SECONDARI, Argo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
SECONDARI, Argo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Roma
Data di nascita
September 12 1895
Luogo di morte
Rieti

Biografia / Storia

Nasce a Roma il 12 settembre 1895 da Giuseppe e Aede Mattoli, originari di Bevagna (Pg); odontotecnico. Di estrazione sociale borghese – il padre, tra i primi medici omeopatici in Italia, dopo il praticantato diviene il medico di Giolitti, mentre la madre discende da un’antica e facoltosa famiglia – è il quinto di sette figli, i più piccoli dei quali, dopo la prematura scomparsa della madre e il secondo matrimonio del padre con una donna tedesca, vengono affidati alle cure della nonna e di una balia. Sebbene giovanissimo, viene fatto imbarcare come mozzo in una nave in partenza per il Sudamerica, dove, fatte perdere le sue tracce, vive di espedienti. Tra le varie professioni esercita anche quella di pugile ed entra in contatto con i circoli sovversivi dell’emigrazione italiana. È sicuramente questa “scuola di vita” che forgia il suo carattere barricadero, generoso e ribelle e che, allo scoppio del conflitto mondiale, lo conduce, al pari di molti sindacalisti rivoluzionari a fare ritorno in Italia per arruolarsi – assieme ai fratelli – nella guerra contro gli Imperi centrali. La vicenda familiare non è estranea alla scelta interventista: combattere contro gli “austro-tedeschi” significa proseguire nel solco della tradizione democratico-risorgimentale delle famiglie Secondari e Mattoli (lo zio materno è il noto medico Agostino Mattoli, che aveva sostituito il cognato nelle cure di Giolitti e che diverrà deputato nel 1921) e, allo stesso tempo, rappresenta un atto di ribellione al severo padre e alla mai accettata matrigna tedesca. Partito come soldato semplice, durante il conflitto mondiale, raggiunge il grado di tenente del battaglione studenti degli arditi. Decorato con tre medaglie – due di bronzo e una d’argento – al valor militare, nel dopoguerra è tra i fondatori dell’associazione degli arditi. Tra i principali dirigenti della sezione romana, si attesta su posizioni rivoluzionarie. Nel luglio del 1919, coadiuvato da alcuni anarchici e da esponenti repubblicani, pianifica un tentativo insurrezionale che, dal forte di Pietralata (dove è accasermato un battaglione di arditi), si sarebbe dovuto estendere ai quartieri popolari della città di Roma. Una volta conquistati la sede del Parlamento, il Quirinale e gli uffici dei dicasteri dell’Interno e della Guerra, i congiurati (che avevano predisposto timbri e cartelli con la loro sigla, Comitato combattenti e popolo) avrebbero dovuto rovesciare il governo presieduto da Nitti e proclamare la Costituente. Ma l’effimero piano naufraga ancor prima di levare le ancore: prontamente avvertite dall’ardito Ernesto Albini, le forze di polizia arrestano i “cospiratori” prima dell’inizio delle operazioni. Riuscito a sfuggire alla cattura e latitante, S. rimane nascosto – per un breve periodo – sui monti vicino Bevagna, ma viene arrestato mentre cerca di espatriare in Svizzera alcuni mesi più tardi, per tornare poi in libertà nel marzo 1920, grazie all’amnistia per i reati contro la sicurezza dello Stato. Il “complotto di Pietralata” costituisce, in ogni caso, un trampolino di lancio per un irregolare del sovversivismo quale egli è. Noto come ex combattente risolutamente schierato a sinistra, dopo la scarcerazione frequenta Gabriele D’Annunzio ed Eva Kühn (moglie di Giovanni Amendola) mentre s’interessa di esoterismo, partecipando a riunioni di cultori dell’argomento. L’aperta ostilità del Fascio di combattimento romano è controbilanciata dalle simpatie dei repubblicani di sinistra e degli anarchici individualisti. Nel maggio del 1920, in dissenso con la corrente “antibolscevica” degli arditi romani (guidata da Giuseppe Bottai e Ulisse Igliori) e col sostegno di Filippo Naldi e Peppino Garibaldi, S. e la sua componente anarchico-repubblicana estromettono il direttivo e provocano la scissione dell’associazione in due tronconi. Ma all’interno della corrente che fa riferimento a S., costituitasi in Commissione provvisoria della nuova Associazione arditi d’Italia (schedata dalla questura romana come “associazione politica mazziniana degli arditi”), si formano ancora una volta due tendenze contrapposte: quella di Naldi e Garibaldi, su posizioni moderate, e quella dei “sovversivi” secondariani che – a detta della questura capitolina – intenderebbero “proclamare la repubblica comunista”. S. cerca, in effetti, di fare scendere in piazza gli arditi romani al fianco dei lavoratori in occasione delle agitazioni del biennio rosso, ma visti fallire i propri intendimenti, si dimette dalle cariche direttive, tanto che qualche settimana più tardi le autorità possono registrare lo scioglimento di fatto della sezione romana dell’associazione degli arditi. Deve trascorrere quasi un anno perché, nel giugno del 1921, la sezione si riorganizzi, approfittando della ripresa dell’Associazione nazionale arditi d’Italia e del suo nuovo orientamento, se non proprio anti, quanto meno a-fascista. Il 22 giugno, insieme al repubblicano Luigi Piccioni e agli anarchici individualisti che fanno capo ad Attilio Paolinelli, S. convoca un’assemblea nei locali della sezione romana (uno scantinato sito nel quartiere Prati-Trionfale) nella quale – dopo una bagarre tra filofascisti e antifascisti – si decide di convocare per il 27 giugno, l’assemblea generale degli arditi