BIANCHI, Osvaldo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
BIANCHI, Osvaldo

Date di esistenza

Luogo di nascita
San Giovanni Valdarno
Data di nascita
07/08/1892
Luogo di morte
San Giovanni Valdarno
Data di morte
20/07/1974

Attività e/o professione

Qualifica
Macellaio

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a San Giovanni Valdarno (AR) il 7 agosto 1892 da Decimo e Carolina Scheggi. Lavora fin da ragazzo nella bottega di macelleria della famiglia nel centro del paese. Richiamato alle armi con la sua classe nel 1912 si congeda, dopo sei anni, da graduato e insignito della decorazione di guerra. Nel 1919 è assunto nella locale Ferriera come operaio ed a questo periodo risale il suo impegno militante nella Unione Anarchica Valdarnese (uav), entità territoriale composta da vari gruppi di cui diviene ben presto segretario. “Per quanto di limitata cultura e intelligenza, avendo frequentato la quarta classe elementare, - annotano sul suo conto le carte di polizia - gode ascendente tra i compagni e fra le masse operaie, facendosi notare per l’attività organizzativa e per la propaganda, per quanto incapace di tener conferenze e comizi di piazza. Temuto per il suo temperamento e per l’intransigenza dei suoi principi anarchici. Partecipa attivamente alle dimostrazioni sovversive del tempo”. Con i metallurgici valdarnesi affianca Attilio Sassi e i minatori dell’USI nella lotta per la giornata di sei ore e mezza. Il lunghissimo sciopero del 1919 (undici settimane) rimarrà negli annali delle conquiste sindacali. “Contro i pescecani dell’Ilva e della Mineraria” e, soprattutto, “per più umane condizioni di lavoro” la mobilitazione operaia è coinvolgente, totale la solidarietà della popolazione. Intanto gli scioperi e i comizi pro Russia e Ungheria, i moti del Biennio rosso creano ovunque un clima di grandi aspettative. In Valdarno il movimento generale si salda con quello sindacale e assume connotati insurrezionali. Nel corso del 1920 più volte B. partecipa a pubbliche manifestazioni, a convegni sindacali, per portare la solidarietà dell’uav ai metallurgici che occupano le fabbriche. È in questa fase di guerriglia di classe dilagante che si arriva, in Valdarno, al tragico 23 marzo 1921. L’antefatto si verifica a San Giovanni dove viene assaltata e svaligiata un’armeria. Un’auto di fascisti proveniente da Firenze viene fatta segno da “un fuoco incrociato di fucili, rivoltelle e bombe a mano dalle finestre e dai portoni”. Le barricate vengono rimosse dalle camicie nere che “aiutano la forza pubblica”. L’eco di questi avvenimenti funge da detonatore per il vicino bacino minerario di Castelnuovo. Un gruppo di minatori fa irruzione negli uffici della Mineraria, occupa il centralino telefonico e appicca fuoco alla direzione. Esplodono colpi di rivoltella e due bombe a mano. Viene colpito a morte un ingegnere e rimangono feriti il direttore e alcuni impiegati. Il direttore stesso racconterà di aver notato B. “fra i più furiosi” e decisi nel rifiutare ogni invito alla calma. E anzi gli attribuisce la frase: “Quando bruciano le nostre cooperative voi ne godete”. Pochi giorni dopo l’accaduto l’autorità giudiziaria già espone le sue certezze: “Raggiunti da prove veramente schiaccianti e meritevoli della più profonda esecrazione si ravvisano, per la brutalità del loro operato e malvagità di coscienza, Bianchi Osvaldo, Bindi Giovanni e Priamo, Pizzetti Primo e suo figlio Armando, Francini Dante, Gaggi Otello, Lubrani Ernesto, Meozzi Vittorio, Operi Bruno; Caselli Eugenio, Perini Quintilio, Renzini Dario, Mini Angelo, Della Lucilla Angiolo, Fratini Settimio, Ciarpaglini Giovanni, Fusini Pietro, Gatteschi Dante, Lecchi Alfredo, Aiacci Terzilio, Bigiandi Priamo, Carapelli Emilio e Pericoli Giulia vedova Innocenti. Essi presero parte a tutta l’azione e non si allontanarono che a strage compiuta”. Dalle indagini di polizia emergerà anche che erano state costituite numerose squadre armate composte da quattro unità ciascuna, attive in tutta la zona e coordinate da B., da Olinto Losi e Destino Batelli a loro volta in contatto con un “centro” segreto di Firenze facente capo all’anarchico Domenico Aratari. “Artificiere” del gruppo sarebbe certo Sardi Silvio depositario di bombe e tubi di gelatina. Il locale commissario della PS riferirà in sede processuale il contenuto delle riunioni tenute “in gran segreto” alla Casa del Popolo dai sovversivi con l’intento di raccogliere fondi per le armi. In realtà l’accusa non è provata e l’avvocato difensore Giovanni Droandi documenterà che il suo assistito ha soltanto effettuato sottoscrizioni pro-«Umanità Nova». Molti fra i sovversivi in fuga si dirigono verso la Repubblica di San Marino. Due settimane dopo i tragici fatti di Castelnuovo i carabinieri intercettano una lettera del “catturando” Otello Gaggi, già riparato