SACCO, Ferdinando detto Nicola

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
SACCO, Ferdinando detto Nicola

Date di esistenza

Luogo di nascita
Torremaggiore
Data di nascita
April 27 1891
Luogo di morte
Charlestown

Biografia / Storia

Nasce a Torremaggiore (FG) nel Vico del Codacchio il 27 aprile 1891 da famiglia contadina che viveva – tuttavia – in condizioni non particolarmente disagiate visto che il nonno era l’unico in paese tra i contadini che aveva una attività commerciale legata alla produzione dell’olio e del vino (testimonianza di Fernanda Sacco). A 17 anni (1908) decide comunque di emigrare negli Stati Uniti con il fratello Sabino che dopo circa tre anni rientra in Italia. S. in USA lavora dapprima come operaio in una impresa di costruzioni stradali, poi in una fonderia e, infine, trova impiego in una fabbrica di scarpe, specializzandosi nella cucitura degli orli. Si sposa con Rosina Zambelli ed ha due figli (Dante ed Ines). Viene chiamato alle armi nell’esercito americano nel 1917, non risponde mantenendo fede al suo antimilitarismo (una delle accuse che gli verrà poi rivolta nel corso degli anni da parte dell’opinione pubblica e dei giornali americani) e si rifugia in Messico. Qui conosce Bartolomeo Vanzetti, anch’egli renitente alla leva. I due divengono amici inseparabili: da quel momento le loro vicende diventano inscindibili. Fino al momento dell’arresto nel maggio 1920 sono entrambi personaggi minori e poco conosciuti, anche se dal momento in cui rientra negli Stati Uniti, si avvicina ai gruppi libertari e si iscrive al gruppo anarchico di L.Galleani, vivendo sotto falso nome sino al termine del conflitto nella zona di Plymouth (Massachusetts), dove – primavera 1918 – si trasferirà anche Vanzetti. S. non sembra svolgere una particolare attività pur attraversando direttamente e intensamente il clima postbellico del movimento dei lavoratori statunitensi, all’interno del quale il ruolo dei lavoratori emigrati assume rilievo per la partecipazione alle lotte contro le condizioni di vita e di emarginazione in cui sono costretti a vivere e a lavorare. La storia di S. e Vanzetti è, in questo senso, una storia analoga a quella di tanti altri emigrati (italiani e no) che partono alla ricerca di un qualcosa che la terra d’origine non può dare: la realizzazione di un “sogno”, di una speranza di vita migliore, di un lavoro il tutto coniugato con la ricerca di una giustizia sociale, di una solidarietà di un riconoscimento dei propri diritti di uomini e di lavoratori. Ma non era quello il posto e il contesto per coniugare il loro “sogno” con il pensiero libertario, gli Stati Uniti del primo dopoguerra sono un paese teso in cui il “pericolo rosso” è vissuto come presente e imprescindibile. E’ in questo contesto che S. (provenendo dal mondo socialista del paese di origine e della famiglia) definisce, attraverso la frequentazione del locale circolo anarchico ma anche l’amicizia con B. Vanzetti, i suoi convincimenti anarchici. In lui emerge con forza quel rapporto fra le condizioni di vita degli emigranti (di tutti gli emigranti) negli USA postbellici e la necessità di lottare per i propri diritti e per una vera tutela dei lavoratori. Il 5 maggio 1920, di ritorno da una riunione, S. è arrestato insieme a Vanzetti ai due non viene spiegato il motivo e entrambi ritengono, anche per il fatto di essere stati trovati in possesso di volantini anarchici e di una pistola, che il fermo e il conseguente arresto derivi dalla loro militanza anarchica. Questo convincimento li induce a non fornire risposte esaurienti durante gli interrogatori, sicuri di non voler coinvolgere altri compagni e militanti. Tre giorni più tardi il procuratore G. Katzam (che rappresenterà l’accusa lungo tutta la vicenda processuale) comunicherà loro il reato di rapina ai danni del calzaturificio “Slater and Morril Shoe Company” e di omicidio del cassiere e della guardia del corpo della stessa ditta, avvenuti il 15 aprile 1920. Il processo – dopo una serie di istanze – inizia il 31 maggio 1921 presso la Corte di Dedham (Massachussets); difensori sono “gli avvocati Fred Moore, i fratelli McAnarney e William J. Callahan. L’avvocato Moore è scelto per le sue idee radicali dal “Sacco-Vanzetti Defense Committee”, sorto nel frattempo in difesa dei due italiani ad opera di Aldino Felicani, editore anarchico e loro amico. Il procuratore sviluppa l’accusa su tre linee