IACOMETTI, Curzio
Tipologia Persona
Intestazione di autorità
- Intestazione
- IACOMETTI, Curzio
Date di esistenza
- Luogo di nascita
- Monterotondo Marittimo
- Data di nascita
- March 9 1874
- Luogo di morte
- Montecastelli Pisano
Biografia / Storia
- Nasce a Monterotondo Marittimo (GR) il 9 marzo 1874 da Cesare e Stella Inghetti, impiegato. Fino a 19 anni studia nel Seminario vescovile di Volterra, poi abbraccia le idee anarchiche. Del lungo periodo trascorso nel Seminario gli resterà il soprannome e per tutti sarà “il Prete”, o, spregiativamente, il “Pretaccio”. Intellettuale irrequieto, è un personaggio turbolento, che nel 1901 è condannato a 10 mesi di carcere per un reato comune commesso a Casteldelpiano. Tornato a Monterotondo, critica in un comizio, nel 1903, i consiglieri socialisti sulla questione dell’aumento delle tasse d’esercizio, scatenando un pandemonio. Il 24 agosto 1904 è schedato dalla Prefettura di Grosseto. Nel “cenno biografico” si legge che non gode di “buona fama nel pubblico” ed è di “carattere apparentemente mite, ma malvagio”, è “alquanto intelligente” e ha buona cultura; disoccupato, vive con i genitori, che hanno “pochi beni”, è molto “influente tra i compagni di fede e fa propaganda, ma con poco profitto”. Il 27 settembre 1904 Monterotondo si ribella: gli anarchici affrontano i carabinieri, un brigadiere viene gravemente ferito da una coltellata e alcuni militi escono malconci dal tumulto. Nelle ore seguenti le forze dell’ordine accorrono in gran numero nella località e arrestano gli anarchici Pio Arcangeli, Lorenzo Scevola e Bertuccio Bertucci, Flavio Gazzarri, Claudio Ulisse Gazzei e Lorenzo Bruni. Sfuggito all’arresto, I. è catturato il 20 marzo 1905, insieme all’anarchico Giuseppe Martini, e detenuto fino al principio del 1906, quando è assolto dai giudici di Firenze, con quasi tutti gli altri imputati. Di nuovo a Monterotondo, I. parla il 30 maggio 1907 all’Università popolare di Massa Marittima sulla necessità di istruire il popolo poi, negli anni successivi, fa il pollicoltore e il “viaggiatore”, senza perdere i contatti con il movimento libertario. Nel 1914 si trasferisce a Piombino e il 1° gennaio 1915 una sua lettera viene pubblicata da «Il Martello» organo della cdl come editoriale del numero. In quella, che è denuncia accorata, il “Prete” chiede che quanto meno siano trattati alla stregua delle macchine gli operai siderurgici, “queste macchine umane che Cristo – da loro [gli uomini del trust] spesso evocato – ha detto essere tutti eguali e fratelli...” In maggio l’Italia dichiara guerra all’Austria – Ungheria e I. è richiamato alle armi, malgrado l’età, e incaricato, al principio del 1917, di sorvegliare, come capo scorta, i prigionieri austriaci, che faticano in una tenuta presso Montepescali, nel comune di Grosseto. Caporale maggiore del 180º btg di fanteria, I. fa le veci di un sergente, un “brutto ceffo” che manteneva “tra i prigionieri la massima disciplina”, ma non intende imitarlo, né i pressanti “suggerimenti” del fattore hanno presa su di lui, tanto che, poco tempo dopo, viene chiesto il suo allontanamento dalla fattoria, perché svolge una pericolosa propaganda rivoluzionaria fra i prigionieri e ha quasi plagiato uno di loro. Alla fine è trasferito a Grosseto, ma la notte del 16 novembre ritorna a piedi alla fattoria e appicca il fuoco a dei mucchi di fieno. Accusato d’incendio doloso e di “apologia di diserzione in presenza del nemico” (i prigionieri austriaci), I. si rifugia nelle macchie di Tatti, dove altri disertori conducono una vita di fame e di stenti, e propone loro di darsi un’organizzazione militare efficiente e di espropriare i benestanti, smettendo di mangiare radici o di contare soltanto sull’aiuto