MELLI, Elena

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
MELLI, Elena

Date di esistenza

Luogo di nascita
Lucca
Data di nascita
July 4 1889
Luogo di morte
Carrara

Biografia / Storia

Nasce a Lucca il 4 luglio 1889 da Rodolfo e Giustina Paglia, operaia e casalinga. Impiegata nello stabilimento Ansaldo di Genova nel 1917, frequenta la maestra Liguria Ramussi e altri sovversivi e aderisce al fascio anarchico di Sampierdarena. Il 1° marzo 1918 è indicata quale anarchica fanatica, “energica e risoluta”, che è “in rapporto con gli elementi libertari più pericolosi della regione e fa un’attiva e continua propaganda delle sue idee, tanto più deleterie, in quanto ella presentemente dimora in Cornigliano Ligure, centro industriale di somma importanza. Essa è stata segnalata al locale Comando del Corpo d’Armata per l’allontanamento urgente da quella provincia”. Descritta dal prefetto di Genova come persona di statura regolare, fronte spaziosa, spalle larghe e “mani gentili”, che abitualmente “veste di rosa”, è legata all’anarchico Emilio Grassini e riscuote – secondo lo stesso funzionario – “fama mediocre”, ha una “discreta intelligenza” ed è assidua al lavoro. Internata a Arezzo qualche settimana dopo, M. viene poi deportata a Cosenza. Sorpresa, il 19 settembre 1918, a parlare con il fante anarchico Raffaele De Rosa e sospettata di continuare a svolgere propaganda antimilitarista, viene confinata nel paese di Scigliano, a 39 km. da Cosenza. Tornata a Genova a guerra finita, si sposta successivamente a Milano, dove, insieme a Bruno Filippi, Guido Villa, Giuseppe Mariani, Aldo Perego e Maria Zibardi, dà vita a un gruppo terroristico. Arrestata il 9 settembre 1919 per complicità negli attentati al Tribunale e alla Galleria di Milano (il secondo dei quali è costato la vita a Bruno Filippi), viene processata il 12 luglio 1920, con l’accusa di “essere stata attiva incitatrice ad azioni violente e desiderosa di strage”, e di aver scritto al suo nuovo compagno, Giuseppe Mariani, lettere del tenore di quella che riproduciamo: “Il mio pensiero si ferma su questa società putrida che sta per tramontare. Questa società è una cloaca. Noi combattiamo per la libertà dei popoli e morremo insieme sulle barricate se sarà necessario. Penso, se riusciremo a fare ciò che pensiamo da qualche giorno, se tutto andrà bene, noi saremo felici! Dopo la lotta aspra, che ingaggeremo con la società, versando quanto più sangue borghese e poliziotto sarà possibile per redimere il mondo…” In udienza M. si protesta innocente, pur riaffermando la sua fede anarchica senza tentennamenti: “Anarchici si nasce, non si diventa”, risponde seccamente al presidente del Tribunale. Assolta il 13 luglio 1920, insieme alla Zibardi (Perego e Villa sono condannati, invece, a 12 e 10 anni di reclusione), e rimessa in libertà, riannoda i legami con Mariani e collabora alla preparazione di un attentato contro il questore di Milano, Giovanni Gasti, ideato per protestare contro la perdurante detenzione di Errico Malatesta e di altri esponenti del movimento anarchico. Ed è lei, insieme a Ettore Aguggini, a insistere perché l’ordigno sia collocato vicino all’appartamento del questore, davanti alla saracinesca dell’albergo, dove Gasti alloggia. Scelta, che porta, il 23 marzo 1921, alla strage tremenda del teatro “Diana”. Rimasta fuori dall’inchiesta, senza essere fermata o interrogata, malgrado i suoi noti rapporti con Mariani e Aguggini, è sfiorata da ombre e sospetti, che, a quanto pare, non le impediscono di presentarsi temerariamente il 19 maggio 1922 nell’aula del Tribunale di Milano, dove si svolge il processo per la strage, suscitando le aspre “rampogne” di Mariani e Aguggini, che la costringono subito ad andarsene. “Uscita senza un graffio dalla spaventosa vicenda del Diana”, M. lega la sua esistenza a quella di Errico Malatesta e lo segue a Roma, dove l’anziano esponente anarchico vivrà praticamente agli arresti domiciliari, dopo l’approvazione delle leggi eccezionali (novembre 1926). Sistematicamente sorvegliata, M. viene arrestata il 22 aprile 1928 e assegnata al confino per cinque anni. La misura di polizia sucita le proteste di Malatesta, che, il 1° giugno 1928, ne chiede la revoca alla Commissione d’appello: “La suddetta signora da molti anni convive con me e colla sua figliuola Gemma Ramacciotti, che io ho adottata per mia. Essa da molti anni non si occupa di politica ed è tutta dedita all’economia della casa, all’educazione della figlia ed alle cose di cui ho bisogno io per la grave età e per la malferma salute. Ho detto non si occupa di politica. E d’altronde come potrebbe, come potremmo occuparcene