principali: l’identificazione dei due italiani da parte di numerosi testimoni oculari; i proiettili rinvenuti sul luogo del delitto e riconducibili all’arma di Sacco; la “consciousness of guilt”, secondo cui i due sono colpevoli, perché il loro comportamento, al momento dell’arresto, è tipico degli uomini criminali. La difesa cerca di smontare le tesi dell’accusa, presentando anch’essa parecchi testimoni, non solo italiani, che possono confermare gli alibiÉ, elaborando una nuova teoria sui proiettili e portando gli imputati sul banco dei testimoni per permettere loro di dare delle spiegazioni sul loro “background” e sulla loro fede anarchica in modo da giustificare il loro misterioso comportamento nella notte dell’arresto. Così, senza badare a spese e facendo il gioco dell’accusa, Moore trasforma il processo per omicidio in processo politico. La giuria si ritira a deliberare il 14 luglio 1921, sapendo di dover giudicare due italiani riconosciuti da alcuni testimoni, radicali, renitenti alla leva, bugiardi e dal comportamento sospetto. In poche ore, emette un verdetto di colpevolezza per ogni capo d’imputazione ed entrambi vengono condannati a morte sulla sedia elettrica. La sentenza finale non è pronunciata fino al 9 aprile 1927, quando si esauriscono tutti i ricorsi presentati dalla difesa per ottenere un nuovo processo(C. Signorile). Le manifestazioni di solidarietà, di richiesta di liberazione, di lotta e di protesta che il movimento internazionale dei lavoratori, le singole organizzazioni nazionali, gli anarchici di tutto il mondo svolgono negli anni della detenzione e dei processi, sono uno degli momenti più significativi, importanti per vastità e intensità, che riguardano la storia stessa degli ideali anarchici e libertari, ma anche del mondo del lavoro. Campagne di stampa, comitati “pro Sacco e Vanzetti”, capillari e continue agitazioni si ritrovano praticamente in ogni città o nazione dove esiste un movimento anarchico organizzato ovvero organizzazioni operaie particolarmente sensibili; oltre gli Stati Uniti, è il caso dell’Italia dove dall’11 ottobre del 1921 si avvia immediatamente una campagna a favore dei due emigrati che culmina il 17 “con una manifestazione di migliaia di persone”. Nel novembre 1924 “The road to freedom” (periodico libertario statunitense pubblicato dal 1924 al 1932) interviene con assiduità sulla vicenda dei due anarchici italiani. Seguendo l’evolversi della situazione dal momento dell’arresto fino alla condanna a morte. Nei momenti di maggior tensione emotiva e di mobilitazione il periodico lancia vigorosi e ripetuti appelli di protesta ed a favore di S. e Vanzetti. L’impegno aumenta e la rivista dedica interi numeri al caso dei due emigranti: nel maggio 1927 tutta la prima pagina è un manifesto, rivolto a tutti i lavoratori americani, che chiede libertà per i due italiani e, dopo l’esecuzione della sentenza, pubblica le ultime lettere dei condannati e il loro ringraziamento ai tutti i compagni e amici della rivista. La campagna per la liberazione dei due anarchici continua fino all’estremo momento dell’esecuzione. Nicola S. e Bartolomeo Vanzetti sono uccisi con la sedia elettrica a Charlestown il 23 agosto 1927. Con l’esecuzione termina la vicenda processuale ma non quella politica e ideale. Una grande ondata di proteste e violente manifestazioni scoppiano in tutte quelle zone che avevano visto in azione i gruppi anarchici e il movimento dei lavoratori negli anni precedenti. E’ ciò che accade a Parigi dove la notizia provoca una immediata reazione fra gli anarchici esiliati che “intervennero a fianco dei compagni francesi in una delle più violente manifestazioni della storia di Francia, contro l’ambasciata americana” (L. Di Lembo). Centinaia di migliaia di persone partecipano ai funerali. “Le salme vengono cremate e le ceneri mescolate e divise in tre urne, una delle quali rientra in Italia insieme alla sorella di V., giunta negli Stati Uniti per visitare il fratello un’ultima volta. A Villafalletto [paese natale di B.Vanzetti n.d.a.] le ceneri vengono ulteriormente divise, un’urna prosegue per Torremaggiore” (C. Signorile), dove giunge il 15 ottobre 1927. In questo tragitto (dallo sbarco avvenuto a Genova di ritorno dagli USA) l’urna viene scortata dalla polizia ed il fratello maggiore Sabino può avvicinarsi soltanto una volta arrivata a sei chilometri da Torremaggiore (alla stazione di San Severo). L’ultimo