BRACCIALARGHE, Comunardo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
BRACCIALARGHE, Comunardo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Macerata
Data di nascita
17/10/1875
Luogo di morte
Buenos Aires
Data di morte
26/03/1951

Attività e/o professione

Qualifica
Ottonaio
Qualifica
Pubblicista

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Macerata il 17 ottobre 1875 da Vito e Angela Romitelli, ottonaio, pubblicista. Per delinearne il carattere e il pensiero politico si sono spesi molti aggettivi, sovente contraddittori. Violento, ambizioso e voltagabbana, stando alle carte di polizia e ai giudizi degli avversari di partito, per altri B. “era cogli amici, coi compagni e i famigliari di una bontà chiara ed esplosiva, pronta a riaffiorare colla schietta anima del grande fanciullo” (G. Spina, Un pioniere maceratese del giornalismo italiano a Buenos Aires. Ricordando Folco Testena, «Il Resto del Carlino», 17 mar. 1956). L’“anarchico nazionalista” – come lo definirà Arturo Labriola – o “el más gaucho de los gringos, el más gringo de los gauchos” – come diranno di lui in Argentina – è il primo di dieci fratelli, cinque dei quali muoiono in tenera età. La sua formazione politica è profondamente influenzata dai trascorsi del padre. Questi era stato internazionalista (il nome “Comunardo” imposto al primogenito ne costituisce valida prova) e aveva avuto modo di accogliere in casa sua addirittura Bakunin, quindi si era segnalato fra i più attivi anarchici della zona. Sebbene alcune fonti lo descrivano come autodidatta, B. interrompe gli studi e va a lavorare come ottonaio non prima di avere raggiunto il secondo anno delle scuole tecniche, un discreto grado di istruzione che costituirà il viatico per la sua importante carriera di giornalista e di scrittore. Processato la prima volta per resistenza a pubblico ufficiale nella primavera del 1893, è in occasione delle iniziative a sostegno dei Fasci siciliani che si fa conoscere: il 9 gennaio 1894 viene infatti arrestato per avere diffuso fra i soldati in partenza per l’isola un volantino dove li si invitava alla disobbedienza. In aprile il Tribunale di Macerata lo chiama a rispondere di istigazione e associazione a delinquere, per avere costituito insieme a Serafino Pezzodipane e Ruggero Scarponi un gruppo libertario. L’avvocato socialista Lamberto Antolisei, testimone della difesa, così ne parla in aula: “onestissimo, non ha un centesimo di debito, è entrato nell’anarchismo per la porta del sentimento perché ha un gran cuore”. A B. sono inflitti quasi tre anni di prigione e due di vigilanza speciale. Dopo essere rientrato nella sua città nel novembre 1896, avervi scontato altri quaranta giorni di carcere per contravvenzione agli obblighi di vigilanza, avere stretto amicizia con l’allora studente universitario L. Fabbri e avere dato alle stampe la sua prima raccolta di versi con lo pseudonimo di “Costa Ferruccio” (I deliri d’un’anima folle), parte per la Grecia unendosi ai volontari italiani impegnati nella guerra contro la Turchia. Combatte a Domokos e si guadagna i gradi di luogotenente, facendo peraltro la conoscenza di Giuseppe Ciancabilla e Walter Mocchi; nel maggio-giugno 1897 «L’Agitazione» e il settimanale socialista «La Provincia maceratese» ne pubblicano alcune lettere, di poco precedenti il rientro a casa. Gli ideali garibaldini che nell’occasione lo muovono rappresentano, in certa misura, l’anteprima della successiva svolta irredentista e nazionalista. Inoltre, è durante la Guerra Greco-Turca che egli si avvicina per la prima volta agli ambienti della massoneria (in proposito, cfr. il suo L’espiazione massonica, Milano1927). Prima di espletare il servizio di leva, B. apre una polemica con il gruppo libertario locale, che nasce “dal desiderio”– precisa su «L’Agitazione» (19 ago. 1897) – “di mettermi una volta per sempre al di fuori della zavorra, al di fuori di quell’elemento passivo di incoscienti, di sfruttatori dell’idea […]. Ma questa non può chiamarsi scissura: è la selezione naturale che, come alle cose, s’impone agli uomini”. Arruolato a Pavia, quindi assegnato alla compagnia di disciplina di Capri in quanto anarchico, all’indomani dei fatti di Milano del maggio 1898 tenta di far esplodere un’insurrezione fra i commilitoni e finisce agli arresti. La condanna è a quattro anni e quattro mesi di carcere militare, che