​FABBRI, Luigi

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
​FABBRI, Luigi

Date di esistenza

Luogo di nascita
Fabriano
Data di nascita
December 22 1877
Luogo di morte
Montevideo

Biografia / Storia

Nasce a Fabriano (AN) il 22 dicembre 1877 da Curzio e Angela Sbriccoli, pubblicista, insegnante elementare. Il padre è farmacista ed anche la madre appartiene a una famiglia della media borghesia. Luigi, famigliarmente detto “Gigi” o “Gigetto”, è il primo di quattro figli. Gli spostamenti connessi alla professione paterna portano la famiglia a risiedere in varie località delle Marche e, da ultimo, a Macerata, dove F. frequenta il ginnasio e quindi il liceo. L’ansia di libertà e lo spiccato senso critico, nel mentre lo rendono insofferente dell’autoritarismo paterno e delle angustie della vita di provincia, lo inducono ad aderire quindicenne agli ideali di quel repubblicanesimo marchigiano così intriso di fervori anticlericali e di fermenti sovversivi. Un anno ancora, e la frequentazione di un anarchico individualista del luogo, Virgilio Condulmari, accompagnata dalla lettura di una serie di opuscoli e di libri di Bakunin e di Kropotkin, portano F. ad abbracciare, ancora adolescente, quella fede anarchica alla quale rimarrà coerente per tutta la vita. Gli anni nei quali si produce l’esordio del giovanissimo militante libertario nell’agone politico sono quelli della drastica stretta repressiva immediatamente successiva alla proclamazione dello stato d’assedio in Sicilia e in Lunigiana e che si esercita soprattutto per il tramite dell’estensione ai “sovversivi” dell’istituto del domicilio coatto e dell’utilizzo, in funzione soprattutto antianarchica, del famigerato art. 248 del C.P. concernente l’“associazione tra malfattori”. In particolare F. viene per la prima volta arrestato, non ancora diciassettenne, ad Ancona il 9 giugno 1894 “mentre distribuisce”, per come si legge nelle carte di Polizia, “dei manifestini sovversivi inneggianti alla rivoluzione sociale e all’anarchia” e condannato a venticinque giorni di reclusione. Ma ciò non vale a fare desistere il giovanissimo rivoluzionario, che, ben lungi dal dare “segni di ravvedimento”, fa aperta professione, anche a mezzo stampa, delle proprie idee libertarie, sino a incorrere nel provvedimento di assegnazione al domicilio coatto per la durata di un anno, poi annullato in appello per intercessione di maggiorenti locali ai quali si era rivolta la famiglia. F. per questa volta se la cava con pochi mesi di prigione, durante i quali irrobustisce la propria cultura letteraria con letture sia di classici che di testi dei più celebrati autori del tempo. Nel frattempo si è prodotto il suo esordio pubblicistico su alcuni giornali anarchici tra cui «Il Pensiero» di Chieti e «L’Avvenire sociale» di Messina, ai quali F. collabora con articoli per i quali comincia a utilizzare lo pseudonimo “Catilina”. Nel 1897 si determina la svolta decisiva nella formazione culturale, politica e umana di F., che, studente in legge all’Università di Macerata (dove va incontro a più di una denuncia per “attentato contro la sicurtà dello Stato commesso a mezzo di stampa”), incontra ad Ancona Malatesta rientrato clandestinamente dall’esilio londinese. Il fascino che il già leggendario capo rivoluzionario esercita sul giovane F. è immediato e coinvolgente, così come altrettanto subitanea e completa è la conversione dallo scientismo kropotkiniano che aveva ispirato le prime prove giornalistiche di F. alla concezione volontaristica e umanistica dell’anarchia propria di Malatesta, del cui pensiero da allora in poi e per quasi un quarantennio F. sarà interprete puntuale e divulgatore efficacissimo. E con Malatesta F. collabora negli anni 1897-98 nella redazione del settimanale anconitano «L’Agitazione», andando incontro a tutta una serie di arresti e condanne, che tuttavia non sono d’impedimento a che F., assieme ad altri giovani militanti libertari, assuma la responsabilità della conduzione del settimanale al momento dell’arresto di Malatesta, in occasione del cui processo (apr. 1898) si riesce persino a dar vita a un supplemento quotidiano diffuso in diverse migliaia di copie. Alla fine il giornale è soppresso dall’Autorità e i suoi redattori sottoposti a misure repressive particolarmente pesanti: per F., imputato di “associazione a scopo sedizioso”, non si tratta questa volta soltanto di alcuni mesi di detenzione ma di un più lungo periodo di carcere, cui fa seguito l’assegnazione per 18 mesi al domicilio coatto, scontato prima nell’isola di Ponza e quindi in quella di Favignana. “Avendo terminato il periodo di coattiva dimora”, sarà “rimpatriato” in Macerata nell’ottobre 1900, da dove, all’inizio del 1901, partirà per Roma, ufficialmente per proseguirvi quegli studi universitari che in realtà i reiterati episodi carcerari e soprattutto il lungo periodo trascorso al domicilio coatto hanno finito col compromettere definitivamente. A Roma F. è inizialmente ospite dello zio materno Cesidio Sbriccoli, alla cui figlia Bianca si lega sentimentalmente con un rapporto destinato a sfociare cinque anni dopo nel matrimonio. Dalle discussioni avute con la futura sposa si origina con ogni probabilità il volumetto Lettere ad una donna sull’anarchia, nel quale F. con stile pacato e toni quasi didascalici tratta, sotto forma di replica alle obiezioni più comunemente rivolte all’ideale anarchico, i temi della concezione libertaria dei rapporti interpersonali, dell’organizzazione produttiva, della famiglia, della patria, della religione ecc. A Roma l’attività giornalistica di F. si esercita su due versanti: la collaborazione, con pezzi di carattere occasionale, a giornali “borghesi”, come ad esempio «Il Messaggero», da cui trae sporadici e in ogni caso limitati mezzi di sussistenza; l’appassionato e incessante impegno di divulgatore e propagandista dell’idea esercitato in numerosi organi di stampa libertari. Nel 1903 F. si fa promotore con P. Gori della pubblicazione “della maggiore” per come si è espresso Gino Cerrito “e più autorevole rivista anarchica di quegli anni”: «Il Pensiero», “Rivista quindicinale di Sociologia, Arte e Letteratura” che uscirà quasi ininterrottamente sino al 1911 ospitando nella sedici pagine di cui si compone ciascun fascicolo pezzi di attualità politica, brani di opere di Kropotkin, Reclus ecc, componimenti poetici di Gori, racconti di Leda Rafanelli, drammi d’ispirazione sociale, oltre alle rubriche fisse di rassegna delle riviste e delle novità editoriali personalmente curate da F., su cui ricade peraltro, stante anche le precarie condizioni di salute di Gori, il maggior peso della conduzione della rivista. Al di là dell’apparente eterogeneità dei contenuti, dall’analisi attenta delle pagine de «Il Pensiero» emerge tutta l’importanza dello sforzo di chiarificazione