​GAVILLI, Omero Giovanni Tommaso Maria

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​GAVILLI, Omero Giovanni Tommaso Maria

Date di esistenza

Luogo di nascita
Firenze
Data di nascita
7 marzo 1855
Luogo di morte
Pegli
Data di morte
12 dicembre 1918

Attività e/o professione

Qualifica
pubblicista e propagandista anarchico

Nazionalità

italiana

Biografia / Storia

Nasce a Firenze il 7 marzo 1855 da Antonio e Giulia Dori, noto come Giovanni. Una congiuntivite infettiva contratta all’età di quattro anni lo priva totalmente della vista e G. cresce all’Istituto dei ciechi di Firenze, dove compie studi classici, laureandosi poi in lettere e conseguendo il diploma di professore di violoncello. Diventa anarchico in età matura, all’inizio degli anni Novanta, dopo essere stato prima monarchico e poi repubblicano, nonché massone. Testimonianza della sua fede repubblicana sono i versi in morte di Garibaldi, Di lutto universali dolenti note (Firenze 1882), mentre la sua vena poetica più intima si esprime, qualche anno dopo, in Pianti, confessioni, quisquilie (Firenze 1886).

A partire dal 1891, secondo la polizia G. “dedica tutto se stesso alla propaganda attiva delle teorie anarchiche”. “Dotato di pronto ingegno e di svegliata intelligenza”, buon conoscitore di francese, inglese e tedesco, riesce in breve ad affermarsi come “uno dei caporioni più stimati e temibili” in ambito anarchico. In relazione con P. Gori e Giovanni Do-manico, viene segnalato come collaboratore della rivista pubblicata da quest’ultimo a Prato, nell’ottobre 1892, «La Questione sociale» (della quale, stando a Max Nettlau, uscì un solo numero, cfr. Bibliographie de l’anarchie, Bruxelles-Paris 1897, p. 135). Carattere irruento e irascibile, G. è concordemente descritto come aspro polemista, animato da una passionalità incontenibile e incapace di mediazioni, sempre al limite – quando non oltre – dell’aggressione verbale.

Ugo Fedeli, nella biografia di G., attribuisce con notevole magnanimità gran parte di quella che chiama “acidità” ai contraccolpi psicologici della infermità e al grave complesso di inferiorità da cui era affetto. Analisi probabilmente corretta, che però sorvola con eccessiva eleganza il considerevole contributo dato da G. e dai suoi amici alle spinte dissolventi presenti nel movimento anarchico in una sorta di spirale polemica senza fine. “Autoritario e violento”, come lo descrive Edmondo Mazzuccato, che fu il suo aiuto redattore a «Il Grido della folla» (in Da anarchico a sansepolcrista, Milano 1934), concretizzava la sua aspirazione alla rivolta in comportamenti di esasperata intransigenza sempre sul filo della provocazione, che P. Gori ebbe a tacciare di “semplicismo apocalittico, fatto di miopia storica e logica”, “guaiti innocuamente terribili”, “bombe frasaiuole” (Lettera in «Il Grido della folla », 23 gen. 1904). Oratore appassionato, nel settembre 1893, dopo un discorso dai toni violentissimi ai venditori ambulanti, dà luogo, con un gruppo di compagni, a una fitta sassaiola contro una stazione dei carabinieri, finendo in prigione. Al processo, ingiuria un brigadiere e colleziona complessivamente quasi dieci mesi di carcere. Scontata la pena, in considerazione della sua “audacia, intelligenza e attività” viene assegnato al domicilio coatto per cinque anni, che sconterà interamente senza beneficiare di alcun condono. Tradotto a Tremiti, è coinvolto nello scontro tra coatti e guardie che, il 1° marzo 1896, costa la vita ad Argante Salucci e viene ricordato aggirarsi, brancolando, tra i feriti, incurante delle pallottole che gli fischiavano accanto (Amos [A. Mandelli], 1° marzo 1896, ivi, 12 mar. 1903).