tragitto, visto il divieto imposto dalle autorità fasciste di seguire l’urna, avviene fra la gente che significativamente rimane in attesa lungo l’attuale viale alberato che conduce al cimitero. Nicola S. viene tumulato in un loculo anonimo, nella parte più lontana e oscura, con la sola scritta del nome (utilizzando il suo vero nome Ferdinando con il quale nessuno lo chiamava) e le date di nascita e di morte. In quell’occasione l’allora Podestà del regime fascista diramò una serie di ordini severissimi per inumare le ceneri solo in orario notturno, al fine di non rendere troppo evidente il rientro dell’urna - nel clima di controllo e repressione del regime – e vietando ogni cerimonia funebre religiosa richiesta dalla famiglia. Per il fascismo Nicola non doveva esistere, ma i compagni del paese, d’intesa con la famiglia che si era sempre mantenuta ostile al regime e con un lunga tradizione socialista, riuscirono a inserire una “grossa vite” nel cemento che chiudeva il loculo. Questa vite – secondo la testimonianza di Fernanda Sacco – è servita lungo gli anni del regime a far sì che nelle ricorrenze i compagni di fede, scavalcando nottetempo il muro di cinta, potessero lasciare fiori legati con uno spago agganciato alla vite. Solo dopo la caduta del regime, la famiglia ha posto una foto, vasi e quant’altro ha ritenuto necessario. Il successivo trasferimento nell’attuale monumento funerario, posto lungo il viale centrale, all’ingresso quasi del cimitero nella sua parte antica, avviene il 14 novembre 1998 con il contributo del Comune. Oggi la memoria di Nicola in paese è poca; solo di recente il nuovo monumento funebre così come alcune iniziative pubbliche (il gemellaggio con il paese di B. Vanzetti, ovvero la proiezione del film Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo) hanno ridestato una certa attenzione e una “curiosità” nei più giovani (testimonianza di Fernanda Sacco). Del peso che la vicenda ebbe all’interno dei movimenti libertari, nell’opinione pubblica non si faticò molto a rendersi conto. Ogni anno la ricorrenza diviene un momento di riflessione e discussione più ampio e radicale, eppure devono passare cinquanta anni dalla brutale esecuzione perché questa lunga e costante mobilitazione (una mobilitazione che ha visto in prima linea anche il mondo cinematografico) giungesse al suo epilogo: il 19 luglio 1977 il governatore del Massachussets, senza una esplicita riabilitazione, dichiara “che ogni stigma ed onta venga per sempre cancellata dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi delle loro famiglie e discendenti”, indicando nel 23 agosto 1977 il “Sacco and Vanzetti Memorial day”. Secondo G. Woodcock, la condanna a morte dei due anarchici diviene “parte della storia americana e addirittura internazionale” così come le “parole pronunciate da Vanzetti nell’udire la sentenza di morte”. Non si può certo negare che in tutta la storia che nega Nicola S. a B. Vanzetti (dall’arresto fino alla condanna, ai rinvii e poi all’esecuzione) ha giocato un ruolo decisivo il clima politico, di lotta ai sovversivi e di razzismo nei confronti degli emigranti, che attraversava la società così come le istituzioni statunitensi. Non trovano altrimenti una spiegazione storica l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso le evidentissime incongruenze e falsità processuali, così come le posizioni assunte da parte di chi è stato chiamato a giudicare i due italiani. “Se non fosse stato per quest’evento, avrei vissuto la mia vita tra gli uomini disprezzati. Sarei morto ignoto, sconosciuto, un fallito. Questa è allo stesso tempo la nostra carriera ed il nostro trionfo. Mai in tutta la nostra vita, abbiamo sperato di lavorare per la tolleranza, per la giustizia, per la comprensione tra gli uomini, come invece ci capita di fare in questo momento. Le nostre parole, le nostre vite, i nostri dispiaceri... di colpo il nulla! La fine delle nostre vite - la vita di un buon calzolaio e di un povero pescivendolo - è tutta qui! Nicola Sacco (1891-1927). (P. Iuso

Fonti

Fonti: Testimonianze e indicazioni raccolte direttamente nel paese d’origine e dalla nipote diretta di Nicola, prof.ssa Fernanda Sacco, ott./nov. 2003.
 
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Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Michele e Angela Mosmacotelli

Bibliografia

2004

Oggetto

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