critica che vi si conduce su temi e aspetti cruciali della dottrina e della prassi libertarie. Così per l’appunto vediamo F. impegnato, per il tramite di una serie di articoli pubblicati nel corso del 1906, in una puntuale opera di demistificazione e di denuncia delle torbide suggestioni letterarie ed estetizzanti di una violenza fine a se stessa penetrate nei settori più esasperatamente individualisti dell’anarchismo italiano ed europeo. Tali suggestioni F. valuta alla stregua di “influenze borghesi” suscitatrici di indirizzi mentali antisociali che sono propri per l’appunto dell’individualismo borghese ma in radicale antitesi con la concezione anarchica di una violenza che può essere storicamente mezzo necessario ma mai fine; giacché, come sostiene F. sulle orme di Malatesta, la rivoluzione auspicata dagli anarchici è la rivoluzione dell’amore e non dell’odio. È la stessa istintiva ripulsa della violenza propria dell’uomo F. che ispira la documentata denuncia delle feroci persecuzioni alle quali nella Spagna monarchica e clericale sono soggetti anarchici, socialisti, massoni, liberi pensatori in genere, di cui si sostanzia, tra l’altro, l’opuscolo – con prefazione di E. Ferri – L’inquisizione moderna. Farà seguito l’energica campagna di stampa condotta da F. dalle pagine del «Il Pensiero» in difesa di Francisco Ferrer, al cui martirio sarà dedicato un numero monografico della rivista, e del suo esperimento di Scuola Moderna, con esplicito riferimento alla quale F. dà vita nel 1909 al periodico, di cui usciranno pochi numeri, «La Scuola laica», “Rivista Internazionale di Propaganda per l’Educazione Razionale”. Né minore sensibilità dimostra F. per un tema tanto spesso ricorrente quanto poco sufficientemente approfondito dalla coeva pubblicistica libertaria quale quello dell’emancipazione femminile, cui l’anarchico marchigiano dedica non pochi articoli per operarne in seguito una trattazione compiuta nell’ampio saggio del 1914 Generazione cosciente. Appunti sul neo-malthusianesimo; opera di notevole significato non tanto per l’adesione critica alla teoria del controllo delle nascite (la sovrappopolazione – sostiene F. – è ben lungi dall’essere l’unico dei mali che affliggono l’umanità) quanto per la lucidità estrema con la quale F. collega la questione della procreazione cosciente e responsabile a quella dell’emancipazione femminile affermando con decisione che “nessuno più della donna che deve procreare ha diritto di far pesare la sua volontà nella determinazione di mettere o no al mondo dei figlioli” e che “la maternità libera, la libertà di ognuna di avere o di non avere figlioli e di averne solo se ne vuole, è una condizione sine qua non della emancipazione della donna”. Tra i temi più specificamente “politici” affrontati da F. nelle pagine de «Il Pensiero» un posto di rilevo occupa indubbiamente la questione dell’organizzazione operaia e del rapporto degli anarchici col “sindacalismo” per come inteso dai sostenitori dell’azione diretta. Inizialmente, in una serie di articoli pubblicati nella rivista e poi rifusi nell’opuscolo L’organizzazione operaia e l’anarchia, F. si mostra deciso fautore del sindacalismo concepito come la tendenza del movimento operaio “a non aspettare l’emancipazione totale dei lavoratori che dall’azione diretta di pressione, di resistenza e di attacco dei lavoratori stessi, per mezzo della loro organizzazione di classe”. Sarà tuttavia di breve durata l’infatuazione sindacalista di F., che già nel 1909, percependo gli equivoci insiti nel “sindacalismo”, si riallinea sulle posizioni di Malatesta manifestando la convinzione, in un articolo che appare ne «Il Pensiero» del 1° settembre 1909, che “il sindacalismo, che non si occupa d’altro fuorché del movimento operaio, non può bastare da solo alla risoluzione della questione sociale. […] La risoluzione della questione sociale nel suo complesso ed in tutti i rapporti umani in senso libertario è lo scopo dell’anarchismo. Questo scopo vasto quanto sono vasti tutti i problemi umani contiene e comprende anche il sindacalismo, ma uno non equivale all’altro, come il tutto non equivale alla parte, come il fine non equivale al mezzo”. Anche grazie alla relativamente ampia diffusione de «Il Pensiero» (cui F. affianca l’attività editoriale delle “Edizioni del Pensiero” nel cui catalogo figurano, assieme alle opere poetiche di Gori, che ne costituiscono l’elemento di maggiore richiamo, diverse decine di libretti e opuscoli di propaganda anarchica), cresce la notorietà, e non solo negli ambienti libertari, di F., che ha un ruolo di tutto rilievo nell’organizzazione del Congresso internazionale del Libero Pensiero che si tiene a Roma nel settembre del 1904 e nel corso del quale gli anarchici ottengono che anche i “liberi pensatori” di diverso orientamento si associno alla protesta contro le persecuzioni della polizia zarista, le atrocità della tortura in Spagna ecc. Seguono mesi d’intensi contatti con diversi ambienti anarchici sia italiani che internazionali: F. si reca nel 1906 a Londra a conferire con Malatesta, quindi a Parigi dove fa la personale conoscenza, tra gli altri, di Grave, Guillaume e Malato, e poi ancora a Ginevra a incontrare i redattori de «Il Risveglio» e a Milano per vedersi con Nella Giacomelli ed Ettore Molinari. Tutti contatti riferibili in una certa misura alla preparazione di due importanti assisi alla cui organizzazione F. attivamente concorre: il Congresso anarchico nazionale del giugno 1907, nel corso del quale F. presenta una relazione sul tema sempre controverso dell’organizzazione anarchica, della quale si dichiara, sulle orme di Malatesta, deciso fautore pur nella ribadita autonomia di ciascun gruppo locale; il Congresso internazionale anarchico che si tiene ad Amsterdam nell’agosto sempre del 1907 e nel quale F., con Malatesta e Ceccarelli, rappresenta l’Italia. Di questa crescente notorietà anche internazionale sono significativo documento la pubblicazione nel 1908, in Spagna e in Germania, di due opuscoli rispettivamente incentrati sui rapporti tra sindacalismo e anarchismo e tra marxismo e pensiero libertario. Mentre cresce la notorietà internazionale di F., crescono anche le responsabilità familiari scaturenti dal matrimonio civilmente contratto con Bianca nel 1907, cui hanno fatto seguito la nascita della primogenita Luce nel 1908 e del secondogenito Vero nel 1910. A F. si pone il problema di garantire un minimo di continuità alle risorse indispensabili al mantenimento della famiglia. Problema che non viene risolto in maniera soddisfacente né con il trasferimento del nucleo familiare nel 1908 a Jesi (con F. si trasferisce anche la redazione e l’amministrazione de «Il Pensiero»), né con la successiva andata nel 1909 a Bologna (con nuovo conseguente spostamento della rivista) dove F. trova impiego presso