GALLEANI, Luigi

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
GALLEANI, Luigi

Date di esistenza

Luogo di nascita
Vercelli
Data di nascita
August 12 1861
Luogo di morte
Caprigliola

Biografia / Storia

Nasce a Vercelli il 12 agosto 1861 da Clemente e Olimpia Bonino, pubblicista. La famiglia, originaria del Monferrato, è di condizioni moderatamente agiate. Il padre, maestro elementare, collabora con le società operaie di mutuo soccorso; il fratello maggiore, Alfonso, è un democratico di tendenze radicali, negli anni Ottanta è tra i fondatori, a Torino, del sindacato dei ferrovieri e – più tardi – dell’Alleanza Cooperativa Torinese, e milita infine nel PSI su posizioni riformiste. Luigi completa (con qualche difficoltà) gli studi liceali a Vercelli, manifestando già in quegli anni un forte interesse per la politica, con spiccate simpatie repubblicane e garibaldine. Nel 1881 s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, che abbandona tuttavia molto presto. Risalgono con ogni probabilità a quel periodo i suoi primi contatti con gli ambienti internazionalisti, socialisti e operaisti. Le prime tracce documentate della sua attività pubblica sono del 1883, con la collaborazione al periodico «L’Operaio» (poi «Libero operaio»), organo della democrazia vercellese sul quale scrive già il fratello Alfonso. A quell’anno risale anche la prima, breve condanna, a causa di un duello sostenuto con un ufficiale dell’esercito, che si era ritenuto offeso per gli attacchi ricevuti sul giornale, in merito al comportamento violento e tracotante tenuto durante una manifestazione di piazza. A quanto pare, in quel periodo G. sostiene altri duelli, per motivi analoghi, anche a Torino.

Attorno alla metà degli anni Ottanta le sue posizioni divengono comunque più nette e definite, passando dalla democrazia radicale alle idee libertarie e operaiste che caratterizzano allora molti gruppi e associazioni, sospesi fra l’eredità internazionalista e la partecipazione alle lotte operaie e contadine. Verosimilmente collabora con alcune corrispondenze al periodico socialista-operaista torinese «Proximus tuus» e nel 1885 fonda e dirige a Vercelli il giornale «La boje!», simile nell’impostazione al foglio anarchico torinese «La Questione sociale». E in quello stesso periodo rompe di fatto i rapporti con la famiglia, frequentando sempre meno la casa dei genitori (il padre è monarchico e di sentimenti religiosi) e mantenendosi con un lavoro di segretario privato presso un facoltoso concittadino. In breve tempo divenne un personaggio abbastanza noto negli ambienti anarchici e social-operaisti, che all’epoca (nonostante le divergenze ideologiche e politiche) collaborano piuttosto strettamente. Dirige a Vercelli una Lega dei lavoratori, tiene numerose conferenze in vari centri del Piemonte e nel 1887-88 è tra gli animatori de «La Gazzetta operaia» (poi trasformatasi in «La Nuova Gazzetta operaia»), foglio anarco-socialista torinese molto attivo nelle lotte operaie (sue, con ogni probabilità, alcune corrispondenze da Vercelli, firmate “Raoul”). In quel periodo scrive anche per il «Fascio operaio» di Milano, organo del POI, e forse è presente al III congresso del partito, a Pavia, nel settembre 1887. È sicuramente presente, comunque, al IV Congresso operaista, tenuto a Bologna nel settembre 1888, nel corso del quale tenta invano di far passare una linea apertamente rivoluzionaria e astensionista in materia elettorale. Né hanno miglior esito i tentativi di dar vita a una forte componente organizzata, di orientamento anarchico, nell’ambito dei grandi scioperi torinesi del 1889, quando si pongono invece le basi per quel progressivo avvicinamento fra democratici radicali, operaisti e socialisti che sfocerà più tardi nella formazione del Partito socialista. Proprio in seguito alle agitazioni del 1889, G. (indicato dalla Questura torinese come uno tra i maggiori responsabili degli scioperi e dei disordini che ne seguono) deve allontanarsi dall’Italia, riparando in Francia e in Svizzera, dove si mantiene facendo vari lavori ed entra in contatto con diversi esponenti dell’anarchismo internazionale, tra cui i geografi Elie ed Elisée Reclus. Arrestato in Francia per attività sovversiva e trattenuto in carcere senza processo per quattro mesi, viene liberato grazie all’intervento del socialista Alexandre Millerand, sollecitato da Amilcare Cipriani. Rientrato in Svizzera, nell’ottobre del 1890 è arrestato e consegnato alle autorità italiane, ma torna quasi subito in libertà per un’amnistia.