nelle condizioni in cui ci hanno ridotti? Abbiamo, giorno e notte, innanzi alla porta di casa una squadra di agenti, con automobile e biciclette, che vigila ogni nostro passo, ogni nostro atto. Ci seguono dovunque andiamo, fermano e molestano ogni persona che ci avvicina o semplicemente ci saluta per strada sicché non possiamo ricevere un amico, né visitarlo senza esporlo a noje e pericoli. Tutte le stampe a noi dirette sono sequestrate e le lettere censurate e spesso soppresse. Parrebbe che ciò debba bastare perché l’autorità non abbia ragione di nutrire sospetti sulla nostra attività. Invece ora vogliono anche separarci e turbare quel po’ di tranquillità che ci restava; e mentre tengono in prigione una donna a cui non si può contestare nessuna imputazione, giungono fino alla cattiva meschinità di negare a me ed alla figlia il permesso di colloqui, che si accorda giornalmente o bisettimanalmente alle famiglie di tutti gli assegnati al confino. Tutto questo a me sembra un accanimento nella persecuzione, un gusto morboso di far soffrire che non ha nulla a vedere con la difesa dello Stato…”. Rilasciata “condizionalmente” il 4 giugno e diffidata, M. rimane a Roma dopo la scomparsa di Malatesta il 22 luglio 1932. Sottoposta “a ininterrotta vigilanza a mezzo pedinamento”, riceve gli aiuti di molti anarchici residenti in Francia, in Svizzera, in Egitto, negli Stati Uniti d’America e in Argentina, e intrattiene rapporti epistolari con Randolfo Vella, Luigi Bertoni, Umberto Ceccotti, Osvaldo Maraviglia, Sébastien Faure, Secondo Angelucci, Nino Napolitano, John Camillo, Carlo e Alina Frigerio, Max Nettlau, Enzo Fantozzi, Attilio Bulzamini, Mario Zucca e con la sorella Amalia, una combattiva militante libertaria, che, dalla Francia meridionale, ha invitato l’avv. V. Trozzi ad assumere la difesa di Angelo Sbardellotto. Tra la copiosa corrispondenza, riprodotta dalla polizia fascista, degne di menzione ci sembrano due cartoline, che M. riceve da alcuni anarchici, in viaggio verso la Spagna o arrivati da poco a Barcellona. La prima, datata Perpignan, 3 agosto 1936, recita: “In questa sosta ci ricordiamo di te e ti mandiamo i nostri affettuosi saluti. Posdomani ti scriveremo da un’altra nazione”. Seguono le firme di Randolfo Vella, Edel Squadrani, Giuseppe Pasotti e Mario Corghi. Nella seconda, datata Barcellona, 2 settembre 1936, si legge: “Ti pensiamo con affetto”. I firmatari sono Attilio Bulzamini, Tomaso Serra, Bruno Quiriconi, Carlo Castagna, Riccardo Di Giuseppe e Giuseppe Tinti. Ricoverata coercitivamente in una clinica psichiatrica di Roma nella seconda metà del 1937, a causa di una crisi di nervi, avuta nella Questura, M. sembra essere una delle prime vittime della repressione politica, praticata mediante l’uso del manicomio. L’internamento fa svanire i suoi progetti (o sogni?) di emigrare in Francia, mentre gli sforzi generosi della sorella Amalia per aiutarla a lasciare la penisola falliscono per molte ragioni. Dimessa dalla clinica romana nel 1941, M. raggiunge la figlia Gemma a La Spezia, poi, nel 1942, passa qualche giorno nell’ospedale civile di Pisa. Tornata a La Spezia e ancora sorvegliata, immediatamente dopo la Liberazione si trasferisce a Carrara, dove i compagni della FAI l’assistono e la sostengono fino alla fine. Muore all’ospedale della città del marmo il 26 febbraio 1946. (F. Bucci - C. Gregori - G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Confino Politico, f. personali, ad nomen; Biblioteca Franco Serantini, Sez. Archivio, Carte E. Malatesta; La redazione di U.N., Lutto nostro, «Umanità nova», 7 mar. 1946; S. Vatteroni, Per la morte della compagna di Errico Malatesta: Elena Melli, «Umanità nova», 14 mar. 1946.
 
Bibliografia: Una bomba al caffè Biffi, «Avanti!», 8 set. 1919; Un’esplosione in galleria. Un morto e quattro feriti lievi, «Corriere della sera», 8 set. 1919; Lo scoppio in Galleria. L’autore rimasto ucciso, ivi, 9 set. 1919; Vaillant. L’olocausto di Bruno Filippi, «L’Avvenire anarchico», 12 set. 1919; Lo scoppio delle bombe in Tribunale e in Galleria ed il processo di quattro anarchici, «Corriere della sera», 13 lug. 1920; La sentenza nel processo degli anarchici, ivi, 14 lug. 1920; I complici di Bruno Filippi alle Assisi di Milano, «Cronaca sovversiva», 17 lug. 1920; G. Mariani, Memorie di un ex–terrorista, Torino 1953, pp. 25, 49, 50, 52, ecc.; V. Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Milano 1979, ad indicem; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

183

Note

Paternità e maternità: Rodolfo e Giustina Paglia

Bibliografia

2004

Persona

Collezione

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