la locale cdl come segretario del sindacato delle operaie addette alla fabbricazione delle lampadine elettriche. In tale veste partecipa nel 1909 al Congresso delle organizzazioni sindacali aderenti al Comitato dell’azione diretta, da cui scaturisce la decisione dell’adesione, con finalità “entriste”, alla Confederazione generale del lavoro, poi riconfermata in un secondo congresso della fine del 1910 al quale F. prende parte. Ma anche l’occupazione di sindacalista si rivela precaria e F. si trova sempre più stretto dalla necessità di garantire stabilità e continuità alla soddisfazione delle più elementari necessità familiari. Decide così di cimentarsi con gli esami di diploma magistrale, che consegue nell’autunno del 1911. Dopo il periodo di tirocinio previsto dalla legge, inizia il lavoro di maestro nei piccoli comuni della provincia bolognese di Pragatto e di Crespellano, dove risiede con la famiglia nel corso di due anni scolastici che sono, rispetto alla consueta intensità dell’impegno politico, un momento di rallentamento, “una semisosta meditativa”, come l’ha definito la figlia Luce, “in cui il problema dell’infanzia e dell’educazione prende per un breve periodo un posto centrale, tanto come conseguenza del martirio di Francisco Ferrer ancora recente, quanto come riflesso dei doveri della nuova professione, che stava rivelandosi vocazionale”. Il ritorno all’agone politico si produce a metà del 1913 con l’avvio delle pubblicazioni in Ancona di «Volontà», settimanale di propaganda anarchica direttamente ispirato da Malatesta, che da Londra, ancora prima del rientro in Italia, detta la linea generale, ma realizzato soprattutto grazie all’impegno di Cesare Agostinelli e di F. medesimo, che vi collabora con numerosi articoli generalmente firmati “Catilina” e in buona parte incentrati sui temi allora di scottante attualità della campagna pro Masetti e della vibrante polemica anticolonialista e antimilitarista. Le agitazioni connesse alla Settimana rossa vedono F. attivamente impegnato a rappresentare gli anarchici nel Comitato rivoluzionario sorto a Fabriano (comune nel quale si è nel frattempo trasferito con la famiglia avendo vinto un posto di insegnante elementare), attività in conseguenza della quale a fine giugno del 1914 è colpito da mandato di cattura e costretto a cercare rifugio a Lugano. A metà dicembre dello stesso anno, dopo il proscioglimento in istruttoria e la revoca del mandato, fa ritorno a Fabriano, dove gli viene comunicata la sospensione dalla funzione di maestro e l’avvio di un processo disciplinare a suo carico, da cui uscirà assolto “perché non sufficientemente provati gli addebiti mossigli”. Nel frattempo è scoppiata la guerra europea e F., che anche da Lugano non aveva cessato di collaborare a «Volontà», momentaneamente rimasta sotto la direzione di Agostinelli, profonde ogni sua energia per fare del settimanale anconitano tribuna di denuncia dell’immane carneficina e di riaffermazione salda delle ragioni del pacifismo e dell’antimilitarismo libertari contro ogni ipotesi di coinvolgimento dell’Italia nella conflagrazione europea. Una campagna di stampa che non poco contribuisce a isolare le invero poche voci che dalle file libertarie si levano a sostegno di un interventismo alimentato da torbide suggestioni di matrice individualistica-attivistica (Libero Tancredi, Maria Rygier e Oberdan Gigli ne erano i soli esponenti di una qualche notorietà) e che è destinata a culminare nella pubblicazione (20 mar. 1915) del Manifesto anarchico internazionale contro la guerra recante la firma di Malatesta e di altri trentacinque esponenti anarchici di tutti i paesi. Né la cessazione, per il combinarsi di difficoltà economiche e persecuzioni poliziesche crescenti, delle pubblicazioni di «Volontà» (lug. 1915) come del resto di quasi tutti gli organi di stampa anarchici a eccezione de «Il Libertario» della Spezia e «L’Avvenire anarchico» di Pisa, interrompe l’impegno di lotta di F. sul versante della più intransigente riaffermazione delle ragioni dell’opposizione anarchica alla guerra, siccome avviene nell’opuscolo anonimo La guerra europea e gli anarchici redatto, pubblicato e fatto semiclandestinamente circolare da F. nella primavera del 1916 in risposta allo sconcertante pronunciamento filointesista di una quindicina di noti esponenti dell’anarchismo europeo (tra i quali personaggi della levatura di Kropotkin, Grave, Malato ecc.). In tale azione F. opera sicuramente di concerto con Malatesta, ormai da quasi due anni esule a Londra ma con il quale F. mantiene contatti costanti, che non sfuggono all’autorità di PS, che, sempre nel 1916, rileva la frequenza dei rapporti epistolari di F. col “suo amato capo” in esilio, del quale è egli “luogotenente” in Italia e quindi, in virtù di siffatta autorevolissima investitura, “il vero capo” degli anarchici italiani. E in effetti anche durante gli anni di guerra, quando ogni attività “ufficiale” del movimento anarchico appare quasi del tutto cessata anche in conseguenza dei tanti militanti assegnati al domicilio coatto per “propaganda disfattista” o incarcerati per renitenza alla chiamata alle armi, F. continua a essere un punto di riferimento importante: mantiene, sia pure con le cautele imposte dalle circostanze, frequenti contatti con i militanti ancora liberi e promuove, assieme ad altri compagni bolognesi, l’organizzazione di un convegno anarchico clandestino, che si tiene a Firenze, nel giugno del 1916, finalizzato a tracciare le direttrici dell’azione e dell’organizzazione anarchica per il dopoguerra. Sia pure nel contesto drammatico della guerra e delle responsabilità di un impegno militante mai venuto meno, la condizione familiare di F. attraversa un periodo di relativa tranquillità., forse dei più sereni di una vicenda esistenziale alquanto tormentata. Risultato vincitore del concorso magistrale a Bologna, F. opta per la scuola elementare di Corticella, una frazione del capoluogo emiliano, dove si trasferisce nel settembre del 1915. L’alloggio è modesto ma dignitoso, lo stipendio sufficiente al mantenimento della famiglia. Successivamente F. avrà anche l’incarico di maestro in un corso di mutilati di guerra in altra frazione di Bologna. Compiti che F. assolve con la passione e l’impegno propri di colui per il quale l’insegnamento non è attività di ripiego né mero strumento di sostentamento familiare ma l’estrinsecarsi, anche sul piano didattico e pedagogico, di un impegno di vita finalizzato al perseguimento di tutto quanto sia promozione della libera personalità nella solidarietà e nella giustizia. F., cui l’esercizio delle mansioni di maestro comporta l’esonero dalla chiamata alle armi, non tarda a conquistarsi la stima e il prestigio che competono in una piccola collettività a un maestro elementare esempio di probità e di attaccamento