poche medicine e molta umanità, si prende cura dei confinati malati: “Francesco I., di oltre settanta anni, anarchico, medico dei poveri di S. Benedetto dei Marsi, poeta, umanista, insofferente di tutto e di tutti e sempre all’opposizione con acume e originalità di pensieri. Si portava da anni una penosa asma bronchiale che gli dava sofferenza al cuore, ma egli, nel modo come si sdraiava e volgeva il suo corpo, sapeva superare gli attacchi e riequilibrare le sorti. Affermava che il ras del suo paese lo aveva spedito a Lipari per farlo crepare, ma non avrebbe dato loro questa soddisfazione” (Cfr. Il fasc. personale di Pietrantonio Palladini, «Rivista Abruzzese di Studi Storici dal fascismo alla Resistenza», L’Aquila, n. 1, 1984, p. 156). Il 25 agosto 1930 arriva a I. una cassa, presumibilmente inviatagli dai compagni di Bagnorea, contenente una grande quantità di opuscoli e riviste sovversive. Con l’accusa di propaganda sovversiva I. viene, all’età di 65 anni, di nuovo arrestato. Il medico anarchico vive sempre povero e negli ultimi anni, fiaccato nel fisico per le privazioni e le continue persecuzioni, riceve conforto ed aiuto solo dal compagno Francesco De Rubeis e da sua moglie Pasqualina Martino. Muore nel suo borgo nel 1938, all’età di 73 anni. (E. Puglielli)

Fonti

Fonti: Archivo di Stato L’Aquila, Fondo Questura, Cat A8, b.79, f. 17.
 
Bibliografia: Un trentennio di attività anarchica, 1915-1945, Cesena, 1953; I. Silone, Uscita di sicurezza, Milano 1979; S. Cicolani, La presenza anarchica nell’aquilano, Pescara 1997; M.L. Calice, Gli anarchici abruzzesi nel periodo giolittiano, Pescara, 1998; E. Puglielli, Abruzzo rosso e nero, Chieti, 2003.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Silverio e Ottavi Rachele

Bibliografia

2004

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