di carbonai e contadini. Il piano di I. è carico di pericoli e una parte dei disertori lo rifiuta, preferendo consegnarsi alle forze dell’ordine, anziché affrontarle, come comporta l’indirizzo illegalista propugnato da I. Fra quelli, che si stringono attorno al “Prete”, ci sono gli anarchici Primo Menichetti, Italiano Giagnoni, Zaccaria Martini, Italo e Florindo Sili, Luigi Persi, Emilio Sacripanti e Chiaro Mori e i socialisti Ariosto Sini e Giuseppe Maggiori. Il gruppo si ristruttura rapidamente, amplia la rete dei fiancheggiatori (i più noti sono, forse, Clitennestra Pighetti, Maria Pericci e Sante Cigni) e cerca di darsi un’efficienza operativa: “La banda” scriverà il «Giornale del Tirreno» di Piombino “era così bene organizzata che c’erano dei gradi e delle qualifiche: c’era il maresciallo, il tenente, il capitano; e c’era ‘il Prete’ che era l’anima informatrice”. Nei mesi seguenti i disertori assalgono una villa e una tenuta e compiono una rappresaglia contro un esercente, sospettato di fare la spia, suscitando forti preoccupazioni tra i benestanti. Il 25 maggio 1918 I. è processato in contumacia, nel Tribunale di Grosseto, per incendio doloso e apologia di diserzione e condannato a sei anni e sei mesi di carcere e a tre anni di vigilanza speciale. Poi le autorità fanno affluire una ventina di battaglioni di carabinieri fra Tatti, Perolla e Roccatederighi e riescono a debellare la Banda dei disertori, riuscendo ad arrestarne la maggior parte e inducendone altri a costituirsi. Sfuggito alla cattura, insieme a Emilio Sacripanti, Chiaro Mori e Giuseppe Maggiori, I. resta latitante e al principio del 1919 viene condannato a morte in contumacia dal Tribunale militare di Firenze, insieme a Mori, Maggiori e Sacripanti. La taglia posta sul suo capo, non gli impedisce di sottrarsi alle ricerche e di restare alla macchia, da dove spedisce, il 27 febbraio, una lettera minatoria – non priva di ironia – a un possidente di Campetroso: “Ella dovrà darmi lire 5000 (cinquemila) in contanti. A prima vista sembra una richiesta esagerata, non è vero? Ma considerato i tempi che corrono, il deprezzamento della moneta e l’enorme guadagno che ella – come tanti altri – ha fatto a costo del sacrificio di tanti giovani esistenze e di tanti disgraziati che sono per il mondo e per gli ospedali, tale cifra diventa una meschinità. Ci siamo intesi? però, come vede, io non aggredisco. Oibò! Sono azioni troppo comuni, troppo basse, troppo prosastiche! Ma ho tenuto questo sistema nella richiesta, perché si tenga pronto, e così non vi debbano essere scappavie, né scuse. Con me ci deve essere un sì od un no. Quindi a suo tempo verrà persona a ritirare il denaro. E come mezzo di riconoscimento sarà la semplice parola d’ordine che conosciamo soltanto io e lei, e cioè:‘La vendetta è propria soltanto dell’uomo di carattere’”. In seguito I. è denunciato per un attentato avvenuto il 28 giugno 1919 alle Lumieracce di Monterotondo, ma nessuna prova convincente viene prodotta a suo carico. La sua vicenda volge però alla fine e, il 26 luglio 1919, il suo cadavere viene rinvenuto a Montecastelli, frazione di Castelnuovo, riverso lungo un fosso, dove è stato assassinato con due colpi di fucile a pallettoni alla nuca. (F. Bucci, G. Piermaria)
Fonti
- Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Emma, Monterotondo, «L’Agitazione», 26 giu. 1903; Bino (B. Carboncini), Massa Marittima, «Etruria nuova», 2 giu. 1907; G. Rossi, Come fu ucciso il capo dei briganti della Maremma, «La Nazione», 1° ago. 1919; L’uccisione del capo della banda maremmana, «Il Corazziere», 3 ago. 1919.
Codice identificativo dell'istituzione responsabile
- 181
Note
- Paternità e maternità: Cesare e Stella Inghetti
Bibliografia
- 2004