​MISEFARI, Bruno

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​MISEFARI, Bruno

Date di esistenza

Luogo di nascita
Palizzi
Data di nascita
January 17 1892
Luogo di morte
Roma

Biografia / Storia

Nasce a Palizzi (RC) il 17 gennaio 1892 da Carmelo e Francesca Autelitano. All’età di otto anni si trasferisce a Reggio Calabria in casa dello zio Vincenzo Autelitano per poter continuare gli studi. All’età di dieci anni, il padre, a causa della sua irrequietezza e vivacità, decide di chiuderlo in seminario e di avviarlo al sacerdozio. M. non accetta tale scelta e scappa di casa per tre giorni. Nel terremoto del 28 dicembre 1908, viene salvato insieme allo zio, dall’intervento dei soldati. Le sue prime esperienze politiche risalgono al 1911, e coincidono con lo scoppio della guerra italo-turca. In quell’anno fonda a Reggio Calabria un gruppo giovanile socialista. Già nell’aprile 1911, mentre tiene un comizio per il cinquantenario dell’Unità ai piedi della statua di Garibaldi viene bruscamente interrotto dai poliziotti e malmenato. In occasione della guerra libica, insieme ad altri giovani, diffonde volantini contro la guerra, firmati da Benito Mussolini. Per tale attività viene schedato dalla polizia come “pericoloso antimilitarista”.

Il 5 marzo 1912 viene condannato dal Tribunale di Reggio Calabria alla pena della detenzione per due mesi e quindici giorni ed a cento lire di multa, con l’accusa di “istigazione alla pubblica disobbedienza”. Nel processo d’appello, tenutosi il 7 agosto a Catanzaro, la condanna è confermata con la condizionale. Nel 1912 consegue il diploma presso l’Istituto tecnico, nonostante l’ostilità di alcuni professori e del preside a causa delle sue idee. Per volere del padre, e dopo la frequentazione assidua del suo professore di matematica, Giuseppe Berti di Ancona, libertario di pensiero, s’iscrive a Napoli alla Facoltà d’ingegneria, pur essendo più portato per gli studi umanistici e in particolare per la filosofia. Tra il 1914 e il 1915, alla vigilia della grande guerra, M. riprende la sua attività antimilitarista decidendo di schierarsi nelle file degli anarchici. Nel settembre 1914 il prefetto Seri di Reggio Calabria intercetta e blocca un telegramma col quale M. chiede l’abbonamento a «Volontà» di Ancona.

Nella ricorrenza del 20 settembre dello stesso anno M. riceve “manifesti antimilitaristi incitanti alla disobbedienza” inviati dagli anarchici di Ancona. In occasione del 1° maggio 1915, prendendo la parola, dopo l’intervento dell’on. Altobelli, al Salone della Borsa di Napoli, pronuncia un breve discorso contro la guerra e contro il governo. Scoppiato il conflitto, a 23 anni ancora studente, viene richiamato al corso di allievo ufficiale del 40° rgt Fanteria, a Benevento. Contrario alla guerra per carattere e per principio, intenzionato a proseguire gli studi, rifiuta di sottoporsi alla disciplina militare e di indossare la divisa di ufficiale. A causa di ciò, trascorre diversi giorni in cella di rigore, e poi altri trenta giorni in carcere. Dichiarato “inabile permanente ai lavori di guerra”, il suo atteggiamento rischia di diffondere l’insubordinazione tra le altre reclute. Per tale motivo viene mandato in licenza.

Giunto a Reggio Calabria, il 5 marzo 1916, si imbatte in una manifestazione interventista in piazza Garibaldi e non esita a salire sul palco e ad interrompere il comizio, pronunciando un forte discorso antimilitarista, contro la guerra e strappando le stellette dal collo della divisa che indossa. Arrestato è condotto al Distretto militare e poi mandato in Sicilia presso il carcere militare di Acireale. Dopo sette mesi, è trasferito al carcere militare di Benevento. Riesce ad evadere, grazie anche all’aiuto di un secondino suo amico. Unitosi nella fuga ad un altro soldato milanese, Roberto Rizza, vengono ambedue intercettati dalle guardie di frontiera, e riportati a Benevento in carcere ma dopo breve tempo fugge di nuovo dal carcere. Il 19 giugno 1917, grazie all’organizzazione dei compagni di Asti che sostiene i disertori in partenza per la Svizzera, passa il confine da Luino-Cannobio. Anche in terra elvetica M. è arrestato, ma poi rilasciato. Sceglie come residenza Zurigo, dove può contare sull’appoggio del suo conterraneo Francesco Misiano, anch’egli accusato di diserzione. La Cooperativa socialista “Militaerstrasse 36” diviene il luogo di rifugio di M., Misiano, Rainoni, direttore dell’«Avvenire del Lavoratore», Farina, assessore comunale di Milano, e di tanti altri socialisti e sovversivi fuggiti dall’Italia.

