ZAVATTERO, Domenico

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
ZAVATTERO, Domenico

Date di esistenza

Luogo di nascita
San Remo
Data di nascita
29/07/1875
Luogo di morte
Ravenna
Data di morte
03/04/1947

Attività e/o professione

Qualifica
Commesso di negozio
Qualifica
Impiegato
Qualifica
Pubblicista

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a San Remo (im) il 29 luglio 1875 da Giovanni e Antonia Bruno, commesso di negozio, pubblicista e impiegato. Compie gli studi elementari, formandosi successivamente una cultura da autodidatta, nutrita di letture dei classici dell’anarchismo (Kropotkin, Grave, Malatesta). Trasferitosi con la famiglia da Castel Alfero a Torino nel 1882, aderisce inizialmente al PSI, ma, nel 1894, “varcati i confini del socialismo legalitario, forse per giovanile incosideratezza, si abbandon[a] alle aberrazioni degli anarchici”, frequentando soprattutto Romualdo Pappini, Luigi Alasia e Luigi Barosso. Commesso presso un libraio, nel settembre 1895 emigra in Turchia, dove lavora come manovale nella costruzione delle ferrovie.

Rientrato nell’aprile del 1897, nell’estate dà vita al Circolo di studi sociali, dove ogni sera tiene una conferenza, e viene segnalato come “la mente direttiva” degli anarchici torinesi, dedito interamente alla “propaganda settaria”. Considerato pericoloso, nel maggio 1897 viene arrestato per l’arrivo dei principi nel capoluogo piemontese («L’Agitazione», 30 mag. 1897). In questa fase Z. dà inizio ad un’attività editoriale, pubblicistica e propagandistica, che, Luigi Fabbri a parte, forse non ha eguali in ambito libertario. Collabora a «L’Agitazione» di Ancona, a «Il Nuovo verbo» di Roma, a «Il Ribelle» di Reggio Calabria e dà alle stampe una serie di opuscoli a cinque centesimi l’uno. La pubblicazione de La peste religiosa di Johann Most gli costa, insieme con Enrico Richiero, una prima condanna a tre mesi e 22 giorni di reclusione nel novembre 1897, a cui segue una seconda, nel marzo 1898, a sei mesi per l’opuscolo di Pasquale Pensa Vittime e pregiudizi. (che saranno però oggetto di indulto). Entrambi gli opuscoli vengono sequestrati, come sequestrato è Che cosa vogliamo dello stesso Z., il quale dopo aver dato alle stampe Ozio e lavoro, agli inizi del ’98 pubblica presso Ciro Baraldi, a Mantova, Che cos’è l’anarchia, dando prova di un’inesauribile vena pamphletistica. Il 4 marzo 1898 un intervento in un pubblico comizio presso l’Associazione Generale degli Operai gli procura un nuovo arresto e, nonostante la difesa di Pietro Gori, una condanna, scontata, a due mesi e 23 giorni di reclusione per incitamento all’odio di classe, oltraggio agli agenti e grida sovversive.

L’interrotta serie di sequestri, arresti, condanne e la repressione seguita ai “moti” milanesi lo spingono a lasciare Torino nel maggio 1898 alla volta di Losanna. A Neuchâtel fa parte del gruppo di esuli che, con Ciancabilla, danno nel luglio vita a «L’Agitatore», ma, espulso nell’ottobre, dopo l’uccisione di Sissi da parte di Luccheni, ripara prima a Londra, poi a Parigi, ospite di Ernesto Cantoni, fino all’aprile 1899. In sua assenza, tra la fine del ’98 e il giugno del ’99, subisce ulteriori condanne (due a due anni, una a 18 mesi e un’altra a 27 mesi, tutte poi condonate o amnistiate) per reati di stampa e per aver fatto parte del Circolo di studi sociali. In questo periodo invia a «La Questione sociale» di Paterson un articolo vibrante d’impazienza rivoluzionaria: “È necessario agire. Ci hanno soppresso la stampa, ebbene, si getti lungi da noi la penna e si brandisca un’arma. L’epoca della teoria per ora è terminata: incomincia quella dell’azione” (24 dic. 1898).