alla sua funzione di educatore. Senza che tuttavia ciò vada a scapito di una mai venuta meno tensione politica e dell’attenzione costante verso i rivolgimenti di una fase delle più tumultuose della storia europea. Lo dimostra, tra l’altro, l’immediatezza con cui F., allo scoppio della Rivoluzione di febbraio, nell’articolo La rivoluzione in Russia, che da solo occupa ambedue le pagine del numero unico «Eppur si muove!» (Torino, apr. 1917), non solo saluta nel crollo subitaneo di un impero secolare quale quello zarista “il fascio di luce viva e sfolgorante [che] ha rotto all’improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue, di menzogna e di morte, che da ormai tre anni avvolge e uccide l’umanità” e “la luce d’un sublime incendio che fa tremare sui troni tutti i potenti e infonde il desiderio della rivolta in tutti gli oppressi”, ma intuisce le potenzialità insite in un avvenimento che ha messo in moto una dinamica foriera di sviluppi capaci di oltrepassare i limiti di una rivoluzione democratico-borghese. Tale sarà per l’appunto da lì a qualche mese la conquista bolscevica del potere, senza che tuttavia l’entusiasmo generale per un moto rivoluzionario vittorioso dai contorni ancora indefiniti e però con caratteri tali da apparire in ogni caso la prima rivoluzione “sociale” dal tempo della Comune di Parigi, sia d’impedimento a che sin dalle settimane immediatamente successive alla conquista del Palazzo d’Inverno vengano da parte anarchica avanzate puntuali riserve critiche in ordine all’assunzione del potere in quanto tale e alla sua istituzionalizzazione in Governo dello Stato da parte di una forza rivoluzionaria. È per l’appunto F. che prima e meglio di ogni altro, sin dal gennaio del 1918, in un articolo, I fatti di Russia, pubblicato ne «L’Avvenire anarchico», fa rilevare, con riferimento alle prime seppur confuse notizie di misure restrittive delle libertà politiche messe in atto dal governo di Lenin nei confronti degli anarchici russi come delle altre componenti dello schieramento rivoluzionario, la stridente contraddizione tra le più ardite realizzazioni del socialismo enunciate dal governo bolscevico e le “necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario, per mantenersi al potere”. A essere enunciate da F. con straordinaria chiarezza e con una tempestività che ha ben pochi altri esempi nel movimento anarchico europeo sono cioè i due capisaldi di quella che sarà negli anni e nei decenni successivi la critica libertaria dell’esperimento bolscevico: l’inscindibilità del binomio libertà politicarivoluzione sociale e l’ineluttabilità dello scivolamento su posizioni autoritarie di una rivoluzione che si faccia Governo e poi, come nel caso della Russia, Stato. Seppure nel contesto del generale entusiasmo per la prima rivoluzione socialista vittoriosa e dall’altrettanto vasto moto di solidarietà con la Russia rossa minacciata dalla controrivoluzione interna alimentata dagli interessi reazionari dell’Intesa, che nell’immediato dopoguerra coinvolge larghissimi settori del movimento anarchico italiano, F. non tralascia di evidenziare come nell’assunzione del potere risieda il peccato originale, o “l’antico e fatale errore”, come egli ama scrivere, che sta alla base della degenerazione dittatoriale del regime bolscevico. Evento inevitabile, sottolinea F., perché il partito più rivoluzionario che va al potere diventa per ciò stesso un ostacolo per la rivoluzione impedendo che le forze da essa stessa suscitate possano liberamente continuare a esprimersi. “L’antico e fatale errore di voler fare il bene dall’alto di un trono”, nota F. nell’agosto del 1918, “sia esso aristocratico o democratico, si chiami monarchico, repubblicano, socialista o dei commissari del popolo, l’errore di voler redimere il popolo per forza, governandolo, può ancora una volta rendere vani tutti gli sforzi eroici antecedenti”. Il ruolo svolto da F. nell’azione di denuncia dell’involuzione autoritaria in atto nella Russia di Lenin diventa ancora più rilevante nel momento in cui si tratta di contrastare con energia la tendenza per la quale, sull’onda del mito leninista di una rivoluzione che combatte e vince da sola contro un’infinità di nemici interni ed esterni e della forza di coinvolgimento della parola d’ordine “facciamo come in Russia”, anche in settori tutt’altro che marginali del movimento anarchico si diffonde un atteggiamento sostanzialmente favorevole nei confronti di quella dittatura del proletariato che ora appare sinonimo e garanzia di difesa della Rivoluzione vittoriosa. Tocca a F. condurre sull’argomento un’opera che è al contempo di chiarificazione critica ma anche di riaffermazione dei postulati irrinunciabili dell’anarchismo. Egli lo fa essenzialmente dalle colonne della rinata «Volontà» di Ancona, e non solo ricorrendo all’autorità e al prestigio indiscusso Malatesta perché il grande esule, in una lettera pubblicata nel quindicinale marchigiano del 16 agosto 1919, sgombri con una parola chiara il campo anarchico dai pericoli di commistioni capaci di snaturarlo, ma conducendo egli stesso l’opera di chiarificazione con tutta una serie di articoli, pubblicati in «Volontà» dall’autunno del 1919 alla primavera dell’anno successivo. Per mezzo di essi F. dimostra come la dittatura del proletariato, nel suo storico prodursi in Russia, lungi dall’essere sinonimo di azione diretta rivoluzionaria e di rivolta vittoriosa di minoranze audaci, tende a risolversi in un nuovo potere statale, anzi nel potere statale nella sua espressione più accentratrice e incontrollata: nella migliore delle ipotesi dittatura di una minoranza di lavoratori sulla maggioranza di altri lavoratori; nella realtà effettuale dello Stato sovietico la dittatura di un partito se non addirittura del ristretto nucleo dirigente del partito. Gli articoli pubblicati in «Volontà» saranno di lì a poco rifusi dal loro autore per andare a comporre il saggio Dittatura e rivoluzione, opera ultimata nell’agosto del 1920 ma pubblicata solo a metà dell’anno successivo. Ciò che gli conferisce rilevanza particolare e che sta alla base del grande interesse che esso riscuote negli ambienti libertari non solo italiani, è che il saggio di Fabbri non costituisce soltanto una brillante dissertazione dottrinale sul tema della dittatura del proletariato condotta sulla scorta di una puntuale conoscenza del pensiero anarchico e della pluridecennale polemica ideologica intercorsa sull’argomento tra socialismo “autoritario” e movimento anarchico; in aggiunta a ciò la problematica della dittatura del proletariato è dibattuta con riferimento specifico alla Russia di Lenin, a una realtà cioè di cui F. con lucidità e acume critico straordinari percepisce i sintomi premonitori dei processi degenerativi insiti nella pratica bolscevica della dittatura del proletariato: