ABBRUZZETTI, Luigi
Tipologia Persona
Intestazione di autorità
- Intestazione
- ABBRUZZETTI, Luigi
Date di esistenza
- Luogo di nascita
- Roma
- Data di nascita
- 04/05/1896
Attività e/o professione
- Qualifica
- Carrettiere
Nazionalità
- Italiana
Biografia / Storia
- Nasce a Roma il 4 maggio 1896, da Angelo e Maria Gascout (o Gasconti), è conosciuto anche come “Giggetto” o, per il suo fisico alto e asciutto, che gli conferisce un’andatura «spavalda», con il soprannome di “Spaghetto”. La pubblica sicurezza lo descrive come uomo di «cattiva fama», dal «carattere impulsivo» e dalla «scarsa educazione», ma gli riconosce al contempo di essere dotato di «molta intelligenza» e, sebbene abbia frequentato le sole scuole elementari, mostra una «limitata cultura». Di professione è carrettiere, è un «buon lavoratore» e con la famiglia ha rapporti corretti e affettuosi, mentre verso le autorità «tiene un contegno indifferente». Sentimentalmente si lega a Emilia Conti, i due non si sposeranno e avranno due figli e due figlie.
A Roma, abita prima in via Monte Caprino per poi spostarsi in via delle Sette Chiese. Frequenta gli ambienti sovversivi e professa «principi rivoluzionari», ma non afferisce ad alcun partito specifico. Per il suo carattere esuberante, ha una certa frequentazione con la giustizia: il 3 agosto 1909 è condannato a 5 mesi di reclusione per lesioni volontarie; il 24 febbraio 1911 a un mese per oltraggio e resistenza alla forza pubblica; il 16 giungo 1912 gli viene inflitta una multa di 110 lire per gioco d’azzardo; il 2 giugno 1913 è condannato a 6 mesi e 25 giorni per lesioni a mano armata; il primo giugno 1914, gli viene inflitto mese di carcere per oltraggio alla pubblica sicurezza e il 27 aprile 1916 è condannato a 3 mesi per lesioni. Un’ultima condanna (2 anni e 5 giorni di reclusione e una multa di 1.116 lire) la subisce nel 1926, per ricettazione e tentata corruzione di pubblico ufficiale.
Convinto della propria innocenza e indisponibile a scontare una condanna che ritiene ingiusta, l’8 ottobre passa la frontiera per la Francia con un passaporto falso intestato a Oreste. Prima di lasciare l’Italia, ha un qualche ruolo nell’attentato a Mussolini dell’11 settembre 1926 per mano di Gino Lucetti. È infatti l’autista dell’automobile, fornitagli da suo cugino, che staziona davanti al luogo dell’attentato all’interno della quale è riconosciuto Giuseppe Pirrone, del movimento antifascista di ispirazione socialista denominato “volontista” dal nome del suo periodico di riferimento «Volontà».
Giunto a Parigi, A. si impiega come garzone in una farmacia e riprende con maggiore impegno le sue attività sovversive frequentando i «più accesi anarchici» italiani residenti nella capitale francese, legandosi a Roberto Paolocci, Biagio Bruscolotti e Angelo Diotallevi, con i quali collabora alla riorganizzazione del movimento libertario in terra d’oltralpe. Insieme a Diotallevi, lavora in un laboratorio meccanico. Il fascismo continuerà a non lasciarlo in pace; le autorità negano infatti il passaporto alla compagna intenzionata a raggiungerlo; il Tribunale speciale di difesa dello Stato spicca invece un mandato di cattura nei suoi confronti e viene iscritto nella rubrica di frontiera con indicazione di perquisirlo e arrestarlo qualora facesse ritorno in Italia. In Italia, tenta di tornare già nel 1928, via Marsiglia, per un abboccamento con alcuni sovversivi e, probabilmente, nel quadro di un possibile attentato al duce pare organizzato da Umberto Bellini e in cui pare coinvolto anche Diotallevi. Nello stesso anno, sembra prendere parte a un attentato dinamitardo; messo alle strette dalla polizia francese, alla fine dell’anno, deve cambiare la sua abitazione, trasferendosi da Avenu Parmentier 10 a Rue du Rendez Vous 35 presso Bruscolotti.