per la rielezione del direttorio. In questa sede, S. lancia la proposta – accolta con entusiasmo dalla maggioranza dei presenti – di costituire un Battaglione degli arditi del popolo composto da tre compagnie (i nomi delle quali, Temeraria, Dannata e Folgore, sarebbero stati suggeriti da D’Annunzio) con il compito di difendere le sedi operaie colpite dalla reazione fascista. Con il sostegno del Comitato di difesa proletaria romano e appoggiandosi a strutture simili in altre parti d’Italia, il Battaglione romano si trasforma ben presto in organizzazione nazionale ­– denominata Associazione fra gli Arditi del popolo – la quale, nel volgere di pochissimi giorni, conosce un successo insperato: quasi 150 sezioni per circa ventimila aderenti. Fuoriusciti dall’organizzazione gli elementi di stretta osservanza dannunziana (alcuni di loro abbandonano gli Arditi del popolo perché S. avrebbe tolto “dall’Associazione la bandiera Tricolore sostituendola con bandierine nere”), S. – la cui leadership politico-organizzativa è pressoché incontrastata – è il protagonista della prima manifestazione antifascista (il “raduno” dell’Orto botanico del 6 luglio 1921), alla quale, sotto il suo comando, prendono parte circa duemila arditi del popolo. Sventata un’aggressione alla sua persona pianificata dai fascisti in risposta ai fatti di Sarzana, S. continua a giocare un ruolo di primo piano, sia nel congresso nazionale degli Arditi del popolo (Roma, 24 luglio), che lo riconferma alla guida del movimento, sia in occasione dello sciopero generale romano del 25-26 luglio, che – segnando l’avvio dell’ondata repressiva contro gli Arditi del popolo operata dal governo Bonomi – si conclude in un fallimento. In conseguenza di ciò, il 29 luglio, durante un’assemblea di arditi del popolo romani, il ruolo di S. è drasticamente ridimensionato: si costituisce un Direttorio nazionale al cui interno la responsabilità politica è affidata al deputato socialista Giuseppe Mingrino, quella amministrativa al repubblicano Vincenzo (Cencio) Baldazzi, mentre S. viene relegato al ruolo di “responsabile tecnico-militare”. Ciò segna l’inizio della crisi interna dell’organizzazione fondata da S., concomitante con la sconfessione di PSI (che ritiene preferibile percorrere la strada della “pacificazione” con i fascisti) PCdI (che tenta di organizzare proprie milizie di partito) e l’inasprimento delle misure repressive nei confronti degli antifascisti (perquisizioni, denunce, arresti). Ma a causa dell’ostilità del resto del gruppo dirigente e di settori della base – che criticano il suo atteggiamento “dittatoriale” ­– S. viene marginalizzato e, di fatto, costretto a lasciare gli Arditi del popolo: in un convegno “segreto” tenuto in margine a quello livornese della Lega proletaria, viene esautorato da ogni incarico e sostituito, nel Direttorio, dall’anarchico Vincenzo De Fazi. In un’intervista concessa in ottobre a «L’Epoca», S. rimprovera ai partiti operai il loro mancato sostegno all’organizzazione antifascista, spiegando le ragioni del suo allontanamento con i contrasti da egli avuti con Baldazzi e Mingrino. Parallelamente, cerca di riorganizzare le fila degli arditi del popolo a lui fedeli attorno al giornale «L’Avanguardia sociale» (che per un numero esce recando come sottotitolo “Organo dell’Associazione Arditi del popolo”). Ma le progettate Avanguardie del popolo (questo doveva essere il nuovo nome delle milizie) non riescono a costituirsi, anche perché la maggioranza degli anarchici non si schiera con S. ma segue, di fatto, la corrente maggioritaria di Mingrino e Baldazzi. Dopo il fallito tentativo di costituire una struttura paramilitare simile a quella da lui fondata in giugno, si getta in un’altra impresa senza seguito: nel marzo del 1922 distribuisce una circolare per la costituzione di un Partito Intellettuale, una forza politica che – raggruppando operai e intellettuali – avrebbe dovuto racchiudere in sé “tutte le idee e le concezioni” e sviluppare al massimo le “Potenze palesi ed occulte dell’Intellettualismo”. Nei giorni della marcia su Roma viene gravemente percosso dai fascisti: il 31 ottobre 1922, mentre si appresta a rincasare, alcuni squadristi gli tendono un agguato. Colpito violentemente alla testa con parecchie bastonate, non si riavrà più. Con il fratello Biante – consigliato dal deputato popolare Umberto Tupini – si trasferisce a Camerino. Nella città marchigiana, il 20 giugno 1924, “avendo dato segni di squilibrio mentale” – come informa il questore di Roma nel ’31 – viene ricoverato nel locale manicomio. Dall’ospedale psichiatrico di Camerino è quindi trasferito a quello di Montefiascone (da dove, secondo voci rivelatesi infondate, sarebbe riuscito ad “evadere”), per poi essere internato definitivamente nel manicomio di Rieti. Vani sono i tentativi del fratello Epaminonda – medico cardiologo negli USA – di portarlo con sé. Il regime fascista non lo permette: S. resterà recluso fino alla fine dei suoi giorni. Dopo 18 anni di internamento, il 17 marzo 1942, ricordato dai soli familiari, si spegne nel manicomio reatino. Le sue esequie vengono celebrate in forma strettamente privata, poiché i fascisti avrebbero letto come una provocazione un’eventuale cerimonia funebre a carattere pubblico. Le spoglie dell’ex comandante degli Arditi del popolo si trovano tuttora nel cimitero di Rieti. (E. Francescangeli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, agr (1922), bb. 97, 98 e 169; ivi, Gab. Bonomi, passim.