l’esasperato dirigismo economico che assolutizzando il modello costituito dalla grande impresa industriale ignora le potenzialità produttive di altre e diverse forme di organizzazione del lavoro e mortifica l’autonomia creatrice dei produttori liberamente associati; la conseguente sottomissione della classe operaia alla “disciplina di caserma” di un comunismo di Stato assommante in sé “le due tirannidi attuali del governo e del proprietario”; lo svuotamento progressivo dei soviet, iniziali protagonisti della Rivoluzione russa e interpreti autentici della sua anima libertaria, e la loro riduzione a strumenti inerti di un potere di cui il Governo dei Commissari del popolo e il partito che lo esprime sono gli esclusivi detentori. Se Dittatura e rivoluzione, con ogni probabilità la più ampia, compiuta e meglio riuscita delle opere di F., costituisce un contributo di tutto rilievo, per capacità analitica e rigore interpretativo, alla definizione di quella posizione di critica di sinistra al bolscevismo che il movimento anarchico internazionale va elaborando negli anni immediatamente successivi alla conquista leniniana del potere, di indubbio interesse è altresì la riflessione critica che, a partire dal 1920, F. incomincia a produrre sul tema delle origini del fascismo. Si tratta di spunti d’analisi inizialmente condotti in «Volontà» e in altri periodici anarchici per poi confluire nel volume La controrivoluzione preventiva. Saggio di un anarchico sul fascismo. Il titolo stesso del saggio, ultimato nell’autunno del 1921 e con una nota aggiuntiva del mese di dicembre dello stesso anno, lascia intendere come ci si trovi di fronte a un’interpretazione prevalentemente classista del fenomeno delle origini e dell’ascesa del fascismo inteso quale strumento della controffensiva padronale a fronte dell’impetuosa avanzata del movimento operaio e contadino dell’immediato dopoguerra. E in effetti nel saggio la linea interpretativa di fondo è quella tipicamente classista del fascismo al contempo prodotto della paura del bolscevismo e strumento della riscossa capitalista; milizia armata sorta a difesa della classe dirigente nel suo complesso e punto d’aggregazione politica di ceti sociali anche diversi e non tutti connotabili in termini strettamente capitalistici quali i proprietari terrieri, l’alta burocrazia, la magistratura, l’esercito. Ma La controrivoluzione preventiva non è solo questo, perché nell’analisi di F. del sorgere del fascismo e della sua rapida ascesa sono altresì presenti, almeno allo stato di abbozzi, altri e diversi spunti interpretativi, successivamente ripresi da autori (valga per tutti l’esempio di Angelo Tasca) che al saggio di F. faranno esplicito riferimento. Così è anzitutto per l’enunciazione di F. relativa all’essere il fascismo sbocco naturale della guerra, e non soltanto nel senso più restrittivo di conseguenza materiale delle contrapposizioni di classe acuitesi durante la guerra, ma nel senso più ampio, peraltro condiviso dallo stesso Malatesta, della guerra come generatrice delle condizioni psicologiche e spirituali, prima fra tutte una consolidata attitudine alla violenza e alla sopraffazione, che avrebbero costituito il contesto propizio alle genesi del fascismo. Fenomeno alla cui crescita, sostiene F., non poco hanno contribuito gli errori delle forze politiche e sindacali della sinistra: l’ubriacatura comiziesca al posto del raccoglimento necessario all’organizzazione autenticamente rivoluzionaria; i tanti scioperi privi di significato e costrutto e perciò in ultima analisi controproducenti; lo sprezzo e gli oltraggi gratuiti delle folle alla “bassa forza pubblica”; il monopolio del patriottismo lasciato al fascismo. Su tutto e su tutti, l’errore di una rivoluzione “tanto predicata ed aspettata” ma mai attuata; e però “tante volte minacciata” da “provocare la controrivoluzione”. “S’è avuta così”, scrive F., “la controrivoluzione senza rivoluzione, una vera e propria controrivoluzione preventiva, di cui il fascismo è stato il fattore più attivo e impressionante”. Gli approfondimenti di analisi e di studio sui temi del bolscevismo e del fascismo sono ben lungi dall’esaurire l’impegno politico profuso da Fabbri nell’immediato dopoguerra e del quale sono segnali evidenti, prontamente registrati dalle autorità di ps, l’intensificarsi della corrispondenza “con sovversivi e sezioni del partito di varie città” e l’infittirsi degli incontri con A. Borghi e con altri noti esponenti del movimento. Dapprima F. è impegnato soprattutto a realizzare una nuova serie di «Volontà», “Rassegna quindicinale anarchica”, che, sino all’avvio del quotidiano «Umanità nova», rappresenterà il più autorevole foglio anarchico. Quindi, all’indomani del ritorno di Malatesta in Italia, e con lui agendo di concerto, F. è protagonista di assoluto rilievo del processo di ridefinizione politica e organizzativa dell’UAI, già sorta l’anno precedente col nome di UCAI. Avviene difatti che, nella fase preparatoria del Congresso, programmato a Bologna per i primi giorni di luglio del 1920, F., in ragione delle sue comprovate doti di affidabilità e di equilibrio e dell’unanime considerazione e stima di cui gode in ampi settori del movimento, viene incaricato di stilare le relazioni introduttive su due punti di cruciale importanza su cui il Congresso è chiamato a dibattere e deliberare: il rapporto con gli altri partiti e movimenti politici della sinistra e le norme di organizzazione interna dell’Unione medesima. F., la cui relazione Il Fronte Unico Rivoluzionario viene pubblicata in opuscolo, parte dalla considerazione della situazione rivoluzionaria creata dalla guerra per individuare il compito che l’ora drammatica e decisiva (l’alternativa, egli scrive è tra “la liberazione e l’abisso”, tra una rivoluzione proletaria vittoriosa o una repressione quanto mai sanguinosa) assegna agli anarchici: “incuneare nella grande insurrezione impulsiva delle folle una azione insurrezionale di minoranze coscienti che dia un’anima e un indirizzo alle masse”. Affinché ciò sia possibile, argomenta F., non vale di certo la ricerca delle alleanze con l’accomodante parlamentarismo dei socialisti riformisti né con il verboso rivoluzionarismo di quanti parlano a ogni piè sospinto di rivoluzione rimandandone sempre al domani la messa in atto. Né può risultare idonea alla preparazione di un’insurrezione popolare vittoriosa – sostiene F. – la strategia del fronte unico dall’alto, organismo burocraticamente centralizzato e come tale incompatibile con la formazione di una forza armata proletaria che se formalmente irreggimentata dall’alto verrebbe inevitabilmente scoperta, mentre ben maggiori possibilità di successo avrebbe la tattica, indicata dagli anarchici, del fronte unico rivoluzionario di base costituito da locali gruppi rivoluzionari d’azione “fra individui anche di partiti diversi, ma che personalmente si conoscono, sono amici, ed hanno stima reciproca l’uno dell’altro”. Questi gruppi, “comitati spontanei e volontari esercitanti sull’ambiente esterno una funzione iniziatrice, esecutiva e direttiva”, si sarebbero assunti l’incarico di quella “preparazione pratica e tecnica indispensabile” dell’insurrezione, sulla quale viene mantenuta dal relatore un ovvio riserbo, peraltro esteso alle modalità di collegamento e di raccordo, a livello regionale e nazionale, tra i locali gruppi rivoluzionari. L’impostazione di F. viene sostanzialmente condivisa dal Congresso dell’UAI, che nella seduta antimeridiana del 2 luglio 1920 vota un ordine del giorno col quale “approva e consiglia – al di fuori dei partiti e organizzazioni esistenti – la formazione nelle singole località di nuclei locali d’azione tra tutti gli elementi che alla prima occasione prevista o prevedibile s’impegnano a scendere sul terreno dei fatti per abbattere con tutti i mezzi le attuali istituzioni”. Molto più tormentata e complessa è invece stata nel corso della prima giornata dei lavori la discussione sul sempre delicato e quanto mai altro controverso tema dell’organizzazione interna al movimento, cioè del “patto di alleanza” che dovrebbe regolare i rapporti tra i gruppi che si riconoscono nell’UAI. Anche su questo punto spetta a F. preparare la relazione introduttiva, incentrata sul contemperamento del “principio dell’organizzazione”, senza il quale l’UAI stessa non avrebbe ragione d’esistere, con la salvaguardia dell’“autonomia individuale, dei gruppi e delle unioni e federazioni locali”; ma in sede di discussione congressuale è Malatesta che deve farsi carico, a fronte delle non poche obiezioni di quanti paventano il pericolo della coercizione dei singoli con una disciplina identica a quella degli altri partiti, di elaborare e fare approvare la formula, palesemente di compromesso, dell’“autonomia individuale limitata dall’obbligo di mantenere gli impegni presi”. Siamo ormai quasi alla vigilia di quell’occupazione delle fabbriche che F., al pari di tanti altri, si illude essere il prologo di una rivoluzione già avviata. Ma l’occasione rivoluzionaria sfuma e ad essa subentra lo scatenarsi della reazione. F. che, impeditovi dalla necessità di continuare a esercitare la sua attività di maestro a Corticella, non può fare parte integrante della redazione milanese di «Umanità nova», non manca tuttavia di mettere a disposizione del quotidiano la sua opera di esperto pubblicista, così come di tutto rilievo è la sua partecipazione al iii Congresso dell’UAI di Ancona (nov. 1921) con interventi significativi sia sul tema sempre delicato dei rapporti tra movimento anarchico e organizzazione sindacale, vuoi che trattasi di compagni rimasti nella CGdL o di militanti che ricoprono anche funzioni di reponsabilità nell’USI, che di quelli non meno spinosi dell’organizzazione interna dell’UAI e dei suoi rapporti con gli altri movimenti sovversivi. Inoltre F., al pari di Malatesta, interviene in sede congressuale per ammonire sulle conseguenze del passaggio ormai prodottosi da una situazione prerivoluzionaria a una che vede le forze reazionarie muovere alla controffensiva. Nei mesi successivi, F., che il prestigio e il rispetto di cui gode a Corticella non mettono del tutto al riparo dalle minacce fasciste, continua nella sua collaborazione ai principali organi di stampa libertari, il cui numero, all’indomani dell’avvento del fascismo al potere, va progressivamente riducendosi. Tra le poche nuove iniziative vi è «Fede!» “Settimanale anarchico di cultura e difesa”, promosso da Luigi Damiani, cui F. (che nel frattempo si è trasferito con la famiglia in Bologna centro dove ha la nuova sede d’insegnamento) non manca di collaborare, almeno fino a quando le sue migliori energie non saranno assorbite nell’affiancare Malatesta nell’ultima impresa giornalistica personalmente diretta dall’anziano leader: «Pensiero e volontà», la “Rivista quindicinale di studi sociali e di cultura generale” che prende l’avvio a Roma il 1° gennaio 1924 avendo costantemente in F. il più assiduo collaboratore, che non solo cura stabilmente la “Cronaca della quindicina” ma contribuisce a ogni numero, per come ricorderà la figlia, “con almeno un articolo suo, spesso due, e, a volte, persino tre, firmati L. Fabbri, L’osservatore, Lo spettatore, Catilina, Topo di biblioteca, Adamas”. Ormai i residui margini di agibilità politica vanno sempre più restringendosi e anche l’esercizio della professione di maestro volge al termine: F. nel marzo del 1926 viene dalla Giunta comunale di Bologna “dispensato dall’impiego di insegnante nelle locali scuole elementari perché si è rifiutato di prestare il giuramento di rito” richiesto ai dipendenti comunali. Incomincia la ricerca spasmodica di un altro lavoro, mentre diviene sempre più attuale la prospettiva dell’emigrazione, che si concretizza in autunno all’indomani delle leggi eccezionali allorché F., cui è stato negato il passaporto, pochi giorni dopo la cessazione forzata di «Pensiero e volontà» (l’ultimo numero reca la data del 10 ottobre 1926), varca clandestinamente la frontiera con la Svizzera, trovando ospitalità presso compagni ticinesi a Bellinzona e incontrando altri antifascisti a Lugano. Poche settimane dopo passa in Francia, stabilendosi dapprima a Montbéliard, in prossimità del confino svizzero, dove lavora in qualità di contabile presso la ditta di un compagno, e trasferendosi quindi, nel marzo del 1927, a Parigi, dove nel giugno dello stesso anno viene raggiunto dalla moglie. La figlia Luce, rimasta a Bologna in casa di amici a completare gli studi universitari, si ricongiungerà ai genitori nei primissimi giorni del 1929, a differenza del figlio Vero, che già in precedenza, per non gravare sul precario bilancio familiare, si era reso autonomo andato giovanissimo a Roma a esercitare il mestiere d’intagliatore del legno. Nella Parigi, capitale dell’antifascismo, F. frequenta sia i rifugiati politici anarchici di altri Paesi che gli antifascisti italiani di diversa tendenza (una celebre foto lo raffigura nella popote, punto di ristoro cooperativo-familiare approntato da Nullo Baldini, assieme a Filippo Turati, Sandro Pertini, Bruno Buozzi, Fernando Schiavetti, Pietro Nenni, Giuseppe Emanuele Modigliani e altri). I suoi rapporti con il composito e turbolento mondo degli anarchici invidualisti e antiorganizzatori esuli in Francia, quali Virgilio Gozzoli, Paolo Schicchi ecc., sono buoni, ma è con i “malatestiani” C. Berneri, Torquato Gobbi e Ugo Fedeli (convertitosi alla tendenza organizzatrice) che F. costituisce il Gruppo anarchico “Pensiero e volontà”, chiaramente ispirato, come dice il nome stesso, alle posizioni sostenute nel dopoguerra da Malatesta dalle colonne di «Umanità