Mentre prosegue le sue relazioni con i volontisti di Perrone e con gli anarchici, in settembre, scopre la trappola orchestrata dall’agente provocatore Giulio Rastelli ufficiale della MSVN di Roma che voleva coinvolgere alcuni sovversivi in un presunto attentato al duce. Subito dopo, nei suoi confronti viene effettuato un decreto di espulsione cui non sottostà e resta in Francia. Ritirata l’espulsione gli saranno rilasciati permessi di soggiorno di tre mesi in tre mesi. A Parigi, cambia spesso mestiere, nel 1930 si impiega come muratore nei cantieri cittadini. Nonostante le incertezze e le restrizioni, continua il suo impegno nel movimento libertario e nell’antifascismo; spesso presente alle riunioni anarchiche prende contatto con Giustizia e Libertà e conosce Carlo Rosseli. Le autorità di polizia per la sua continua attività sovversiva lo iscrivono nella «Rubrica di frontiera» e nel «Bollettino delle ricerche».
La sua militanza è «molto produttiva»; si impegna anche nella Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo di cui diventa un organizzatore. Nel 1934 richiede il passaporto per Messico, confidando di «non sentirsi sicuro» a Parigi, ma non lascerà il suolo francese. Nell’agosto 1936, è invece in procinto di partire per Barcellona al seguito di Rosselli, ma rimane in Francia, mentre per la Spagna parte suo fratello Oreste. L’anno successivo chiede alle autorità italiane di rilasciare il passaporto alle sue due figlie, Ada e Olga, lasciate dalla madre, a Roma, da una sorella e dai nonni materni per raggiungerlo in Francia. Ma anche in questo caso la Questura nega il permesso; in seguito verrà raggiunto invece dal figlio Angelo, con il quale progetta di trasferirsi in Brasile, ma anche in questo caso rimarrà a Parigi. Mantiene i suoi rapporti con il movimento anarchico legandosi in modo particolare all’antiautoritario ed ex ardito del popolo Antonio Moscardini. All’inizio del 1940, apre un negozio di generi alimentari che gli procura un migliore condizione di vita tanto da poter disporre di un’automobile e due furgoncini; abbandona l’attività politica attiva, ma mantiene contatti diretti con il movimento libertario prodigandosi in sottoscrizioni per i compagni vittime della repressione.
Alla fine dell’anno, il figlio diciottenne Angelo si suicida gettandosi nella Senna da ponte Austerlitz dove vengono rinvenuti un documento d’identità e la giacca del giovane, ma il corpo non verrà mai ritrovato. Con lo scoppio della guerra tra Italia e Francia le autorità lo costringono a chiudere il suo negozio che riaprirà al momento dell’occupazione nazista di Parigi. Ma nel marzo del 1941, la polizia francese gli comunica che deve recarsi in un campo di lavoro in Germania. A. però rifiuta e liquida l’esercizio dichiarando di voler tornare in Italia. In realtà, rimane nella capitale francese dove si dedica a commerci illegali e all’export di metalli. Il 3 marzo 1943, su richiesta del Ministero dell’Interno italiano, è arretato dai nazisti senza un motivo ufficiale e viene portato nelle carceri romane di Regina Coeli. Considerato dal regime un «elemento pericoloso in linea politica per aver svolto all’estero attività antifascista», il 6 maggio viene inviato alle Tremiti per scontare 2 anni di confino politico.
Terminata la guerra, nell’ottobre 1945 lascia nuovamente l’Italia per tornare a Parigi, dove se ne perdono le tracce. S'ignorano data e luogo di morte. (R. Carocci)
Fonti
- FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
BIBLIOGRAFIA: Antifascisti nel Casellario politico centrale, Roma, 1989-1994, ad nomen.
Codice identificativo dell'istituzione responsabile
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