sconta a Savona. Narrerà poi di avere goduto dell’amnistia del dicembre 1899, ma invero la sua permanenza in prigione si prolunga fino al maggio 1901, quando fa ritorno a Capri prima di essere congedato perché affetto da epilessia. Nell’ottobre seguente si sposa con Carmela Morresi e un anno più tardi diventa padre del primo dei suoi cinque figli, che chiama Mazzini: nel frattempo, gli anarchici dei gruppi maceratesi lo disconoscono, accusandolo di essersi allontanato dal movimento. Nondimeno, è accanto a loro che nel luglio 1902 B. presenzia ai funerali di un internazionalista e tiene un discorso anticlericale. Divenuto corrispondente de «Il Grido della folla», alimenta la polemica sull’intervento dei garibaldini nella Guerra Greco-Turca, che egli difende dalle accuse di inopportunità e di anacronismo mosse dalla redazione del giornale. Nel giugno 1903 si trasferisce a Milano, iniziando a scrivere anche per «Avanguardia socialista», periodico della corrente rivoluzionaria del PSI; il 19 novembre prende la parola al comizio pro-Nacht e i suoi toni sono così aspri da sollecitare l’intervento delle forze dell’ordine; sul finire dell’anno dibatte di libero amore con Nella Giacomelli (“Ireos”) ed Ettore Molinari (“Epifane”) su «Il Grido della folla» dietro lo pseudonimo “Grantaire”, con il quale nel luglio dell’anno seguente sosterrà una polemica su «L’Aurora» con Fabio Melandri. Trova dapprima occupazione in fabbrica, a sua insaputa grazie alla raccomandazione del questore milanese Ceola, il quale allo scadere del xix secolo aveva lavorato a Macerata e ne conosce perciò le buone qualità di operaio. Poco dopo B. promuove una cooperativa lattonieri e la iscrive alla CdL, del cui consiglio generale entra a far parte, contribuendo ad allontanarne i riformisti. Nel marzo 1904, in quanto delegato della CdL, fa ingresso nel direttivo della Società umanitaria. La sua attività politica registra allora una brusca accelerazione, prontamente rilevata dalla polizia che ne rubrica i numerosi discorsi pubblici e gli scritti. B. viene guardato con crescente sospetto dagli anarchici, mentre si accosta sempre più al socialismo rivoluzionario; in questo periodo conosce, fra gli altri, Filippo Corridoni e Gian Pietro Lucini. Nel capoluogo lombardo contribuisce all’avvio della sezione dell’Alleanza internazionale antimilitarista e il 18 agosto 1904 interviene al comizio pro-perseguitati russi da questa indetto. Tra gli organizzatori del primo sciopero generale in Italia, in quel settembre B. è autore di “infiammati discorsi” all’Arena di Milano (Masini 2, p. 188) e di articoli altrettanto accesi sul «Bollettino della Camera del lavoro»: messo agli arresti, viene infine condannato a cinque mesi di carcere. Escluso dalla Società umanitaria, conquistata dai riformisti, nel 1905-06 si scontra sulle pagine de «Il Grido della folla» e de «La Protesta umana» con Nella Giacomelli, la quale lo accusa di avere seguito una linea moderata durante il recente sciopero dei ferrovieri. In effetti, benché in quei mesi dia alle stampe un opuscolo contro «Il Corriere della sera» – reo di avere chiesto la pena di morte per i libertari dopo l’attentato di Matteo Morral a Madrid – e sebbene diventi segretario di un gruppo anarcosindacalista a Milano, B. ha ormai intrapreso il percorso che lo condurrà nelle file del PSI. La sua personalità è tuttavia così variegata e mutevole da indurlo non di rado a sostenere le antiche idee: ne è esempio il discorso che tiene il 6 gennaio 1908 al teatro Lauro Rossi di Macerata su iniziativa del circolo “Giordano Bruno”, in cui all’invito all’alleanza fra i partiti estremi aggiunge l’augurio dell’avvento dell’anarchismo. Le doti ormai accertate di polemista si intrecciano adesso con quelle di narratore, che emergono dai due romanzi d’appendice (Il roveto ardente. Dal manoscritto di un perseguitato, Milano 1906 e Fine di regno, Milano 1907) pubblicati sul milanese «Il Tempo» dietro lo pseudonimo di “Folco Testena”, suggeritogli da Filippo Turati e Anna Kuliscioff e con il quale poi amerà identificarsi. Nello stesso periodo scrive per «Il Solco», «Il Viandante» e l’«Avanti!». Il suo impegno oratorio si dispiega con sempre maggiore ricorrenza sul tema dell’anticlericalismo: nominato segretario della Associazione del libero pensiero di Milano, B. ha uno scambio epistolare con Arcangelo Ghisleri e riesce a fare