In questo ambiente M. conosce anche Angelica Balabanoff e frequenta la libreria internazionale alla Zwinglistrasse gestita da altri tre disertori libertari Monnani, Ghezzi ed Arrigoni. A Zurigo, Misiano lo introduce presso la famiglia Zanolli, dove conosce Pia, sua futura compagna per tutta la vita. Trova presto lavoro presso la fabbrica di automobili “Arbenz” al Arbisrieden a Zurigo, nel reparto prove e controlli della resistenza dei metalli, per cinque franchi al giorno. Anche in Svizzera continua la sua attività rivolta alla propaganda delle idee libertarie e del socialismo mantenendo i contatti con l’Italia e inviando articoli e brevi cronache ai periodici libertari. Ogni sabato sera o domenica mattina tiene, conferenze su problemi sociali utilizzando spesso lo pseudonimo di Furio Sbarnemi.

Il 23 aprile 1918 viene nuovamente arrestato insieme ad un centinaio di disertori e renitenti di leva italiani e francesi. L’accusa rivolta a M. è di aver fabbricato, insieme con anarchici italiani, “bombe a scopo rivoluzionario”. Assolto dopo sette mesi, viene scarcerato il 20 novembre 1918, gravemente ammalato di polmonite e ospitato in casa Zanolli. Il 17 dicembre 1918 gli viene notificato il provvedimento di espulsione. M. si rivolge al Consiglio Federale di Berna per ottenere l’annullamento del provvedimento. Solo dietro presentazione di certificati medici attestanti lo stato di convalescenza il provvedimento viene rimandato di quattro mesi. Il 17 luglio 1919, dopo aver ottenuto un regolare passaporto per la Germania per motivi di studio, si trasferisce Stoccarda, con l’intenzione di conseguire la laurea in ingegneria. Lì, durante una manifestazione di giovani comunisti e socialisti, conosce e frequenta Clara Zetkin (tra i fondatori del Partito comunista tedesco), che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario tedesco e lo accompagna nelle iniziative di partito.

Nel dicembre 1919 può tornare in Italia, dopo essere stato amnistiato. A Domodossola, incontra Pia e la madre di questa, ma poiché anche quest’ultima è schedata, vengono arrestati tutti e tre. Le due donne vengono riaccompagnate alla frontiera dopo cinque giorni di detenzione, mentre M. viene rilasciato solo dopo venti giorni. Giunto in Calabria, si reca nella residenza dei suoi di Caraffa del Bianco (RC), e viene accolto dalla folla di contadini con la bandiera rossa. Il 1° febbraio 1920 si trasferisce a Napoli per proseguire gli studi d’ingegneria. Nel frattempo durante un viaggio a Milano incontra Ada Negri, coronando un suo antico sogno da bambino, ma ne rimane profondamente deluso, per le sue posizioni interventiste. Tornato a Napoli viene arrestato di nuovo, perché il Tribunale militare di Torino lo ha dichiarato disertore.

