BENETTI, Aladino

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
BENETTI, Aladino

Date di esistenza

Luogo di nascita
Bagnolo San Vito
Data di nascita
03/11/1894
Luogo di morte
Genova
Data di morte
09/02/1946

Attività e/o professione

Qualifica
Impiegato

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Bagnolo San Vito (MN) il 3 novembre 1894 da Attilio e Cesira Allegretti, impiegato. La famiglia emigra in Brasile, nella zona di San Paolo, dove però il padre muore per la febbre gialla quando B. ha solo due anni. Con la madre e due fratelli ritorna a Mantova, dove la famiglia vive per anni in condizioni di miseria. Non potendo proseguire gli studi elementari, dopo aver lavorato come meccanico e fabbro, a 14 anni trova occupazione come tipografo compositore. A 17 anni entra in una fabbrica di motori industriali, e diventa tornitore. Dopo un anno però perde il lavoro, e decide allora di arruolarsi volontario nella marina militare. Imbarcato su una corazzata, partecipa alla Guerra di Libia e poi a quella mondiale. Ritornato alla vita civile dopo la conclusione della guerra, apre una piccola officina meccanica, ma poi decide di partire per la Francia, passando illegalmente la frontiera. Trova lavoro in alcune officine meccaniche della zona di Parigi e si avvicina al movimento anarchico. Tornato in Italia nel febbraio 1921, decide di stabilirsi a Genova. Qui diventa bigliettaio dell’Azienda autobus municipali, e torna a frequentare le riunioni degli anarchici e a impegnarsi nel campo sindacale. Per tale ragione è licenziato dall’azienda, e apre allora con la moglie una piccola “trattoria operaia” in piazza Cavalletto, che diventa subito uno dei principali punti di ritrovo del movimento anarchico genovese. All’affermarsi dello squadrismo fascista subisce continue persecuzioni, alle quali si aggiungono le “attenzioni” esercitate dalla polizia. Così descrive la situazione nelle sue memorie, ancora inedite: “Arresti a Genova per distribuzione stampe quasi ogni domenica con rilascio immediato – perquisizioni in casa molto spesso ed in trattoria – fermi ed interrogatorio a chiunque s’accompagnava per strada con – inviti in questura per le più sciocche informazioni che speravano ottenere su persone e fatti accaduti – intimazioni e minacce da parte di fascisti in ogni momento, di giorno come di notte – sequestri di persona per ore ed ore con conseguenti bastonature – una bevuta di circa mezzo litro (senza esagerare) di olio di ricino misto ad olio minerale – il bando da Genova per tempo indeterminato – picchiato sulla pubblica piazza – portato varie volte alla sede del fascio dove erano minacce, offese e schiaffi – tentativi d’incendiare la trattoria – provocazioni d’ogni genere ch’è impossibile dettagliare”. Nel 1925 trova occupazione nell’Agenzia di trasporti marittimi Marelli. Nel 1926 è considerato dalle autorità di polizia locali uno dei “capi” dell’uai di Genova, e si sospetta che sia in rapporto con il Comitato pro-vittime politiche di Parigi. Per tali ragioni è condannato nel novembre 1926 a scontare due anni di confino, nell’isola di Lipari. Arrestato alla fine del 1927 è messo a disposizione del Tribunale speciale, ma è prosciolto per insufficienza di prove. Scontata la pena, rientra a Genova, dove è continuamente vigilato, e periodicamente fermato, in occasione del 1° maggio o di altre feste fasciste, o per il passaggio di qualche alta personalità nella città o, infine, in altre occasioni (ad esempio il varo dell’incrociatore Bolzano). Nel corso del 1932 è arrestato ben 32 volte! Pur non potendo, in tali condizioni, svolgere alcuna attività politica, mantiene contatti epistolari con alcuni compagni e, tra il marzo 1930 e il settembre 1933 è in corrispondenza prima con E. Malatesta e poi, alla morte di questi, con la sua compagna Elena Melli. In questo quadro di continua persecuzione incontra molte difficoltà a trovare un lavoro stabile, perché le aziende che lo assumono sono regolarmente informate dalla Questura della sua “pericolosità”, e procedono immancabilmente al licenziamento. Per tale ragione decide di aprire una piccola officina, ma nei primi mesi del 1937 il poco lavoro lo costringe a chiudere l’azienda, e a occuparsi come manovale nel porto. In settembre, decide infine  di trasferirsi presso la madre e le sorelle a Milano. Pur essendo ancora inserito nella lista delle “persone pericolose da arrestare in determinate circostanze”, la Questura di Milano sembra meno solerte nell’applicazione di questa norma, consentendogli finalmente una vita normale. Dopo vari lavori, all’inizio del 1939 è assunto come tornitore alla Breda di Sesto San Giovanni. Nell’ottobre dello stesso anno cade malato, e scopre di essere affetto da tubercolosi. Ricoverato nel sanatorio di Vialba a Milano, è poi trasferito dal 10 febbraio 1940 in quello di Pineta di Sortenna (so). Il giorno dopo l’entrata in guerra dell’Italia è proposto per l’internamento, “in considerazione della sua pericolosità”, e nonostante le sue condizioni di salute inviato nel campo di concentramento di Manfredonia. Dopo qualche settimana, a fronte del costante deperimento e di ricorrenti crisi, il Ministero dell’interno decide di trasferirlo nel sanatorio di Garbagnate (MI) e poi in quelli di Vialba e Pineta di Sortenna, dove rimane fino al 1943. Nell’agosto 1944 raggiunge a Modena la famiglia, lì sfollata da tempo. Partecipa con il figlio ventiduenne alla battaglia finale per la liberazione della città (22 apr. 1945), ed è tra i promotori della nascita della CdL confederale, entrando nella segreteria camerale in rappresentanza degli anarchici. È anche nominato ispettore confederale, e in tale veste segue alcune vertenze sindacali, muovendosi in tutta la provincia tenendo riunioni su riunioni. È anche tra i fautori della costituzione della fcl modenese, che ha sede nello stesso palazzo della CdL. È, infatti, nominato segretario della Federazione, ed è lui a elaborare il Manifesto-programma che viene diffuso nella provincia nell’agosto del 1945. Il clima della città emiliana e il grande attivismo politico e sindacale incidono però sulle sue condizioni fisiche, e si trova costretto ad accettare i ripetuti inviti provenienti dai compagni di Genova, affinché si trasferisca di nuovo in quella città. Appena giunto riprende il suo impegno politico, partecipando alla vita della fcl ligure. È incaricato di promuovere la pubblicazione del giornale della Federazione, «L’Amico del popolo», che esce a partire dal 3 marzo 1946. Muore però a Genova prima dell’uscita del giornale, il 9 febbraio 1946. (C. Silingardi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Istituto Storico della Resistenza di Modena, Fondo Movimento anarchico e sindacalismo rivoluzionario, b. 56, f. 1, Carte personali di Aladino Benetti.

Bibliografia: C. Silingardi, Note, riflessioni e documenti per una storia dell’anarchismo a Modena, «Rassegna di storia», n. 1, 1982; Id., Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1945, Milano 1998; L. Bertucelli, et al.Un secolo di sindacato. La Camera del lavoro a Modena nel Novecento, Roma 2001; A. Pirondini, Anarchici a Modena. Dizionario biografico. Milano, Zero in condotta, 2012.

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