nova», sintetizzate nel Programma anarchico proposto dall’anziano leader nel congresso dell’UAI di Bologna del 1920 e in ultimo ribadite nel quindicinale «Pensiero e volontà». Già nel maggio del 1927 il gruppo annuncia l’intenzione di dar vita, col titolo «La Lotta umana», a un periodico “che continui all’estero una propaganda troncata nel nostro paese d’origine dall’arbitrio e dalla violenza liberticida” e chiami alla lotta libertariamente organizzata “contro la triplice incarnazione dell’autorità, costituita dal Capitalismo, dallo Stato e dalla Chiesa, per la ricostruzione sulle loro macerie d’una nuova società di liberi e di uguali, basata sul libero accordo e la cooperazione volontaria e che assicuri a tutti gli uomini il massimo raggiungibile di libertà e di benessere”. Superando non poche difficoltà organizzative e soprattutto economiche, «La Lotta umana», “Rassegna bimensile anarchica”, vede la luce a Parigi il 1° ottobre del 1927. Ne usciranno complessivamente 32 numeri sino all’aprile del 1929. La rivista si avvale delle più o meno assidue collaborazioni di Berneri, Fedeli, Gobbi, Damiani, Felice Vezzani e Leonida Mastrodicasa. Ma a fare lo “stile” della rivista è la pluridecennale esperienza giornalistica di F., con il rigore critico, il vigile senso della misura, la ricerca di una più che dignitosa veste grafica che lo contraddistinguono. Anche sotto il profilo strettamente materiale, su F. ricade il peso maggiore del “confezionamento”, dell’allestimento tipografico e della distribuzione del quindicinale. I suoi articoli con gli pseudonimi consueti di “Catilina”, “Quandmême” e “Ludovico Schlösser”, assieme alle rubriche “Botte e risposte” e “Sfogliando i giornali” che egli firma con lo pseudonimo “Topo di biblioteca” (molti altri sono gli pseudonimi adottati nella sua ricca attività di pubblicista: “Idemille”, Eva Ranieri”, “C.L.F.”, “Fiordaliso”, “Jean Roule”, “Louis Thieux”, “Magister ludi”, Radames”, “Sifrido”), occupano da soli mediamente la metà delle otto pagine di un quindicinale che, nel mentre non trascura di documentare i lettori sui temi della progressiva involuzione autoritaria dell’esperimento bolscevico, del clima xenofobico culminato negli Stati Uniti nell’assassinio legale di Sacco e Vanzetti, degli sviluppi politici in Cina, in Argentina ecc., porta avanti il confronto con le altre componenti dello schieramento antifascista ribadendo la specificità delle posizioni anarchiche ma senza indulgere all’esasperato settarismo di altre espressioni pubbliciste, anarchiche e non, del mondo dei fuorusciti. Di particolare interesse l’approfondimento critico operato da F. sul tema del fascismo: superando i limiti dell’interpretazione ancora prevalentemente, se non esclusivamente classista, di La controrivoluzione preventiva, F. perviene all’enunciazione del fascismo come il sintomo più evidente di una radicale crisi di civiltà drammaticamente avviatasi con la guerra e contraddistinta non soltanto dalla violenza della controrivoluzione antiproletaria ma dall’ottenebrarsi (e siamo di fronte al precorrimento di un tema che Rosselli svilupperà al momento della repentina conquista hitleriana del potere) dei concetti stessi di dignità umana e di libertà di pensiero affermatisi col Rinascimento e la Riforma e persino, per come si legge nell’editoriale anonimo ma certamente di F. del primo numero della rivista, dei “diritti dell’umana pietà sanciti dal lontano Cristianesimo”. “Il fascismo” scrive F. nel numero successivo denunciando l’errore gravissimo di una semplicistica identificazione tra governo liberaldemocratico e dittatura fascista “non è soltanto uno dei governi come tutti gli altri, una delle prepotenze come tutte le altre; esso è il governo più prepotente e la prepotenza più autoritaria che immaginar si possa, è la esaltazione massima nella teoria e nella pratica del principio di autorità”. Nel febbraio-marzo del 1929, in ragione della sua persistente “attività sovversiva”, l’intero corpo redazionale de «La Lotta umana» viene espulso dalla Francia. F., dopo un breve soggiorno in Belgio, a metà anno si imbarca con la moglie e la figlia per l’Uruguay. Trovano a Montevideo ad accogliergli un piccolo ma affiatato nucleo di anarchici di lingua italiana, che si adoperano per garantire alla famiglia una dignitosa sistemazione. Nel clima liberale della piccola Repubblica sudamericana, F. e i suoi attraversano un periodo di relativa tranquillità. Le entrate derivanti dalla pur saltuaria attività di insegnante di italiano esercitata da Luce integrano il modesto compenso che a F. deriva dall’intensificarsi della preesistente collaborazione al quotidiano anarcosindacalista di Buenos Aires «La Protesta», che affida a F. la redazione di una pagina italiana con cadenza quindicinale. La collaborazione con il quotidiano non è però esente da risvolti negativi: essendo «La Protesta» organo di una delle due centrali sindacali argentine, la Federación obrera regional argentina, contrapposta ad altra centrale sindacale anch’essa di ispirazione anarcosindacalista, la Unión sindical argentina, F. è costretto a destreggiarsi nel clima polemico di una lotta intestina quanto mai aspra, non di rado alimentata da personalismi e rancori antichi, che rende vano qualsiasi tentativo di ravvicinamento. E però il sostegno della collaudata macchina redazionale de «La Protesta» e dei mezzi tipografici di cui dispone si rivela essenziale per dar vita all’ultima delle imprese giornalistiche di F.: la pubblicazioni di «Studi sociali», “Rivista bimensile di libero esame”, che prende l’avvio nel marzo del 1930 redatta a Montevideo e stampata a Buenos Aires. Le otto pagine di medio formato di cui si compone la rivista sono per almeno una buona metà compilate da F. in persona, che pubblica due, talvolta tre articoli, in aggiunta alla rubrica “Rivista delle riviste” firmandoli “Luigi Fabbri”, “Catilina”, “Ludovico Schlösser”. I principali collaboratori sono essenzialmente tre: Ugo Fedeli, che, sino a quando nel 1933 sarà estradato in Italia, vi pubblicherà, con il consueto pseudonimo “Hugo Treni”, numerosi articoli sia teorici che di attualità; Torquato Gobbi, che vi scrive articoli sui temi prevalenti del sindacalismo, della coperazione ecc.; la figlia Luce che, dietro il trasparente pseudonimo di Lucia Ferrari, fa le sue prime prove pubblicistiche soprattutto con una serie di articoli di impianto anticlericale. Il quindicinale ospita, tra le altre, le firme di Gaston Leval e Diego Abad De Santillán, mentre un “collaboratore” tutto particolare è Malatesta, del quale il quindicinale ripropone articoli apparsi anni o addirittura decenni prima ma pur sempre attuali. E l’attualità politica, sia pure nei termini non certo dell’informazione ma del commento adatti a un quindicinale che molto spesso ha periodicità mensile, assorbe parte