Nella città partenopea M. svolge un’assidua attività politica e tiene un comizio per il 1° maggio 1920. Si sente perseguitato e avverte il clima reazionario già presente in Italia. Scrive, infatti, a Pia il 10 maggio: “Non ti nascondo che la reazione alza la testa e che essa potrà ben anche scatenarsi contro tutti i sovversivi”. Alla fine di giugno viene di nuovo arrestato a Napoli dove si trova isolato anche dai socialisti, di cui non condivide alcune scelte, come l’uso della violenza. Il 21 luglio M. scrivendo alla madre, afferma di avere orrore della violenza rivoluzionaria “pur ritenendola naturale e quindi necessaria”, e definisce “pervertiti nel senso morale” sia i reazionari che “invocano violenza”, sia i rivoluzionari che “rispondono violenza”. Nell’autunno 1920 si sposta continuamente tra la Calabria, la Puglia e la Campania per “predicare l’anarchia e la pacificazione”, convinto che l’Italia sia alla vigilia della “Rivoluzione sociale” e in questo intenso periodo invia corrispondenze e articoli ai periodici libertari «Umanità nova» e «L’Avvenire anarchico» di Pisa. Nell’ottobre accetta l’incarico di segretario della cdl a Taranto, per poter condurre le trattative con il consiglio d’amministrazione dei cantieri Tosi, dove gli operai sono in sciopero da tre mesi. Nonostante la direzione del cantiere e lo stesso Franco Tosi rifiutino all’inizio di avviare trattative, M. riesce, alla fine, tra l’entusiasmo generale degli operai, a portare a compimento l’accordo per la riapertura del cantiere.

Nell’agosto 1921 M. e Pia Zanolli cominciano a vivere assieme. Nell’ottobre 1921 M. promuove a Napoli una serie di iniziative a favore di Sacco e Vanzetti, i due anarchici italiani condannati a morte negli Stati Uniti. Dopo un comizio, tenuto a Nocera Inferiore, dove la guardia regia carica la folla, Pia viene portata prima al commissariato e poi nelle carceri di Poggioreale e trattenuta per tre giorni. A Napoli davanti alla casa di M., dove è andata a vivere anche Pia, c’è sempre un agente di sorveglianza. Dopo l’avvento del fascismo, M. è costretto, per evitare ulteriori aggressioni, a recarsi all’Università scortato da due conterranei travestiti da fascisti. Il 18 agosto del ’23 M. consegue la laurea in ingegneria e si dedica alla sua professione e al miglioramento delle condizioni del suo paese ed offre al Commissario del comune la sua opera gratuitamente per la redazione di un progetto per la conduttura dell’acqua potabile a Palizzi Centro ma l’offerta non viene neanche presa in considerazione. Il 14 dicembre 1924 fonda a Reggio Calabria, insieme a un gruppo di compagni, il giornale «L’Amico del Popolo», destinato alla propaganda tra gli abitanti delle campagne del Sud e delle Isole. Redattore è un discepolo di M., Antonio Malara. Il primo numero esce nello stesso mese, con regolare autorizzazione della Prefettura che però dopo il quarto numero ordina la chiusura del periodico. M. e Malara sono costretti, per sfuggire alle ricerche della polizia, a darsi alla macchia. Nell’articolo di fondo del primo numero dell’«Amico del popolo» dal titolo Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, M. definisce l’anarchismo “rivolta dell’individuo contro qualsiasi autorità che inceppi e limiti la sua libertà e il benessere”. L’anarchismo, secondo M. è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento progressivo dell’umanità e perciò non può essere un’utopia”. Egli definisce gli anarchici “socialisti antistatali, rivoluzionari e internazionali”. L’anarchia, sostiene, è contro ogni forma di violenza, di “ogni lotta fra uomo e uomo”; l’anarchico non ricorre alla violenza, se non “per resistere al male ovunque esso si trovi”. M. dall’agosto del ’23 al marzo 1925 non riesce a trovare un lavoro e tira avanti dando lezioni di matematica, francese e tedesco, eseguendo i calcoli di stabilità dei progetti delle case antisismiche e svolgendo pratiche di mutui per amici e parenti. Con i primi guadagni si iscrive alla facoltà di filosofia all’università di Napoli. Specializzatosi, durante gli studi in ingegneria, in geologia e mineralogia, coltiva, intorno al 1925, l’idea di scoprire, tra le montagne calabresi, cave di silicio o di quarzo per avviare in Calabria l’industria del vetro, quasi assente in tutto il Meridione. Scopre un giacimento di silice a S. Trada di Cannitello – Villa S. Giovanni e cerca di reperire i fondi per costruire una vetreria e una fabbrica di ceramiche ma nessuno è disposto a finanziare l’iniziativa. Nel settembre 1925 M. viene nuovamente arrestato a Reggio Calabria e condotto nel carcere di Cosenza insieme a Malara ei altri esponenti antifascisti: Fausto Gullo, Pietro Mancini, Fortunato La Camera, De Sanctis, Lorenzo Lupia, Francesco Vaccaro e Ubaldo Montalto. A Reggio Calabria vengono arrestati e condotti nel carcere di Cosenza Nino Battaglia, Carlo Lacava e Francesco La Face. Tutti sono imputati di “attentato ai poteri dello stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini”.