Ormai riconosciuto come figura di spicco del movimento anarchico, nel gennaio 1891 partecipa al congresso di Capolago, durante il quale appoggia la proposta (di Malatesta e altri) di dar vita a una vera e propria organizzazione anarchica a livello nazionale, strutturata in federazioni regionali. Nel mese di aprile prende parte a Milano al Comizio internazionale per i diritti dei lavoratori, promosso da varie associazioni democratiche e socialiste, e vi tiene un infiammato discorso contro le tendenze legalitarie del movimento operaio, presentando anche un ordine del giorno a favore della promozione di manifestazioni per il 1° maggio (ordine del giorno che era stato concordato in un congresso delle associazioni anarchiche piemontesi e liguri). La proposta di un partito socialista-anarchico rivoluzionario stenta comunque a prendere corpo, così come si riveleranno illusorie le speranze di attirare su posizioni astensioniste e antilegalitarie quel che ancora restava dell’ormai sbandato poi. Non a caso, nel convegno operaio di Genova dell’agosto 1892 gli sforzi in questo senso degli anarchici (e G. è tra i più vivaci nel dibattito, insieme a Eugenio Pellaco e P. Gori) non riescono a impedire la scissione delle componenti moderate di maggioranza, socialiste e operaiste, che danno vita al Partito dei lavoratori italiani. Mentre, d’altra parte, va a vuoto (per le perduranti, drammatiche divisioni all’interno del movimento anarchico) il tentativo di aggregare quanti rifiutano l’ipotesi del partito politico ed elettorale. Poco prima del convegno genovese, G. si era stabilito proprio a Sampierdarena, dopo aver scontato una nuova, breve condanna. E qui prosegue la sua attività di organizzatore e di propagandista, collaborando con diversi giornali locali (tra cui soprattutto «Il Carbonaio») e non rinunciando al progetto di una federazione dei gruppi libertari.

Tra il dicembre 1893 e i primi del 1894, tuttavia, scatta una gigantesca montatura della Questura genovese, che porta in carcere con l’accusa di associazione per delinquere 35 anarchici, tra i quali G. e Pellaco, indicati come i capi. Il processo, che ha larga eco nell’opinione pubblica, si conclude in giugno con una condanna per G. a tre anni di reclusione e due di vigilanza speciale, cui sono poi aggiunti (in base alle leggi “anti-anarchiche” varate quell’anno) cinque anni di domicilio coatto. Quei fatti segnano una svolta decisiva nella sua vita; scontata la detenzione nel carcere di Parma, infatti, è inviato nell’isola di Pantelleria, dove si mantenne e riusce a trovare alloggio grazie al fatto di dare lezioni ai bambini del paese. Qui conosce anche Maria Rallo, che diviene la sua compagna e più avanti la madre dei suoi figli. Ed è tra i promotori di alcune iniziative di protesta contro il domicilio coatto, tra cui la pubblicazione (avvenuta ad Ancona nel novembre 1899) del numero unico «I Morti», nel quale i coatti anarchici respingono fermamente l’ipotesi avanzata tempo prima dal deputato socialista Oddino Morgari, dopo una visita alle isole di candidare alle elezioni alcuni prigionieri per ridare loro la libertà. In quell’occasione Galleani, che già aveva rifiutato fermamente la candidatura (anche quando la proposta era venuta da alcuni anarchici romani), ribadisce seccamente l’impossibilità di transigere sui principi e dichiara che è molto meglio restare al domicilio coatto che piegarsi a compromessi (il suo articolo, intitolato Manet Immota Fides!, è da considerarsi uno dei migliori documenti dell’intransigenza libertaria). Verso la fine di quello stesso anno, comunque, riesce a evadere grazie all’aiuto di alcuni compagni rifugiati all’estero che hanno studiato e finanziato un piano che lo porta prima in Tunisia e poi a Malta, con un passaporto falso intestato al nome di Antonio Valenza, quindi ad Alessandria d’Egitto e infine al Cairo, dove rimane circa un anno, cercando di riprendere i rapporti con il movimento anarchico europeo.