Nel maggio 1899 è nuovamente in Svizzera, a Zurigo, dove viene arrestato. Riuscito a fuggire mentre viene accompagnato alla frontiera italiana, ripara nuovamente a Londra, dove pubblica I rivoluzionari e la situazione in Italia, proponendo l’unione di tutte le forze rivoluzionarie con l’obiettivo di attaccare i poteri costituiti. Nel settembre 1899, mentre è a Lugano, esce a Londra Ai legalitari!, nel quale critica la politica addormentatrice dei socialisti, incitandoli ad abbandonare la via elettorale per “formare un popolo educato alla rivoluzione”. Agli inizi di novembre è di nuovo sul continente e passando per Belgio, Francia, Svizzera arriva a Milano, dove il 21 novembre è arrestato, mentre è ospite di Carlo Colombo (per questo incriminato), e tradotto a Torino per scontare i 18 mesi in precedenza indicati. Un’amnistia di fine anno gli apre in gennaio le porte del carcere. È uno Z. in qualche modo nuovo quello che riappare sulla scena italiana, che ha lasciato ormai alle spalle le tentazioni antiorganizzatrici: “Io non fui ultimo pel passato a spezzare qualche lancia in pro della non-organizzazione. Ma l’esame dei fatti, l’esperienza acquisita mi hanno convinto esser finito il periodo di pura teoria, mi hanno persuaso stare sul chi va là, essere necessario prepararsi e preparare la massa. [...] E per far ciò mi sono persuaso essere indispensabile l’organizzazione delle forze anarchiche in partito” (L’autonomia nella federazione, «L’Agitazione», 29 mar. 1900). Nella sua nuova veste nell’aprile si reca ad Ancona per assumere la redazione de «L’Agitazione», falcidiata dalle condanne, ma viene tratto in arresto e rimpatriato. Fondamentale nella sua ottica della preparazione della massa è la propaganda scritta, soprattutto l’opuscolo che egli definisce “l’ariete che batte le mura per aprirvi la breccia” ( La nostra stampa., «L’Avvenire sociale», 26-27 gen. 1900) e di cui è infaticabile compilatore. Ne La moderna gioventù (“dell’instancabile nostro compagno”, segnala «L’Avvenire sociale», 9-10 mar. 1900) Z. attacca con veemenza i giovani che preferiscono “gli ozii” e i divertimenti, disinteressandosi della questione sociale. La sua notorietà, almeno in Torino, cresce proporzionalmente alle sue iniziative nonché alle sue disavventure giudiziarie.

La sua propaganda astensionista gli merita da parte di Treves l’epiteto di “ultimo disperso sonatore” e un corrispondente del «Secolo XIX» di Genova, narrando del suo arresto, rivela la sensazionale (quanto falsa) scoperta di un “postribolo anarchico” fondato da Z. sulle colline torinesi, con “quota d’entrata per i compagni di L. 0,50” (è lo stesso Z. a segnalarlo a «L’Agitazione» del 30 agosto). “Invenzioni postribolari” a parte, Z. viene effettivamente arrestato per una condanna a quattro mesi “pel reato di offesa al pudore commesso colla stampa del noto opuscolo La donna” e, non senza aver firmato una protesta collettiva per gli anarchici anconetani processati per associazione sediziosa, viene tradotto alle carceri di Ancona per scontare una condanna a due anni e due mesi dovuta ad un articolo apparso ne «L’Agitazione».

Trasferito al reclusorio di Pesaro, viene dimesso nell’agosto del 1902 e rimpatriato a Torino, dove lavora alle dipendenze del Comune come uomo di fatica, per espiare parte della pena dovuta ad una multa non pagata. Una “sacrilega dimostrazione” contro la processione del Corpus Domini nel giugno 1903 gli costa un nuovo arresto ed una ulteriore condanna. I processi e le detenzioni non frenano comunque la sua produzione di opuscoli nel 1902-03.

Sul finire del 1903 tiene un giro di conferenze in Liguria e fissa la sua residenza a Genova, dando vita, insieme a Gustavo Telarico, a «L’Allarme», periodico eclettico che, accanto alle collaborazioni di Enrico Richiero (“Rico”), Armando Tisi (“Scintilla”) e Terenzio Barbero (“Spiritus Asper”), accoglie scritti di individualisti come Camillo Signorini e i fratelli Corbella (“Palin” e “Freigeist”), con i quali Z. (che si firma anche “Lambro Canzani”, “Lo Zingaro”, “Guido Grazia”, “Gioanni Rosso”) ingaggia vibranti schermaglie polemiche. Secondo le autorità “esplic[a] in Genova e dintorni una straordinaria attività di propaganda anarchica, infondendo un sensibile risveglio e guadagnandovi non pochi proseliti”. Particolare successo ha poi la sua campagna contro il pagamento degli affitti.