Vengono tutti prosciolti dopo 25 giorni di carcere. M. durante il regime non rinnega mai le proprie idee e continua a professarsi anarchico. Nel ’26, riesce a trovare i finanziamenti per dar corpo al suo progetto di estrazione del silicio e il 15 luglio viene costituita la Società Vetraria Calabrese, con un capitale, fornito da un gruppo di banchieri e privati, con l’intermediazione degli ex deputati popolari Nicola Siles e Giuseppe Valentino di Reggio Calabria. Siles diviene anche amministratore delegato della Società. Presidente viene eletto il cav. Giuseppe Zagarella di Villa S. Giovanni, mentre Misefari è nominato direttore tecnico. Ben presto però M. si scontra con l’ostilità dei suoi stessi soci, con l’ostracismo e le continue denunce che hanno lo scopo di escludere M. dai vertici della società. Sono gli stessi Siles e Valentino finanziatori e dirigenti della Società Vetraria che, attraverso altri, fanno giungere proteste allo stesso Mussolini, a denunciare la “pericolosità” di Misefari. Questa situazione porta alla liquidazione, nell’estate del 1930 della società e M. viene licenziato in tronco.

M. non si da per vinto e nel settembre 1930, con l’aiuto finanziario di J.E. Spinner di Arosa (Svizzera), apre a Davoli, piccolo paese in provincia di Catanzaro una cava di pietra caolina per lo sfruttamento del quarzo. Anche in tale luogo M. è costantemente sorvegliato dalla polizia fascista e oggetto di una lunga serie di altre denunce da parte di Placido Corigliano, già suo socio nell’impresa. Il Corigliano tenta infatti di sfruttare l’assenza di M., durante il periodo del confino, per chiedere la rescissione del contratto di concessione da parte del proprietario, Felice Ricca. Le accuse dei suoi avversari sono però accolte dalle stesse autorità locali e sono all’origine del provvedimento di invio al confino di M. È significativo il cambiamento di opinione nei suoi riguardi operato dal prefetto di Reggio Calabria tra il gennaio e il marzo del ’31. Questi, infatti, nel gennaio ’31 afferma che, dopo l’avvento al potere del fascismo, M. non ha “più spiegato attività politica, pur continuando (…) a mantenere immutati i suoi sentimenti” e, circa l’apparizione di alcuni opuscoli di “Giustizia e Libertà” a Davoli, rassicura che M. non è da ritenere responsabile della loro diffusione, considerato che l’opuscolo contenuto nelle buste intestate “Garage Bologna”, proveniente da città del settentrione, è stato diffuso in molte altre province.

Nel marzo ’31, è lo stesso prefetto a proporlo per il confino, segnalando la pericolosità di M., il quale dopo l’avvento al potere del fascismo “pur senza spiegare, almeno palesemente, attività politica”, mantiene “immutati” i suoi sentimenti politici. Il prefetto sottolinea, in particolare, il discorso pronunciato da Misefari ai funerali di Giuseppe Zagarella, nel quale si può evincere “la prova della sua perfetta malafede e del suo irriducibile attaccamento alle teorie anarchiche”. Le frasi incriminate riguardano un passo del discorso, dove M. descrive la società del tempo come “una landa deserta, in cui larve di uomini, non uomini, armati di veleni e di pugnali, di corruzioni e di tradimenti, s’inseguono e s’accapigliano, si straziano e si uccidono tra loro: bolgia infernale di fango e di sangue, echeggiante degli urli felini dei vincitori, e dei rantoli dei vinti, dei pianti dei bimbi, dei lamenti delle madri e dei singhiozzi dei vecchi”. M. viene definito, pertanto, non solo un “irriducibile” oppositore del regime, e un seguace fedele dei “principi libertari”, ma anche “un individuo anche moralmente discutibile, disertore di guerra, sottoposto ancora a procedimenti penali per truffa e falso, di carattere litigioso ed impulsivo”, che è opportuno “allontanare per qualche tempo da questo ambiente”. “Giustizia e Libertà”, in un articolo anonimo, uscito il 21 dic. 1933 dal titolo Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario, attribuisce apertamente alle manovre di Siles e Valentino il provvedimento del confino nei confronti di Misefari.