Dopo l’attentato di Bresci a Umberto i, viene arrestato ma per sua fortuna non è estradato in Italia, e una volta rilasciato ripara a Londra, dove può contare su alcuni amici. Non essendo però riuscito a trovare una sistemazione adeguata, decide infine di trasferirsi negli Stati Uniti, dove giunge ai primi di ottobre del 1901. Il periodo americano, che si protrae sino al 1919, costituisce la seconda fase del percorso politico di Galleani. Segnato forse dalla delusione per le precedenti esperienze ed entusiasmato invece dal vivace ambiente degli emigrati anarchici italiani, molto attivi nella zona di New York soprattutto tra gli operai tessili, passa subito su posizioni “anti-organizzazione” e a neppure un mese dall’arrivo assume la direzione del periodico «La Questione sociale», di Patterson, diretto fino ad allora da G. Ciancabilla. Protagonista del grande sciopero dei tessitori del giugno 1902 – nel corso dei disordini scatenati dalla polizia viene ferito (non gravemente) da un colpo di pistola – per sottrarsi all’arresto fugge in Canada, a Montreal, da dove continua a collaborare con «La Questione sociale». Rientra poi negli Stati Uniti sotto il falso nome di “Luigi Pimpino” (con il quale firma anche alcuni articoli) e nell’estate del 1903 si stabilsce a Barre, nel Vermont, dove inizia la pubblicazione di un nuovo giornale, «Cronaca sovversiva», uno dei più significativi e longevi fogli dell’anarchismo militante, sul quale compare da quel momento la maggior parte dei suoi scritti. Fedele ai principi del comunismo anarchico e nettamente contrario a qualunque forma strutturata di organizzazione, il periodico dedica la propria attenzione tanto allo sviluppo delle lotte operaie e delle vicende politiche internazionali (interessanti, tra gli altri, i suoi giudizi critici sulla rivoluzione messicana del 1910), quanto al dibattito e alle polemiche politico-ideologiche (di notevole importanza, ad esempio, una serie di articoli poi raccolti in volume, intitolati La fine dell’anarchismo?, con i quali nel 1907 replica alle tesi liquidatorie, espresse da F.S. Merlino in un’intervista a «La Stampa» di Torino).

G., ad ogni modo, ancora ricercato per i fatti di Patterson continua a vivere sotto falso nome, ma nel dicembre 1906 la polizia riesce a identificarlo e lo arresta, estradandolo nello Stato di New York, ma al processo (svoltosi nell’aprile successivo, a piede libero) la giuria non riesce a esprimere un verdetto unanime e G. viene quindi rilasciato, riuscendo da allora a trascorrere il più lungo periodo di (relativa) tranquillità della sua vita. Le autorità italiane, che per alcuni anni si sono sostanzialmente disinteressate di lui, tornano a preoccuparsi per la sua propaganda in patria (che non era mai cessata, con varie collaborazioni ai giornali del movimento libertario) in occasione della Guerra di Libia e, ancor più, dello scoppio della Guerra mondiale, quando le sue posizioni nettamente antinazionaliste e antimilitariste divengono più fastidiose, proprio per il prestigio di cui egli gode. In quel periodo non solo si intensificano le note informative a suo riguardo, raccolte dal Ministero degli Interni, ma sono spiccate anche alcune denunce a suo carico, per vilipendio delle istituzioni e incitamento alla rivolta, conclusesi tuttavia con l’assoluzione.