Presente al Congresso bolognese del PSI (aprile 1904) ne traccia un efficace resoconto per il giornale, criticando aspramente la tattica socialista. In giugno, a causa della difficile situazione finanziaria de «L’Allarme», si trasferisce a Ravenna e assume la direzione de «L’Aurora», sulle cui colonne riprende i precedenti pseudonimi, aggiungendovi Mingone il bracciante. Agli inizi di dicembre, di ritorno dalle consuete conferenze domenicali, Z., ormai “diventato carissimo ad amici ed avversari per la sua saldezza di principi e per la sua mitezza di carattere”, vero tesoro” per la redazione de «L’Aurora», viene arrestato e tradotto a Torino per scontare la pena per le sue intemperanze del Corpus Domini («L’Aurora», 10-11 dic. 1904). Nell’agosto 1905 ritorna a Ravenna, riassumendo la direzione del giornale e “mettendosi di nuovo a capo degli anarchici locali, suoi fanatici ammiratori”. Il linguaggio, pur burocratico, delle note di polizia mette bene in evidenza il ruolo di crescente rilievo che Z. va assumendo nell’ambito dell’anarchismo nazionale. Se «L’Allarme» e «L’Aurora» lo hanno imposto come efficace polemista, i suoi opuscoli, le conferenze e, non ultimo, il suo corredo di condanne ne hanno fatto uno dei propagandisti più noti sul piano nazionale.

Durante il suo periodo ravennate Z. ha modo di modificare le sue vedute in proposito di organizzazione, non certo perché ritorni nel novero degli antiorganizzatori, ma perché ormai “contrario all’organizzazione in partito”. Convinto che la società futura si costituisca “graduatamente, secondo le condizioni d’ambiente” cerca di “contribuire alla formazione d’un ambiente libero” ed accetta l’organizzazione professionale in quanto “embrione della società nuova”, ritenendo però che il partito non sia “il germe di sviluppo di organizzazioni sociali future”. In definitiva una sorta di organizzazione informale, fatta di larghe intese, coordinamento volontario e partecipazione, senza particolari formalizzazioni (Discutiamo?..., «Il Pensiero», 1° e 16 agosto 1905). Dopo l’eccidio di Grammichele, tenta inutilmente, insieme con Borghi, di indurre la CdL di Bologna alla proclamazione dello sciopero generale durante il comizio di protesta del 24 agosto, ma viene fermato e subito rilasciato. “Anima del convegno” anarchico di Massalombarda (5 nov. 1905), alla fine dello stesso mese partecipa al Convegno sindacalista di Bologna, promosso da Ottavio Dinale, al fianco di Borghi, Fabbri, Gori, Felicioli, Sartini, proponendo il “suo” sindacalismo: “il sindacato deve essere il nucleo cosciente, libero da gerarchie, scevro di formalismi e di discipline, il quale [...] nei momenti di agitazione [...] chiami a sé tutto quell’elemento proletario che naviga nella corrente rivoluzionaria e lo diriga nella lotta, lo guidi nell’azione” (Il nostro sindacalismo, «L’Aurora», 25 nov. 1905). Il periodo ravennate di Z., particolarmente fecondo sotto il profilo della produzione di opuscoli e dei giri di conferenze, si chiude a metà 1906, quando, in seguito a dissensi sorti all’interno del milieu anarchico locale sull’indirizzo del giornale e provocato da un’ala individualista radicale, Z. si trasferisce prima a Rimini, dove continua la sua attività editoriale, e poi a Torino, con la compagna Aglae, sorella di Agostino Masetti, che gli darà l’anno seguente il figlio Vezio. Nel capoluogo piemontese un manifesto nel “sesto anniversario dell’atto di eroismo sociale compiuto a Monza da Gaetano Bresci”, diffuso con Cesare Sobrito, nei locali della CdL, gli procura un’ulteriore condanna e altri sei mesi di carcere.

