BONSIGNORI, Alfredo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
BONSIGNORI, Alfredo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Cecina
Data di nascita
28/01/1895
Luogo di morte
Lione
Data di morte
03/04/1976

Attività e/o professione

Qualifica
Falegname

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Cecina (LI) il 28 gennaio 1895 da Giuseppe e Italia Silvestri, falegname. Avvicinato giovanissimo al marxismo dal socialista Giuseppe Macchia, si iscrive al PSI e interviene alle manifestazioni proletarie, che hanno luogo a Cecina, a Piombino, a Follonica (dove ascolta l’on. Giovanni Merloni) e in altri centri maremmani. Nel 1915 prende parte alle proteste contro l’ingresso in guerra dell’Italia e nel ’17 sottoscrive una piccola somma a favore del giornale socialista «L’Operaio», di Piombino, insieme a A. Lenzi e a G. Massei. Nel 1919 organizza la Lega proletaria e contadina di Cecina, con il socialista Bocelli, e nel novembre 1920 viene eletto consigliere municipale. Nel gennaio 1921 passa nel pcdi e in febbraio è arrestato per correità nell’omicidio di un fascista livornese, rimasto gravemente ferito durante una spedizione squadristica compiuta a Cecina, per obbligare l’Amministrazione municipale, guidata dal sindaco comunista Ersilio Ambrogi, a esporre di nuovo la lapide commemorativa dei cecinesi caduti della Prima Guerra mondiale. Rinchiuso nel Maschio di Volterra, B. viene candidato dal pcdi alle politiche del 1921, nella circoscrizione Arezzo-Siena-Grosseto, ma non ottiene i suffragi necessari e resta in carcere. Condannato, nel 1922, dalla Corte di assise di Padova a 10 anni, tre mesi e 10 giorni di reclusione, viene rilasciato il 14 agosto 1926, in seguito a una amnistia, e fa ritorno a Cecina. Costretto dai fascisti a lasciare la città natale 24 ore dopo, trova riparo a Roma, ma viene aggredito e malmenato perché esibiva una cravatta nera alla Lavallière. Spostatosi a Milano, emigra clandestinamente e si stabilisce a Lione, dove fa l’ebanista e nasconde, per qualche tempo, nella sua casa Oscar Scarselli, il capo della “Banda dello Zoppo”, evaso dal reclusorio di Volterra la notte dal 4 al 5 ottobre 1924, insieme all’anarchico Giuseppe Parenti di Campiglia Marittima e al “capo della banda dell’Oneta”, Giovanni Urbani. Nel 1927 aderisce al Gruppo di avanguardia comunista, fondato dall’antico seguace di Bordiga, Michelangelo Pappalardi, e sostiene i giornali operaisti «Le Réveil communiste - Il risveglio comunista» e «L’Ouvrier communiste», editi a Parigi dal 1927 al 1931, e assai critici verso “la linea leninista”, che ha portato i lavoratori “alle peggiori disfatte”. Colpito da un decreto di espulsione nel 1928, B. rimane illegalmente a Lione, senza rinunciare all’attività sovversiva, e il 14 dicembre 1931 rappresenta il gruppo operaista a una riunione, che si svolge nella sede del Circolo “Sacco e Vanzetti”, per avviare una campagna internazionale in favore dell’anarchico Francesco Ghezzi, deportato dai comunisti in Siberia. Scioltosi il movimento di Pappalardi, B. interviene nel dibattito, che si apre in seno alla Frazione di sinistra bordighista, scrivendo due articoli sul «Prometeo» di Molenbeeck nel 1932, poi, l’anno seguente, viene incluso fra gli attentatori residenti all’estero e si stacca definitivamente dal marxismo, passando, insieme a Quinzio Panni e a Ludovico Rossi, nel movimento anarchico. Questa sua adesione induce i comunisti italiani a fare più volte il suo nome, in un articolo delatorio e ingiurioso che viene pubblicato su «La Nostra bandiera» di Parigi, per farlo espellere dalla Francia. Agli ex compagni B. replica su «La Lanterna» di Marsiglia, denunciando i loro intenti spionistici e le loro responsabilità nella catastrofe tedesca del 1933, smascherando la loro apologia (“la solita ragliata”) del “paradiso soviettico” e il servilismo verso Mosca, e affermando che nella loro azione “vi sono tutte le premesse per lo strangolamento del moto rivoluzionario”. Nell’estate del 1936 valica i Pirenei, insieme a Attilio Scarsi, Egisto Serni, Gusmano Mariani e Mazneuf (antico ammutinato del Mar Nero) e si unisce alla Colonna Italiana, a maggioranza anarchica, partecipando ai combattimenti, che hanno luogo sul fronte aragonese. Lasciata definitivamente la Spagna nel febbraio 1937, resta in Francia, dopo l’inizio della Seconda Guerra mondiale, e prende parte al Maquis, collaborando con il movimento partigiano di Lione, insieme ad altri esuli italiani e spagnoli, fra cui Mariani, Dulio Balduini, Rosa Winkler, Carlo Emilio Gervasini, Giuseppe Bogoni, Jordi Arquer e Carlo Marchisio. Dopo la conclusione del conflitto, sostiene la stampa libertaria e rimane legato ai compagni di lotta, che sono rientrati in Italia (gli anarchici Pio Turroni, Ludovico Rossi e Umberto Marzocchi, il bordighista Carlo Mazzucchelli), e a quelli che hanno preferito fermarsi in Francia (Ugo Angelini e Egisto Serni). Il 3 aprile 1976 la sua vita generosa si chiude a Lione, dopo una breve malattia. (F. Bucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, s. 13, b. 2; ivi, Dipartimento polizia politica, Materia, 1926-1942, b. 31, Lione. Fuorusciti e sovversivi; Archivio privato Fausto Bucci - Follonica (Gr), Carteggi vari; ivi, Testimonianza di V. Massei, Cecina, lug. 1974; Testimonianza di D. Sedran, San Giorgio alla Richinvelda, 15 ago. 1975, Testimonianza di U. Angelini, Villeurbanne, 4 apr. 1976, Testimonianza di C. Michelotti Bonsignori, Lione, 4 apr. 1976; U. Marzocchi, Alfredo Bonsignori, «Umanità nova», 1° mag. 1976.

 Bibliografia: Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomenLa Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen; F. Bucci, R. Quiriconi, La vittoria di Franco è la disfatta del proletariato… Mario De Leone e la rivoluzione spagnola, Follonica 1997, pp. 45-46.

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