Viene poi trasferito a Ustica, Lampedusa e infine a Pantelleria. Da qui invia al numero unico «I Morti», redatto dai coatti politici e pubblicato ad Ancona il 2 novembre 1899, una vibrante lettera aperta a Oddino Morgari che, dalle colonne dell’«Avanti!», lo aveva proposto come candidato protesta alle elezioni: “gli antiparlamentaristi della mia specie non possono, né debbono essere eletti. [...] Fareste badessa il diavolo?”. Nel maggio 1900 può lasciare il domicilio coatto e stabilirsi a Napoli, presso il fratello Felice, ferroviere, anch’egli “affiliato a sette sovversive”. Nella città partenopea entra a far parte del sottocomitato per l’agitazione contro il domicilio coatto, riuscendo a collezionare un nuovo arresto e una nuova condanna. Nel luglio 1901 G. è a Roma, dove la sua frenetica attività di conferenziere viene interrotta dalla polizia, che lo rimpatria a Firenze. Da qui a Empoli, Pisa, Viareggio, La Spezia, Sampierdarena, Livorno, Bologna, Milano, Pavia, Alessandria, Biella e di nuovo Viareggio, Carrara, La Spezia, Bologna, accompagnato e ospitato da compagni in una sorta di vortice di conferenze, che si conclude con i consueti fogli di via e un fitto elenco di multe e piccole condanne.

Nell’aprile 1902 si trasferisce a Imola e batte la Romagna e l’Emilia, tra un circolo, una società operaia, una Camera del lavoro, illustrando il programma anarchico, attaccando il governo, il domicilio coatto e il ministerialismo socialista. Nel maggio dello stesso anno si stabilisce a Milano, “ospite ora dell’uno ora dell’altro correligionario”, e assume la redazione de «Il Grido della folla», di cui, come riconosceranno Ettore Molinari e Nella Giacomelli (Epifane [E. Molinari] - Ireos [N. Giacomelli], Un triste caso di libellismo anarchico (Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi), Milano 1909), era stato l’ideatore. Si tratta di una breve esperienza, interrotta dall’immancabile rimpatrio. G., da Cascine del Riccio (frazione del comune di Galluzzo, alla periferia di Firenze) dove risiede, riprende la vita randagia del conferenziere, pur collaborando intensamente al giornale milanese, spesso sotto gli pseudonimi di “Lavinio Vingagli”, “Gianni l’intransigente”, “Diavolindo”, “il catastrofico”, “l’apocalittico”, “John”, “il giacobino di guardia”, “il cane di guardia”, “il mastino di guardia”. In questa fase G. è sicuramente il propagandista anarchico più attivo.

Si spinge in Svizzera e in Lussemburgo. Parla nelle città (Milano, Pavia, Firenze, La Spezia, Carrara, Pisa, Lucca, Messina ecc.) ma anche nei piccoli comuni e nelle frazioni delle diverse province. La polizia registra puntigliosamente i temi delle sue conferenze, che vanno da Utilità delle disgrazie a La sapienza delle bestie e la bestialità dei sapienti, da argomenti di attualità come gli eccidi di Berra, Candela, Giarrattana, Torre Annunziata alla campagna per uno sciopero delle pigioni in tutta Italia (e mano ignota di questurino scrisse a fianco, nel fascicolo del casellario politico, “speriamo!”).

Tra il 1904 e il 1905 G. risiede quasi stabilmente a Pistoia, dove ha una relazione con Aida Latini, da cui nasce Diavolindo. Molti dei suoi tours di conferenze hanno l’obiettivo dichiarato di raccogliere fondi per «Il Grido della folla». Nel 1906 G. si stabilisce a Milano e assume nuovamente la redazione de «Il Grido della folla», appropriandosi anche legalmente della testata e destando scandalo nell’ambiente libertario. La sua disinvolta amministrazione (che la polizia definisce “indelicatezza” e i compagni distrazione di fondi a uso personale) e il suo comportamento autoritario provocano una spaccatura in seno alla compagine redazionale. Ettore Molinari, Nella Giacomelli, Giuseppe Manfredi e Ricciotti Longhi, sostenuti dalla maggioranza degli anarchici milanesi danno vita a «La Protesta umana» e in tal modo, come registra la Questura, “sentenziano la morte” de «Il Grido della folla», che, privo di “sussidi e sottoscrizioni”, sospende le pubblicazioni. G. convive con Attilia Pizzorno, “socialista anarchica” torinese, “studentessa in clinica” e ormai stabile guida del propagandista cieco.