Nel giugno 1907 lascia Torino per Sampierdarena, facendo della Liguria la sua nuova base d’azione. Se ai tempi de «L’Allarme» Z era riuscito a convivere con gli individualisti, la sua insofferenza nei confronti di quelle che ormai considera “verbose” quanto inutili argomentazioni lo spinge a tentare di aggregare gli anarchici del genovesato tradizionalmente antiorganizzatori. Staccato però da un solido tessuto popolare e soprattutto da strutture organizzate capaci di garantirgli la sussistenza, Z. deve sopravvivere con la vendita di opuscoli e con le sottoscrizioni per le conferenze. Inizia così un periodo di continui spostamenti e di accresciuta insofferenza per quell’anarchismo a suo parere inconcludente che riempie le colonne di alcuni giornali. In dicembre dà così vita a «Le Pietra infernale» con l’obiettivo dichiarato di porre un freno alla degenerazione dell’anarchismo: “ci siamo ridotti a una misera accozzaglia di farneticatori che, per essersi staccata dal lavoro positivo, isolata e resa inetta e inutile, deve pur occupare le ore d’ozio: e le occupa filosofando sulla “libertà assoluta” sul “fa ciò che vuoi” sul “bisognismo” sul “più forte” su “Corrado Brando” su “l’unico” e su cent’altre grullerie che noi abbiam finito per considerar le sole degne della inarrivabile nostra sapienza” (Preliminari, ivi, 1° dic. 1907). Scritta quasi completamente da Z. , «La Pietra infernale» ingaggia duelli polemici con «La Protesta umana», in cui Ettore Molinari e Nella Giacomelli, a partire dal gennaio 1908, attaccano duramente l’anarchico sanremese, definito da «L’Uragano» il “medico-chirurgo dell’anarchismo” per i suoi intenti di rivitalizzare un movimento considerato, se non cadavere (come per F. S. Merlino), certo seriamente malato (A Domenico Zavattero (Medico-chirurgo dell’anarchismo), ivi, 16 feb. 1908). Risalgono a questo periodo tutta una serie di inimicizie – Paolo Schicchi ed Edmondo Mazzuccato – che più tardi contribuiranno a fare terra bruciata intorno a lui. Con la progettata uscita de «L’Alleanza libertaria», come da decisione del Congresso Anarchico Italiano del giugno 1907, Z., intervenuto al Congresso Anarchico Maremmano di Follonica nell’aprile 1908, propone ed ottiene di trasformare «La Pietra infernale» in supplemento del nuovo periodico. Partito tuttavia nel giugno per Parma, allo scopo di prestare la sua opera nel corso del grande sciopero agrario, viene arrestato e rinviato a giudizio per eccitamento alla rivolta e correità morali in mancati omicidi qualificati ed aggravati nelle persone di militari, agenti e ufficiali di Pubblica sicurezza. Comparso davanti alle Assise di Lucca nel grande processo per i fatti di Parma, l’8 maggio 1909 viene assolto e, dopo la scarcerazione, si stabilisce a Carrara dove, accanto alle consuete iniziative editoriali, riprende la sua attività di conferenziere spostandosi continuamente non solo in Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Marche, ma recandosi perfino a Prato Carnico (ud). In breve diventa “il membro più influente del gruppo” carrarino “1° Maggio” che su sua proposta assume la denominazione di “Francisco Ferrer”. Sembra però aver assunto un atteggiamento più prudente, forse logorato dalle frequenti detenzioni, e solitamente “si mantiene nella legalità”, ma non riesce ad evitare una piccola condanna ad un mese di reclusione, che sconterà nel 1911, “avendo esposto nella vetrina del negozio [...] a Carrara una figura rappresentante una donna nuda” [in realtà la litografia Montjuich, di Sagristà, in commemorazione di Ferrer). Quando, nel maggio 1910, sorge a Pisa «L’Avvenire anarchico» ne diventa corrispondente da Carrara. Nel novembre 1910 nuovo trasferimento, a Bologna, dove diventa a più riprese redattore responsabile de «L’Agitatore» e acquista una tipografia che prende il nome de La Scuola moderna, come la rivista che Z. pubblica (dal 16-30 nov. 1910) e di cui è redattore insieme a Luigi Fabbri e il maestro socialista Angelo Tonello. Immediatamente accusato da “Cosimo Carmas” (alias Massimo Rocca) di malversazione, per aver utilizzato i soldi della sottoscrizione per l’allestimento di una Scuola moderna a pro dell’acquisto della tipografia (Un punto interrogativo, «Novatore», 1° feb. 1911), Z., il preteso “purificatore del movimento anarchico a base di pietre infernali”, diventa oggetto di ripetuti attacchi da parte di Rocca. Se ciò non impedisce a Z., che nel frattempo si è trasferito a Massalombarda, di proseguire nella sua frenetica attività di conferenziere, deteriora sempre di più un clima, alla fine del 1912 diventerà incandescente.