A causa dell’opera denigratoria messa in atto dai soci, M. viene assegnato al confino di polizia per due anni a Ponza, con deliberazione della Commissione provinciale del 14 aprile 1931. Viene prosciolto il 12 novembre 1932 in occasione dell’amnistia per il decennale della rivoluzione fascista. Durante tale periodo passa tre mesi in carcere a disposizione del Tribunale speciale, perché accusato di cospirazione contro Mussolini. Al confino M. ha l’opportunità di stringere nuove amicizie e di ritrovare vecchi compagni. Conosce Domizio Torrigiani, gran maestro, che lo affilia alla massoneria. Ritornato dal confino, M. viene attentamente sorvegliato in ogni suo spostamento. Nel periodo maggio-giugno 1933 si reca a Zurigo, dove risiede la moglie e dove sembra essere in trattative con finanzieri del luogo per reperire i capitali necessari alla costituzione di una nuova società per lo sfruttamento di una miniera di quarzo.

Agli inizi del ’34 trasferisce la sua residenza a Davoli, dove la sorveglianza diventa strettissima, tanto che M. scrive direttamente al Ministero dell’interno per lamentare che il comportamento persecutorio e lo “zelo fuori luogo” dei carabinieri e dell’autorità locale costituisce grave pregiudizio per l’industria avviata, nella quale lavorano ormai circa 100 operai, mentre sono avviati i lavori di preparazione per complessi impianti industriali, come una teleferica dalle cave alla strada rotabile e la costruzione di uno stabilimento sulla spiaggia di Soverato. Egli è convinto ormai di essere perseguitato dai suoi avversari, non tanto per motivi politici, quanto per motivi professionali, e si dice certo che l’assidua sorveglianza cui è sottoposto anche in quel piccolo paese è da considerarsi “quale opera d’inconscio boicottaggio all’Industria stessa e al Regime” e torna indirettamente utile agli interessi della “solita camarilla di locali avventurieri (…), la quale spera di fare allontanare da Davoli il sottoscritto, onde spogliarlo delle cave e della Industria relativa”. Lo stesso ispettore generale di ps perora presso il capo della polizia la causa del M. Egli mette in rilievo l’importanza dell’industria di Davoli nella produzione di strumenti ottici. La più importante società del settore, la francese St. Gobain propone a Misefari la costituzione di una società mista per il collocamento del minerale estratto presso le vetrerie italiane controllare dalla stessa St. Gobain. Ma un male incurabile attacca la forte fibra di M. che muore a Roma, all’età di 44 anni, il 12 giugno 1936. (A. Caroleo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Reggio Calabria, Carte Vincenzo Misefari, bb. 339-349; Fondazione Lelio e Lisli Basso, Carte Misefari; International Institute of Social History, Archive, ad nomen (1918-36).
 
Bibliografia:
scritti di M.: Utopia No!, (a c. di P. Zanolli Misefari), Roma, s.d.; Schiaffi e carezze: poesie in brutta copia, Roma 1969; Sbarnemi Furio (Ps. di Bruno M.), Diario di un disertore, Firenze 1972.
 
scritti su M.: P. Zanolli Misefari, Ruota del mondo, Roma 1965; Id., L’anarchico di Calabria, Milano 1967; 2a, Firenze 1972; Id., Tu o uno come te, Roma 1972; Id., Tutto è vero: poesia e prosa, Carrara 1978; E. Misefari, Bruno biografia di un fratello, Milano 1989.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

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Note

Paternità e maternità: Carmelo e Francesca Autelitano
Altri familiari: Florindo Misefari
Altri familiari: Vincenzo Misefari

Bibliografia

2004

Collezione

Persona

città