La guerra è comunque destinata a sconvolgere ancora una volta la sua vita. Decisamente contrario al conflitto, non esita a polemizzare con gli anarchici interventisti, anche se fra costoro c’erano alcuni fra i più venerati esponenti del movimento, come Kropotkin o Cipriani, al quale egli è particolarmente legato. Il clima avvelenato dell’interventismo riporta anche alla luce un episodio risalente all’epo-ca degli scioperi di Patterson, e che aveva coinvolto il socialista Giacinto Menotti Serrati, il quale dirigeva allora a New York il periodico «Il Proletario»; l’ambiente dell’emigrazione politica italiana era diviso fra anarchici e socialisti, che non si risparmiavano accuse violentissime e non di rado arrivavano anche allo scontro fisico; e Serrati, nel clima di repressione seguito ai disordini del giugno 1902, era stato accusato di aver fornito alla polizia (attraverso un articolo del suo giornale) indicazioni che avrebbero potuto portare all’arresto di Galleani. Erano stati diffusi manifesti nei quali il dirigente socialista veniva qualificato apertamente come spia e traditore, e i socialisti avevano replicato con uguale veemenza; finché, il 3 ottobre 1903, poco prima di una conferenza di Serrati (proprio a Barre), l’anarchico Elia Corti era stato assassinato a colpi di pistola da un socialista. Una vicenda lontana, emblematica del clima in cui si svolgevano a inizio secolo le lotte operaie negli Stati Uniti, che torna però comoda (nel 1914) agli interventisti per at-taccare un dirigente socialista contrario alla guerra, come Serrati; è Mussolini a riesumarla dalle pagine de «Il Popolo d’Italia», ricordando il soprannome che allora gli anarchici avevano dato a Serrati: “Pagnacca”, dal nome di un operaio che all’epoca faceva la spia per il consolato italiano di New York. Galleani, tuttavia, chiamato in causa dallo stesso Mussolini come testimone della presunta infamia subita, non si presta al gioco e rifiuta di entrare nella polemica, ben sapendo che ciò avrebbe favorito solo gli interventisti (“tra due sacchi di melma pare avesse risposto non c’è posto per un anarchico”). La sua propaganda contro la guerra e contro la coscrizione obbligatoria, espressa in molte conferenze pubbliche e in un’infinità di articoli, nonché la sua posizione coerentemente sovversiva “Contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione”, finiscono per pro-vocare la reazione delle autorità degli Stati Uniti, coinvolti anch’essi nel conflitto mondiale. Una legge dell’ottobre 1917 obbliga tutti i giornali in lingua straniera a fornire la traduzione degli arti-coli che si riferiscono alla guerra, e iniziano perquisizioni e controlli più severi; «Cronaca sovversiva» decide quindi di sospendere le pubblicazioni e ne escono solo più alcuni numeri clandestini, redatti ancora da Galleani. Ma il cerchio ormai si stringe, anche se evidentemente il governo aveva qualche perplessità sul fatto di far rientrare in Italia un elemento tanto pericoloso, a guerra in corso. Cosicché, paradossalmente, la sua deportazione come cittadino straniero indesiderato è decisa quando ormai il conflitto in Europa si è concluso; viene imbarcato d’autorità, insieme ad altri sovversivi, su una nave diretta a Genova, dove giunge nel luglio del 1919. È un colpo durissimo dal quale non si riprenderà.