cospicua delle pagine di «Studi sociali» con articoli incentrati sui temi del movimento di resistenza passiva all’oppressione coloniale condotto da Gandhi in India, dell’avvento della repubblica in Spagna, dell’impetuosa ascesa del nazismo, della politica estera della Russia bolscevica ecc. Né minore è l’attenzione critica per gli sviluppi del regime fascista, di cui F. acutamente coglie le contraddizioni crescenti senza tuttavia indulgere a facili illusioni di un’imminente caduta, mentre nei confronti delle altre correnti dell’antifascismo, i cui sviluppi sono attentamente seguiti e analizzati, la riproposizione ferma della dottrina e della prassi anarchiche non impedisce a F. di cogliere e sottolineare la ventata di novità e di rinnovamento di cui è portatore il movimento gl. Nel 1931 redazione e stampa della rivista si riunificano a Montevideo, e ciò in conseguenza dell’avvento in Argentina della dittatura militare d’Uriburu, che, mettendo fine alle libertà democratiche, sottopone a dura repressione l’anarcosindacalismo argentino. «La Protesta» è soppressa e la sua tipografia devastata. «Studi sociali» prosegue ma con una periodicità resa problematica sia dalle difficoltà economiche che dal sopraggiungere di seri problemi di salute del suo direttore. F., che ha perduto il modesto compenso derivantegli dalla collaborazione a «La Protesta», trova solo momentaneo sollievo alle sue ristrettezze con la nomina, nel 1931, a maestro della Scuola Italiana di Montevideo, organismo indipendente gestito dalle diverse istituzioni italiane, la cui rapida fascistizzazione sarà alla base, l’anno successivo, del licenziamento di Fabbri, che dovrà cercare di integrare con una ancora più precaria e ben poco redditizia attività di venditore di libri le entrate familiari provenienti dall’attività d’insegnante di Luce. Nel 1932 una prima emorragia è il sintomo dell’ulcera duodenale che, dopo diverse crisi e ricoveri ospedalieri – a ciascuna delle quali corrisponde una più o meno lunga interruzione nelle pubblicazioni di «Studi Sociali» – rende necessario all’inizio del 1934 un primo intervento chirurgico. Seguirà un secondo, le cui complicanze porteranno, il 23 giugno 1935, alla morte. E tuttavia prima di cessare di vivere F. è riuscito a portare a compimento due ulteriori imprese, ambedue legate al lascito ideale di Malatesta scomparso nel 1932: la raccolta, in collaborazione con Luigi Bertoni, degli scritti dell’esponente massimo del movimento anarchico italiano in tre volumi che, con prefazione di F., vedranno la luce a Ginevra per le Edizioni del “Risveglio” tra il 1934 e il 1936; la compilazione di un profilo del pensiero e l’opera del maestro, compagno e amico di cui Luce Fabbri realizzerà la pubblicazione in spagnolo nel 1945 col titolo Malatesta: su vida y su pensamiento. (S. Fedele) 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Biblioteca dell’Archiginnasio, Bologna, Fondo Fabbri.

Bibliografia:
Scritti di F: Agli studenti, Torino, 1903; Carlo Pisacane. La vita, le opere, l’azione rivoluzionaria. Cenni storici, Roma-Firenze, 1904; L’inquisizione moderna, Roma-Firenze 1904; Lettere ad una donna sull’anarchia, Chieti, 1905; L’organizzazione operaia e l’anarchia, Roma 1906; Questioni urgenti, Paterson, 1907; L’organizzazione anarchica, Roma, 1907; Resoconto Generale del Congresso Internazionale Anarchico di Amsterdam, Paterson (usa) 1907; Marxismus und Anarchismus, Tubingen, 1908; Sindicalismo y anarquismo, Valencia, 1908; Francisco Ferrer y Guardia ultimo martire del libero pensiero, Roma, 1909; La scuola e la rivoluzione, Milano, 1912; Generazione cosciente. Appunti sul neomalthusianesimo, Firenze 1914; Lettere ad un socialista, Firenze, 1914; Dittatura e rivoluzione, Ancona, 1921; La controrivoluzione preventiva. Saggio di un anarchico sul fascismo, Bologna, 1922; Malatesta: su vida y su pensamiento, Buenos Aires, 1945. 
Scritti su F: U. Fedeli, Luigi Fabbri, Torino 1948; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1950, ad indicem; «Umanità nova», numero speciale dedicato a L. Fabbri, giu. 1954; E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, n. ed. riv. e ampl., Milano, 1973, ad indicem; ESSMOI, Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano, vol. ii: Libri, opuscoli, almanacchi, numeri unici, t. ii, Roma-Torino 1964, pp. 4750; P.C. Masini, Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa, «Rivista storica del socialismo», n. 15-16; A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli, 1954, ad indicem; Anarchici ed anarchia nel mondo contemporaneo. Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi, Torino 1971, ad indicem; L. Bettini Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1, t. 1, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, 1972, ad indicem; Id., Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1, t. 2, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero (1872-1971), Firenze, 1976, ad indicem; Il Movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; G. Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla Settimana rossa. Per una storia dell’anarchismo in Italia (18811914), Firenze 1977, ad indicem; N. Lipparoni, Le origini del fascismo nel pensiero di Luigi Fabbri, Fabriano 1979; Masini 2, ad indicem; A. Dadà, L’anarchismo in Italia: fra movimento e partito, Milano 1984, ad indicem; E. Voccia, Luigi Fabbri: le radici, il tempo, il pensiero, Napoli 1989; Dizionario biografico degli italiani, Roma [pubbl. in corso], ad nomen; G. Manfredonia, La lutte humaine. Luigi Fabbri, le mouvement anarchiste italien et la lutte contre le fascisme, Paris 1994; M. Antonioli, Gli anarchici italiani e la Prima Guerra mondiale. Lettere di Luigi Fabbri e di Cesare Agostinelli a Nella Giacomelli (19141915), «Rivista storica dell’Anarchismo», gen.giu. 1994; L. Pezzica, Luigi Fabbri e l’analisi del fascismo, «Rivista storica dell’Anarchismo», lug.-dic. 1995; L. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, Pisa 1996; S. Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la Russia sovietica 1917/1939, Milano 1996, ad indicem; G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Manduria 1998, ad indicem; M. Antonioli, Gli anarchici italiani e la prima guerra mondiale. Il Diario di Luigi Fabbri (Maggiosettembre 1915), «Rivista storica dell’Anarchismo», gen.giu. 1999; G. Di Lembo, Guerra di classe e lotta umana. L’anarchismo in Italia dal Biennio rosso alla Guerra di Spagna, 1919-1939, Pisa, 1999, ad indicem; P.C. Masini, Gli anarchici tra neutralità e intervento (19141915), «Rivista storica dell’Anarchismo», lug.dic. 2001.

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Note

Paternità e maternità: Curzio e Angela Sbriccoli

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2003

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