L’atto di Augusto Masetti, il militare anarchico che spara al suo colonnello nella Caserma Cialdini di Bologna viene esaltato da Maria Rygier ne «L’Agitatore» del 5 novembre, provocando l’arresto dell’intera redazione, ad esclusione di Borghi e di Giuseppe Sartini, riparati all’estero. Il 6 novembre Z. viene arrestato a Massalombarda con l’accusa di associazione a delinquere, ma il 18 viene rimesso in libertà provvisoria, “previo atto di sottomissione”. La vicenda non ha conseguenze immediate, perché Z. assume la redazione de «L’Agitatore», sulle cui colonne continua la polemica con Massimo Rocca, su cui ritorce le accuse di malversazione. Con la Rygier in prigione, Borghi a Parigi, Gori scomparso nel gennaio 1911, Z. è senza dubbio il più attivo propagandista e le informative della polizia sono un continuo susseguirsi di partenze e arrivi per e da numerose località italiane. Accusato, come la Rygier e altri, di concorso nell’attentato D’Alba al re, viene arrestato e tradotto a Roma ma rilasciato dopo pochi giorni.

Protagonista del Convegno anarchico romagnolo-marchigiano del 28 luglio, partecipa attivamente alla campagna di protesta per la minacciata condanna a morte di Ettore Giovannitti e nel novembre è a Modena, al Congresso di costituzione dell’Unione Sindacale Italiana. Con l’uscita dal carcere della Rygier, la situazione muta. Un convegno anarchico tenuto a Ravenna alla fine di dicembre, con l’intervento di Borghi, decide di togliere la redazione de «L’Agitatore» a Z. e affidarla alla “eroina dell’anarchia”. Z. dal canto suo riesce a convocare a Faenza (28 febbraio) un convegno emiliano-romagnolo e a farsi affidare la direzione di un nuovo periodico, «La Barricata». Il numero del 2 marzo 1912 de «L’Agitatore» riporta un articolo dal titolo Perché non vogliamo avere nulla in comune con Domenico Zavattero, nel quale oltre a ripetere le accuse sul famoso storno di fondi dalla Scuola moderna alla tipografia, Z. viene accusato di viltà per avere scaricato la colpa della stampa del numero incriminato su Sartini, suo dipendente, e sugli operai tipografi ed essersela cavata con pochi giorni di prigione. Il durissimo attacco della Rygier sollecita un nuovo intervento di Massimo Rocca e Z. viene così a trovarsi sotto il fuoco incrociato di diversi detrattori. «Il Libertario» si schiera con Rygier, mentre «L’Avvenire anarchico» propende per Z., il quale in un nuovo convegno bolognese del 18 maggio ottiene un “voto di piena fiducia da parte dei convenuti” e pubblica come supplemento a «La Barricata» sette numeri di «Canaglie rosse», scendendo al più basso pettegolezzo, ampiamente ripagato da R. Il tono della polemica finisce per disgustare più di un anarchico (a partire da Malatesta che scrive a Fabbri di “indecente puttanajo”) e sia «La Barricata» sia «L’Agitatore» sospendono le pubblicazioni. Denunciato per diffamazione a mezzo stampa da Rocca (a sua volta accusato di malversazione), nel gennaio 1914 emigra a Marsiglia, dove, “incoraggiato dalle cortesie ricevute dai numerosi suoi compagni di fede ed amici”, decide di stabilirsi, appena in tempo per salvarsi da una condanna a un anno, tre mesi e cinque giorni di reclusione.