Ha quasi 60 anni, di salute ormai malferma (pare soffrisse di diabete), è costretto ad abbandonare bruscamente la moglie e i figli, che non avrebbe mai più rivisto, e gli amici e i compagni con i quali ha condiviso vent’anni di battaglie. E per quanto al suo arrivo sia circondato dall’affetto e dalla solidarietà del movimento, non riesce più a essere quello di un tempo. Dopo aver passato un breve periodo a Vercelli, nel gennaio del 1920 si stabilisce a Torino dove riprende le pubblicazioni della «Cronaca sovversiva», anche per mantenere vivi i collegamenti con gli Stati Uniti; ma già nel settembre è costretto alla latitanza da un mandato di cattura, spiccato per il contenuto di alcuni articoli, e per un paio d’anni conduce una vita molto stentata, tormentato dalla malattia e da difficoltà materiali, proprio nel periodo in cui la situazione politica italiana precipitava dalla guerra civile alla conquista fascista del potere. Alla vigilia del processo, fissato per il 28 ottobre 1922, sceglie di costituirsi (una scelta certo non facile, per un personaggio del suo temperamento) e viene quindi condannato a un anno e un mese di reclusione, che sconta interamente.

Quando torna in libertà, nel gennaio del 1924, non solo le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate, ma gli spazi per l’azione politica e pubblicistica si sono ridotti fino quasi ad azzerarsi. E nonostante l’immutata fierezza di carattere e la perdurante passione politica, non gli è più possibile svolgere un’attività concreta. Passa un periodo presso una cognata, a Sori Ligure, sottoposto costantemente a stretta sorveglianza dalla polizia, e cerca di dedicarsi a vari progetti editoriali, senza tuttavia riuscire a concluderne alcuno. Alcuni compagni gli propongono di riparare in Francia, ma non se la sente.

Nel novembre del 1926, in seguito all’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, è nuovamente arrestato, dopo che è stato ad assistere il padre morente, e viene condannato a tre anni di confino, da scontarsi a Lipari. Giunto da pochi giorni sull’isola, tuttavia, è coinvolto nell’ennesima montatura: accusato di aver ingiuriato pubblicamente il Capo del Governo (accusa ch’egli respinge davanti al pretore), gli sono inflitti sei mesi di carcere, che sconta a Messina, dopo di che è di nuovo tradotto a Lipari, dove rimane sino al febbraio del 1930 (termina il confino con qualche mese di anticipo, grazie a un’amnistia generale).

Ormai allo stremo delle forze, trova ospitalità presso Pasquale e Zelmira Binazzi a Caprigliola (MS), dove continua a essere sottoposto sino all’ultimo a una sorveglianza ossessiva e persecutoria. E qui conclude i suoi giorni, continuando a corrispondere come poteva con amici e compagni, e ricevendo ancora qualche visita. È isolato ma non piegato, amareggiato ma sempre lucido nell’intelligenza. E dall’alto di una così lunga esperienza di vita e di lotta, ha ancora la forza di rivolgere agli altri parole di incoraggiamento, come quelle che scrive sei mesi prima di morire al figlio lontano, Olimpio, in una lettera che la polizia intercetta e trascrive, nella quale dice “delle esperienze vissute, dei disinganni che si sono superati e delle grandi verità che si sono custodite tra l’ondeggiare burrascoso degli avvenimenti e le apostasie delle mezze anime e dei poveri cuori andati alla deriva, e se la coscienza è sana rifà nella quiete la doppia trama della volontà e della speranza, rinnovandone la tenacia, la forza a tornare con ritemprata giovinezza in linea di battaglia. Io vi ricordo tutti con affetto così immutato come la fede, e vi abbraccio e vi bacio. Ricordami a tutti di casa, senza rimprovero per nessuno. A te sempre devoto, Papà”. Muore a Caprigliola il 4 novembre 1931. (M. Scavino)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Confino politoco, ad nomen.

Bibliografia: U. Fedeli, Luigi Galleani. Quarant’anni di lotte rivoluzionarie (1891-1931), Cesena 1956; P.C. Masini, La giovinezza di Luigi Galleani, «Movinento operaio», n. 3, 1954; P.C. Masini Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969, ad indicem; M. Nejrotti, Le prime esperienze politiche di Luigi Galleani (1881-1891), in Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, Torino 1971; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, 1981, ad nomen.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

Note

Paternità e maternità: Clemente e Olimpia Bonino

Bibliografia

2003

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