Bibliografia: scritti di S.: La nostra azione, «L’Avanguardia sociale», 15 set. 1921. Scritti su S.: G. Palazzolo, L’apparato illegale del Partito comunista d’Italia nel 1921-22 e la lotta contro il fascismo, «Rivista storica del socialismo», 1966, pp. 95-142; P. Spriano, Gramsci, il fascismo e gli “arditi del popolo”, in Prassi rivoluzionaria e storicismo in Gramsci, Roma 1967, pp. 175-199; F. Cordova, Arditi e legionari dannunziani, Padova 1969; M. Grispigni, Gli Arditi del popolo a Roma. Due aspetti particolari della loro storia, «Storia contemporanea», 1986, pp. 853-874; I. Fuschini, Gli Arditi del popolo, Ravenna 1994; M. Rossi, Argo Secondari di tendenza anarchica. Dall’arditismo di guerra agli Arditi del Popolo, «Rivista storica dell’anarchismo», 1995, pp. 119-130; G. Sacchetti, Gli anarchici nell’Italia fascista attraverso le carte della polizia, in La resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo. I giornali anarchici clandestini (1943-45), Milano 1995, pp. 209-35. E. Francescangeli, Origini, fisionomia e diffusione territoriale del primo movimento antifascista: gli Arditi del Popolo, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia», Perugia 1997, pp. 247-335; M. Rossi, Arditi non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del popolo (1917-1922), Pisa 1997; E. E. Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Roma 2000, ad indicem; P. Cacucci, Ribelli!, Milano 2001; L. Di Lembo, Guerra di classe e lotta umana. L’Anarchismo in Italia dal Biennio rosso alla Guerra di Spagna, Pisa 2001, ad indicem; L. Balsamini, Gli Arditi del popolo, dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, Casalvelino Scalo 2002.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Giuseppe e Aede Mattoli

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

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