Nel 1907, nell’infuriare della polemica con durissimi scambi accuse (“avventuriero” e “succhione” da una parte, “spie” dall’altra), e poiché “in Milano intanto ha perduto ogni prestigio”, G. si sposta in Liguria, a Genova e dintorni, dove “continua la sua vita randagia”, senza fissa dimora, ospite di compagni o di “osterie di infimo ordine, ove chiede gratuita ospitalità”. All’inizio del 1908 cerca di raccogliere fondi per un nuovo giornale da contrapporre a «La Pietra infernale» di Domenico Zavattero, con cui entra in contrasto e a cui rivolge “triviali insulti” nei comizi in cui interviene, provocando “continui disordini”, nonostante tenga conferenze dal sarcastico titolo Contro la violenza.

All’inizio del 1909 G. lascia Genova, non godendo più “della stima dei correligionari” stanchi di “lasciarsi spillare denaro, non solo, ma altresì dei suoi metodi di propaganda”. A Torino, sul finire dell’anno, la storia si ripete. Nonostante le continue diffide e i ripetuti attacchi sui giornali anarchici, G. riesce comunque a trovare nelle varie località italiane (dall’Emilia alle Marche, al Veneto, alla Lombardia) piccoli gruppi di sostenitori, che gli organizzano conferenze a pagamento, anche se appare chiaro che queste sono un mezzo di sopravvivenza più che una raccolta fondi per il nuovo giornale.

La Guerra di Libia ridà fiato alla propaganda antimilitarista di G. che, nel 1913, si trasferisce a Novi Ligure, dove riesce a pubblicare il periodico «Gli Scamiciati», in cui, sotto lo pseudonimo di “Il Reprobo”, esalta i comportamenti e i gesti estremi, come quelli della banda Bonnot. Proprio l’attribuzione della qualifica di anarchici ai membri della “banda tragica” provoca la reazione di E. Malatesta dalle colonne di «Volontà», dando inizio a una polemica che vede G. annoverare “il venerato maestro, il glorioso compagno dei comunisti d’Italia” tra gli “uomini grandi autoritaristi” (In risposta ad Enrico [sic] Malatesta, «Gli Scamiciati», 8 ago. 1913; La fuga di Enrico Malatesta, ivi, 22 ago. 1913). E ben presto «Gli Scamiciati» diventano palestra di attacchi, da parte di G. e di altri, a «Volontà», «Il Libertario», «L’Avvenire anarchico», a Malatesta, Paquale Binazzi, Virgilio Mazzoni, ai cosiddetti “tesserati anarchici”. Con la sospensione de «Gli Scamiciati», nel giugno 1914, G. è ridotto al silenzio. Di lì a pochi mesi la guerra gli impedirà qualsiasi attività di propaganda. Dopo anni di stenti e di difficoltà, muore a Multedo di Pegli il 12 dicembre 1918. Così lo descrisse Giovanni Rolando, uno dei suoi fedelissimi: “Irriducibile. Irreconciliabile. Strozzatore di patriarchi. Spezzatore di idoli”. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Milano, Gabinetto Prefettura, Pratiche individuali; C.C., Giovanni Gavilli, «Il Risveglio Anarchico», 25 gen. 1919; G. Rolando, Giovanni Gavilli, «Iconoclasta!», 24 ott. 1919.
 
Bibliografia:
scritti di G: Profili e speranze, Mantova 1904; Preghiera di un ribelle, La Spezia 1904; Girella, ode in risposta ad Anarchico, di Lorenzo Stecchetti, Milano 1906; Abbasso le armi, Novi Ligure 1914.
 
scritti su G.: O. Morgari, Gavilli, «Avanti!», 27 ago. 1899; Id., Un cieco, ivi, 29 ago. 1899; Id., Un’isola e un uomo, ivi, 6 set. 1899; T. Eschini, Cenni biografici, in Girella, Firenze 1948; U. Fedeli, Giovanni Gavilli. 1855-1918, Firenze 1959; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, 1981, ad indicem.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Antonio e Giulia Dori

Bibliografia

2003

Persona

Collezione

città

quartiere