Prima di partire, però, nel corso del 1913 fa in tempo a pubblicare un romanzo, Vent’anni sfioriti. Considerazioni critiche sugli errori dottrinari e tattici dell’elemento anarchico in Italia, e un opuscolo, La bancarotta di un atteggiamento. Se nel primo Z. delinea un quadro impietoso del “piccolo mondo” anarchico, mettendone in rilievo gli aspetti più deteriori (la grafomania, il dilettantismo, il distacco dalla realtà), nel secondo propone una sorta di “revisione” dell’anarchismo tradizionale, sottoponendo soprattutto a critica l’ipotesi insurrezionalista e i metodi volontaristici che la sottendevano. E suscitando una pacata polemica con Malatesta, il quale, dopo aver condannato la sua “opera di disgregamento e di scoraggiamento” (Ma ti spieghi? «Volontà», 22 nov. 1913) e riaffermata la sua fiducia nell’insurrezione, lo mette in guardia, non certo dall’esprimere una nuova visione dell’anarchismo, ma dal voler “discutere persone, e provocare scandali e perseverare nella sua pretesa di “epurare” il movimento di tutti coloro che non piacciono a lui” (Breve postilla, ivi, 29 nov. 1913). Dopo aver tentato, senza risultato, di sopravvivere con “l’allevamento di bestiame domestico”, nel novembre 1918 viene assunto dall’Umanitaria come reggente del Segretariato di Marsiglia per l’assistenza agli emigranti, nonostante il parere negativo del Console generale d’Italia.

Sostituita l’Umanitaria nel 1924 dal Commissariato Generale per l’Emigrazione, Z. riesce a conservare il suo impiego fino al 1927, quando il suo ufficio viene soppresso (per il suo antifascismo, scriverà Z. alle autorità francesi). Aperto un piccolo ufficio privato, sempre con scarsa fortuna, nel 1932 entra alle dipendenze dell’architetto dipartimentale di Marsiglia e chiede la naturalizzazione francese con esito negativo. Costretto a lasciare il lavoro, tenta di nuovo l’improbabile carta del lavoro dei campi. Allo scoppio del conflitto si rifugia presso una figlia naturale e nel gennaio del 1943 rientra in Italia, dove è arrestato e tradotto alle carceri di Oneglia.

Nonostante, durante l’interrogatorio, Z. neghi un qualunque ruolo politico, in realtà la documentazione poliziesca ce lo descrive come incaricato dagli anarchici americani di “ricostituire le file degli anarchici italiani residenti in Francia” e in contatto con esponenti della Concentrazione antifascista, della CGdL, del PSI e del PRI, nonché colpito da decreto d’espulsione, poi revocato per l’intervento di un’alta personalità della Lega dei Diritti dell’Uomo. Referente marsigliese degli anarchici italoamericani, a cui versano cospicui fondi per la riorganizzazione del movimento, nel 1929 Z. collabora a «Il Martello» di Carlo Tresca firmando articoli con lo pseudonimo di “L’Olmo” o “Lolmo” e tenendo la rubrica (anonima) Cronache d’Europa., nel 1930 scrive per «Lotta anarchica» e per «Vogliamo! di Biasca (firmandosi Holmo), nel 1932-33 dirige un bollettino intitolato «La realtà nei problemi sociali contemporanei», che porta come luogo di pubblicazione Marsiglia-Detroit. Il che naturalmente gli procura l’iscrizione nella rubrica di frontiera e nel bollettino delle ricerche.

Nell’aprile 1933 è presente al Congresso marsigliese del PSI. Nel 1935 tuttavia chiede di poter rientrare in Italia, per “cattive condizioni di salute e condizioni economiche”, ma, nonostante riceva assicurazioni sulla revoca del provvedimento di arresto alla frontiera, non pare approfittarne fino al 1943, quando esprime la “speranza di vivere tranquillamente questi ultimi anni di vita che mi rimangono”.

Tornato a Ravenna, dopo la liberazione della città (4 dicembre 1944) Z. entra come rappresentante del Movimento Comunista Libertario nel CLN. Nel luglio ’45 - sempre in rappresentanza del MCL – partecipa al Comitato sindacale interpartitico della CdL, primo embrione della segreteria camerale, ma ben presto si dimostra ancora una volta un personaggio scomodo. Sorta nel settembre 1945 la Federazione Anarchica Romagnola, Z. ne è uno dei membri più attivi. Sua è la lettera del 4 ottobre in cui si invitano PCI, PSIUP, PRI e PdA ad intervenire alla commemorazione del 36° anniversario della fucilazione di Ferrer.