affiggere una targa in memoria di Francisco Ferrer. Nel 1909 collabora con «La Giovine Italia» di Filippo Tommaso Marinetti e sostiene le candidature popolari in prossimità della tornata elettorale. Nello stesso anno è nel comitato esecutivo per le feste del cinquantenario della liberazione della Lombardia e prende posizione a favore dell’incremento delle spese militari richiesto da Giolitti e appoggiato da Bissolati. Nel 1910 un discorso dai contenuti irredentisti tenuto alla inaugurazione della CdL triestina lo rende bersaglio della critica dello stesso PSI e crea problemi gravissimi alla sua cooperativa, che si vede chiudere ogni accesso al credito bancario. La situazione finanziaria precipita, perciò ad aprile B. decide di andarsene in Argentina, mentre sul suo conto viene aperta un’inchiesta che si concluderà con la condanna per bancarotta fraudolenta. A Buenos Aires, dove si stabilisce, inizia per lui una nuova vita che lo porterà a essere uno degli italiani più noti nel Sudamerica. All’estero intensifica l’attività pubblicistica, redigendo articoli a forti tinte nazionaliste firmati “Folco Testena”, “Hombre” e “Vir” per il periodico «La Patria degli italiani», di cui diviene direttore. Interventista, nel 1915 assume la guida de «Il Giornale d’Italia» e l’anno dopo fonda «L’Italia del popolo», entrambi di impronta patriottica. Nel 1919, a Milano, muore la moglie (si risposerà poi con Clara Bistoni); nello stesso anno si sposta a Montevideo come corrispondente de «La Patria degli italiani» e prende a insegnare letteratura italiana in quella università. Il suo atteggiamento iniziale nei confronti di Mussolini è ostile, al punto che, quando il giornale bonaerense per cui scrive si sposta su posizioni fasciste, B. perde il posto. Nel 1922 torna in Italia (Nervi), dove nel frattempo è caduta in prescrizione la condanna per bancarotta; qui pubblica La barca di Caronte (Nervi 1923), “uno dei rari romanzi di emigrazione che la letteratura italiana abbia prodotto” (A. Martellini), in cui narra le peripezie per l’Europa e l’America latina di un operaio anarchico di Fabriano, espatriato in conseguenza della Settimana rossa. All’indomani del delitto Matteotti, temendo per la sua incolumità, si imbarca di nuovo per Buenos Aires. Sarà in Italia ancora nel 1925 e varie volte negli anni Trenta. In Argentina è indicato fra i promotori dell’Unione antifascista italiana e, insieme a Giuseppe Parpagnali (direzione del psu) ed Enrico Pierini (direttore de «L’Italia del popolo»), progetta un Fronte antifascista che tuttavia non avrà seguito. Invero, la sua avversione al regime appare tutt’altro che trasparente: negli anni ’20 collabora infatti con Severino Di Giovanni e il suo quindicinale anarchico «Culmine», redigendo nel contempo articoli filofascisti per «Critica». Al lavoro giornalistico aggiunge una ricca produzione di novelle, romanzi, poesie, commedie, drammi, saggi e traduzioni (conosce tre lingue straniere). Oltre ai fogli già ricordati, scrive per gli argentini «La Prensa», «La Nación», «La Vanguardia», «Nosotros», «La Razón», «Mundo argentino», «El Hogar» e per il brasiliano «Il Fanfulla». Nel 1931 pubblica l’opuscolo Quién es Mussolini (Buenos Aire 1931), che ne appalesa definitivamente le simpatie per il fascismo. Tre anni più tardi, dopo un soggiorno a Roma durante il quale incontra il duce, dà alle stampe Los veinte días de un socialista en la Italia de Mussolini (Buenos Aires 1934). Si esprime poi a favore dell’intervento militare in Etiopia e attacca con veemenza l’esecutivo argentino sulla questione delle sanzioni inflitte dalla sdn all’Italia, tanto da essere processato e subire una condanna. “B. era tuttavia isolato rispetto all’ambiente dell’emigrazione politica e il suo comportamento non destò meraviglia né produsse effetti di grande rilevanza” (P.R. Fanesi). Nel 1936 uno dei suoi figli (Giorgio) va a combattere prima contro Franco in Spagna, quindi contro il nazifascismo allo scoppio della guerra, finendo arrestato e tradotto al confino. Nel 1940, per far rientro in patria dove lo aspetta un lavoro all’agenzia di stampa Stefani, B. si dichiara fedele servitore del regime, elenca i suoi scritti filogovernativi ed esibisce i contatti personali avuti con il duce, Pavolini e Rossoni. Il Minculpop lo destina a Radio Sud America perché vi tenga una striscia settimanale: B. conserva quel posto