dentro i confini del piccolo stato, che tenta di mettersi in contatto con i familiari del segretario della uav. Così B. viene arrestato sul valico appenninico a Badia Tedalda quando, con l’assistenza degli anarchici aretini Alfredo Melani e Ruggero Turchini, ha quasi raggiunto la meta. Interrogato nega recisamente ogni addebito per quanto riguarda l’incendio della direzione, i vari ferimenti e l’uccisione dell’ingegnere. Ammette solo di aver partecipato all’irruzione nella palazzina con l’unico scopo di procurarsi armi per difendersi dall’arrivo eventuale dei fascisti in miniera, salvo poi ritornare a San Giovanni per far fronte all’aggressione in atto delle camicie nere contro le sedi operaie. Nelle caserme e nei commissariati valdarnesi all’indomani dei fatti si procede all’interrogatorio degli arrestati con il sistema della tortura e delle sevizie. Al processo quasi tutti gli imputati denunceranno con coraggio i maltrattamenti ricevuti, le confessioni estorte con la forza. In pochi erano riusciti a sottrarsi alle nerbate del commissario, alle bastonature dei carabinieri. B., considerato uno degli ispiratori della rivolta, rammenta che “a forza di legnate mi fecero dire quello che a loro faceva comodo e mi dissero di confermarlo anche dinanzi al giudice altrimenti me ne avrebbero date delle altre”. F.S. Merlino, avvocato difensore di un consistente gruppo di imputati, denuncia con energia – però invano – le ripetute violenze messe in atto dagli agenti della forza pubblica protestando “in nome della civiltà, dell’umanità e della giustizia contro tali abusi e delitti”. Il processo contro i 75 “giudicabili” per i “moti rivoluzionari” del Valdarno si celebra nel 1923. Undici risultano gli assolti e cinquantacinque sono i condannati fra cui alcuni a trent’anni. A B. (nelle cronache giudiziarie definito “anima dannata”) è comminata una pena di 30 anni di reclusione oltre le pene accessorie per omicidio, mancato omicidio, correità, complicità, ecc. Liberato dal carcere in seguito all’amnistia, fa ritorno a San Giovanni nel novembre 1932, occupandosi nella macelleria gestita dal fratello Bruno. Iscritto nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze, risulta continuamente sorvegliato dalla polizia per tutto il decennio successivo al suo rientro. Ciò nonostante continua a mantenere contatti con il disperso ambiente sovversivo antifascista. Le vicende spagnole, connotate da un epilogo tragico e sanguinoso all’interno stesso delle forze antifasciste, segneranno il punto di non ritorno e di rottura definitiva nei rapporti tra anarchici e comunisti. Questo si verifica perfino in quelle zone, come il Valdarno, dove il partito comunista aveva attecchito innestandosi saldamente sulle preesistenti tradizioni libertarie e sovversive. Nel clima di totale diffidenza, e con un movimento libertario ormai a ranghi ridotti, si cercheranno comunque di stabilire rapporti di collaborazione nella resistenza, nei CLN locali. Ad esempio a Cavriglia e a San Giovanni – a causa del seguito popolare, per dare lustro a questi organismi – è giocoforza inserirvi rappresentanti anarchici e comunisti-libertari di prestigio. B. è fra questi ed il suo ruolo è ben documentato nei resoconti ufficiali sull’attività partigiana. “Per ragioni di opportunità geografica, il CLN di San Giovanni Valdarno tenne sempre i suoi contatti regolari con il ctln di Firenze. Il 18 settembre 1943 avvenne infatti la costituzione del CLN di San Giovanni, nel monastero di Montecarlo. Si trovarono, per la prima volta, riuniti nel silenzio claustrale, uomini delle più opposte tendenze, come il libertario Osvaldo Bianchi, l’azionista Isidori, i comunisti Rosseti e Gragnoli, i democristiani Bigi e [Aldo] Bianchi, ed altri ancora. Fu in quella circostanza, che il prof. avv. Carlo Furno, membro del ctln di Firenze portò la parola d’ordine di lotta a oltranza contro il nazi-fascismo”. Nel dopoguerra B. si ritira a vita privata. Muore a San Giovanni Valdarno il 20 luglio 1974. (G. Sacchetti)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio dello Stato - Arezzo, Corte d’assise, 1923, Procedimento penale c/ Quartucci Dante e altri, b.142 e b.143; ivi, fondo Avvocato Giovanni Droandi, f. Processi di S.Giovanni V.no e Castelnuovo.

Bibliografia: Un trentennio di attività anarchica. 1914-1945, Cesena 1953; A. Curina, Fuochi sui monti dell’Appennino toscano, Arezzo 1957; U. Fedeli, Archivio del dolore, «Umanità nova» , 8 mar. 1959; I. Tognarini, S. Nannucci (a cura di), Una comunità valdarnese tra antifascismo, guerra e ricostruzione, Napoli 1995; G. Sacchetti, Camicie nere in Valdarno. Cronache inedite del 23 marzo 1921 (guerra sociale e guerra civile), Pisa 1996; G. Sacchetti, Presenze anarchiche nell’Aretino dal xix al xx secolo, Pescara 1999. 

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