Delegato provinciale dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo esprime una volontà “epuratoria” che non aveva nulla da invidiare a quella dei tempi de «La Pietra infernale». Non solo. Nell’ottobre assume la direzione del periodico «La Lente», settimanale dell’Unione Studenti Italiani, sulle cui colonne attacca “il giornalismo fascista a Ravenna”, ricordando tra l’altro gli scritti di Benigno Zaccagnini, allora segretario democristiano del CLN, e pubblica in «Democrazia», l’organo del CLN, un elenco di 570 nomi di iscritti alla “organizzazione capillare fascista di Ravenna”. Violentemente attaccato dai repubblicani, Z. viene anche espulso dalla Federazione anarchica romagnola (D. Zavattero, L’epuratore Zavattero epurato dal suo Partito, «Le Lente», 21 novembre 1945) per la sua posizione favorevole alla partecipazione degli anarchici alla costituente (Anarchia e Costituente, ivi).

Nel gennaio 1946, in seguito a disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri, con il pretesto (non veritiero) di mancante autorizzazione alla pubblicazione de «La Lente», Z. viene diffidato dal continuare e viene annunciata una Commissione d’inchiesta contro di lui. L’ultimo tentativo zavatteriano di farsi sentire è costituito da «Il Rogo», un foglio battuto a macchina e semiclandestino. Z. muore a Ravenna il 3 aprile 1947. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio dello Stato - Ravenna, Gabinetto di Prefettura; b. 123; afpci Ra, Con. p., cart. d.

Bibliografia: scritti di Z.: Che cosa vogliamo, Torino 1897; Che cos’è l’anarchia, Mantova 1898; Ai legalitari, Londra 1899; Ozio e lavoro, Torino 1899; I rivoluzionari e la situazione in Italia, Londra 1899; La moderna gioventù, Torino 1900; Musa sovversiva, Torino 1902; La parola alla frusta. Versi di Domenico Zavattero in risposta a certe maldicenze, Biella 1902; Lambro Canzani [D. Zavattero], Il dovere dei giovani, Biella 1902; Nel vespajo, antichi sgorbi di Ciofré Barbariccia raschiati e rintonacati da Domenico Zavattero, Torino 1903; Sotto chiave, Torino 1903; L. Canzani [D. Zavattero], Eleviamoci! Dialogo fra due donne, Torino 1903; L. Canzani [D. Zavattero], Uno sguardo all’avvenire, Torino 1903; Alcune verità alle donne, Torino 1904; Il pudore, Ravenna 1905; Gli anarchici nel movimento sociale in Italia, Rimini 1905; Il giuoco della borghesia, Ravenna 1906; Scienza e famiglia, Ravenna 1906; Amore e famiglia, Ravenna 1906; L’analisi dell’ideale, Rimini 1907; Le speculazioni dell’impostura. Raccontino pei semplici e pei fanciulli, Rimini 1907; Eroe davvero, Rimini 1907; Di qua e di là del fosso, Rimini 1907; Galera amabilis, Rimini 1907; Gli “spiriti” a Congresso. Relazione di alcuni esprimenti mediatici, Brisighella 1907; La Scuola moderna, Bologna [s.d. ma 1911]; La bancarotta di un atteggiamento, Bologna 1913; Vent’anni sfioriti. Considerazioni critiche sugli errori dottrinari e tattici dell’elemento anarchico in Italia, Bologna 1913; Lolmo [D. Zavattero], Insurrezione e rivoluzione, Detroit 1932; L’urto di due mondi, [s.l., s.n.], 1938; Sul sentiero della guerra, [Upper Darby] 1939;Il bolscevismo: che cosa è, [Upper Darby] 1940; De monarchia. Casa Savoia giù!, Bologna 1946; Trinciato forte di prima qualità, Bologna [s.d. ma seconda metà anni ‘40].
Scritti su Z.: Borghi, ad indicem; Il Movimento Operaio Italiano Dizionario Biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad vocem; G. Sacchetti, Sovversivi in Toscana (1900-1919), Todi 1983; R. Gremmo, Gli Anarchici nel C.L.N. di Ravenna, l’epurazione dei fascisti e il “caso Zavattero”, «Storia ribelle», 1986, n. 3; Antonioli-Masini, ad indicem; A. Luparini, la dirigenza della Camera del lavoro di Ravenna dal dopoguerra agli anni ’60, in Le Camere del lavoro italiane. Esperienze storiche a confronto, Ravenna 2002.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Giovanni e Antonia Bruno

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

città