fino al 1943. L’anno dopo stringe buoni rapporti con Randolfo Pacciardi e, all’indomani della Liberazione, con Carlo Andreoni, che gli affida una rubrica su «L’Internazionale» (“Gli uomini che io conobbi”). Il ritorno all’anarchismo è di breve durata: nel 1947 riparte alla volta dell’America latina per riacquisire la direzione de «Il Giornale d’Italia». Prima di lasciare definitivamente il paese rigetta l’invito a scrivere per «Il Picchio», almanacco-strenna maceratese per il 1946, spiegando i motivi del rifiuto in una lettera poi riprodotta sullo stesso giornale. Da essa affiora il gusto per gli ossimori e per la provocazione che ha contraddistinto l’intera vita di B., il quale osserva fra l’altro: “Se Dio me ne darà il tempo, quando il popolo d’Italia sia diventato padrone di se stesso, quando sia ascoltato l’ammonimento di Giuseppe Mazzini, quando la politica sia un dovere e non un mestiere, quando il lavoro non sia una condanna; allora ripiglierò il mio antico proponimento di mettere nel dovuto rilievo la colossale figura del Gesuita maceratese Padre Matteo Ricci. E sarà bella, oltreché doverosa, l’esaltazione di una Gesuita fatta da un Libero Muratore”. Nel 1947-48 la moglie ne pubblica a puntate la biografia romanzata dal titolo Mio marito. B. muore a Buenos Aires il 26 marzo 1951 e viene tumulato nel Pantheon degli scrittori. (R. Giulianelli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Dipartimento polizia politica, ad nomen; Biblioteca comunale “Mozzi-Borgetti” di Macerata, Manoscritti, ff. 966, 1017-1030, 1094, 1413, 1511.

Bibliografia: scritti di B.: Canti umani, Firenze 1901; Inno all’incudine, Macerata 1902; Corda fratres, Macerata 1903; Scaramucce, Milano 1905; Dopo l’attentato di Madrid. In polemica con il «Corriere della sera», Milano 1906; Repubblica, Roma 1908; Canti dal carcere, Firenze 1909; Imperiale e regio socialismo triestino, Milano 1910; Appunti, Buenos Aires 1911; Tripoli e la Cirenaica, Buenos Aires 1911; Enrico Ferri nell’Argentina, Buenos Aires 1911; Bezzecca, xxi Luglio 1866, Buenos Aires 1911; Per Guglielmo Oberdan, Buenos Aires 1912; La leggenda di Marco Craljevich, Buenos Aires 1914; Nel nome d’Italia. Conferenze, Buenos Aires 1916; La Spagna quale la trovò Primo de Rivera, Città di Castello 1924; Quién es Mussolini, Buenos Aires 1931; Los veinte días de un socialista en la Roma de Mussolini, Buenos Aires 1934; L’epopea del lavoro italiano nella Repubblica argentina, Milano 1938; La canzone di Filippo Corridoni, Roma 1938. Scritti su B.: D. Spadoni, Un Maceratese ricorda un Maceratese, prefazione a F. Testena, La canzone di Filippo Corridoni, Roma 1938; Y. De Begnac, L’Arcangelo sindacalista. Filippo Corridoni, Milano 1943, pp. 87-94; V. Brocchi, Care ombre della mia nostalgia, Milano 1962, pp. 26-31; Dizionario biografico degli italiani, Roma [pubbl. in corso], ad nomen; V. Brocco, Dizionario biobibliografico dei Maceratesi, in A. Adversi, D. Cecchi, L. Paci (a cura di), Storia di Macerata, vol. ii, Macerata 1972, pp. 468-470; A. Adversi, Gli scrittori, ivi, vol. iv, 1974, pp. 664-669; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; P.R. Fanesi, Verso l’altra Italia. Albano Corneli e l’esilio antifascista in Argentina, Milano 1991, ad indicem; L. Fermani, Letteratura e letterati maceratesi (1884-1944), in F. Torresi (a cura di), La città sul palcoscenico. Arte spettacolo pubblicità a Macerata 1884/1944, vol. i, Macerata 1991, pp. 183-185; G.M. Claudi-L. Catri, Dizionario storico-biografico dei marchigiani, Ancona 1992, i, pp. 118-119; V. Blengino, E. Franzina, A. Pepe (a cura di), La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina, 1870-1970, Milano 1994, ad nomen; E. Franzina, Gli italiani al nuovo mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Milano 1995, ad nomen; P.R. Fanesi, Le vie dell’esilio. Emigranti marchigiani tra discriminazione e disagio sociale dalla fine dell’Ottocento al 1939, in ibidem, pp. 492-493; C. Principi, Martìn Fierro a Montolmo e Folco Testa a Buenos Aires, in E. Sori, Le Marche fuori dalle Marche, iv, Ancona 1998; A. Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione marchigiana fino alla grande guerra, Milano 1999, ad indicem; M. Antonioli, Alla ricerca dello pseudonimo perduto per il DBAI, «Rivista storica dell’anarchismo», gen.-giu. 2003, p. 74.

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