BARTOLOMMEI, Angiolino

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
BARTOLOMMEI, Angiolino

Date di esistenza

Luogo di nascita
Scarlino
Data di nascita
24/02/1894
Luogo di morte
Montevideo
Data di morte
25/08/1960

Attività e/o professione

Qualifica
Badilante

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Scarlino (GR) il 24 febbraio 1894 da Agostino Cecchi e Assunta Bartolommei, badilante. È ancora giovanissimo, quando comincia a lavorare al riassetto dei fossi nella pianura scarlinese, insieme a Riccardo Gaggioli, Narciso Portanti, Sabatino Rosa, Beroldo Bianchi e altri sovversivi. Il primo opuscolo che legge è L’anarchia volgarizzata di Aristide Ceccarelli. Il primo oratore importante, che ascolta, è P. Gori, che gli appare, alla stazione di Scarlino, “come il Cristo redentore dei miserabili e dei morti di fame”. Membro del Circolo rivoluzionario di studi sociali, B. aderisce al gruppo comunista-anarchico di Scarlino nel 1911, diventandone cassiere nel 1913.

Abbonato a «L’Avvenire anarchico» di Pisa, è contrario all’intervento italiano nella Prima Guerra mondiale: “Leggevo in quel tempo un opuscolo di Tolstoi intitolato: Ai soldati, che mi fece capire quanto la guerra e il militarismo erano ingiusti. All’ufficio di leva mi si destinò al 35º reggimento di artiglieria da campagna; partenza per il fronte (1º giugno 1915) e, ripeto, l’opuscolo di Tolstoi mi aveva predisposto a darmi disertore per non uccidere, ma le insistenze ed i pianti della madre indebolirono la mia risoluzione e feci la guerra”.

Decorato con una croce e una medaglia ricordo di bronzo, come soldato del 19º Artiglieria da campagna e della 60ª Batteria di bombarde, B. carezza di nuovo, dopo aver partecipato alla conquista di Gorizia nel 1916, l’idea di disertare, ma le spaventevoli condizioni di vita dei compagni di Scarlino, che hanno fatto quella scelta, lo dissuadono.

Tornato al paese natale, a guerra conclusa, collabora, nell’ottobre 1920, all’occupazione anarchica della Chiesa di San Martino. Nel settembre 1921 invita i compaesani a non partecipare all’inaugurazione del gagliardetto del fascio di Scarlino, ma gli squadristi stracciano il suo manifesto e aggrediscono gli anarchici. Uno di questi, Aggio Simoncini, reagisce sparando, ma viene malmenato e consegnato ai carabinieri. Rifugiatosi a Piombino e denunciato – come Simoncini – per correità in mancato omicidio, B. subisce un’altra denuncia, dopo il ritrovamento, il 27 settembre 1921, di alcuni tubi di gelatina in una macchia, poco distante dalla modesta casa colonica di Scarlino del suo patrigno Ugo Cignoni, nonostante molti elementi facciano pensare a una provocazione orchestrata dai fascisti ai danni della sua famiglia. Assolto dall’accusa di detenzione di esplosivi, B. prova, nel maggio 1922, a emigrare clandestinamente in Svizzera, prima direttamente poi attraverso l’Austria, ma al Brennero viene arrestato dai doganieri. Detenuto fino al 3 giugno a Giuncarico, dove subisce insulti e percosse, torna a Piombino, perché i fascisti follonichesi hanno minacciato di ucciderlo, e in settembre passa illegalmente in Francia.

Il 23 marzo 1923 si imbarca per la Tunisia, dove lavora nella miniera di Redeves fino al 1924, quando rientra in Francia, stabilendosi a Sédan. Il 13 aprile 1925 fa il laminatore a Blagny e il 10 giugno viene condannato dalla Corte d’assise di Grosseto a cinque mesi di carcere per aver stilato, quattro anni prima, il manifesto per Malatesta. In dicembre è accusato di avere inviato ad alcuni possidenti scarlinesi delle copie del «Ganellone», un numero unico pubblicato da Paolo Schicchi a Marsiglia, che contiene gravissime ingiurie alla regina madre, e  per questo il 7 febbraio 1928 la Corte d’assise di Grosseto lo condanna a un anno di carcere.

B. fa il minatore a Joeuf, dove viene avvicinato da un prete della Bonomelli che tenta di fare di lui un informatore del fascismo. B. finge di stare al gioco, ma il 17 novembre si reca dal prete e lo uccide con una pistolata, poi spara contro il negozio di un pizzicagnolo fascista, quindi raggiunge il Belgio, dove viene arrestato a Flemalle per vagabondaggio e detenzione di armi. La Francia ne chiede l’estradizione e i fascisti accusano il massimalista Antonio Gamberi di essere il mandante dell’omicidio, mentre B. difende i propri atti senza tentennamenti. Per strapparlo alla ghigliottina scende in campo un Comitato, si tengono conferenze e comizi e si svolgono riunioni e assemblee. In favore di B. si schierano gli anarchici, la LIDU, i socialisti, i comunisti, i bordighisti, i massimalisti e i trockjisti e si esprimono esponenti politici, come Lazurik, Vandervelde, Favaletto, Van Overstraeten, De Boek e Lejour. La campagna di solidarietà è molto efficace e B., malgrado la condanna a morte, inflittagli in contumacia dalla Corte d’assise di Nancy, viene liberato dalle autorità belghe il 20 febbraio 1930 e accompagnato alla frontiera del Lussemburgo, da dove passa in Germania. Di qui raggiunge l’Australia, per fissare poi la sua residenza in Uruguay.

Nel 1933 viene incluso dalla Prefettura di Grosseto tra i sovversivi attentatori, che dimorano all’estero. Alla fine degli anni Trenta B. abita ancora a Montevideo, dove mantiene fraterni rapporti con Torquato Gobbi e con il gruppo di anarchici, che gravitano intorno a Luce Fabbri. E in Uruguay vive negli anni seguenti – come scriverà Gobbi a Leonetta Cignoni – con dignità e orgoglio, senza voler regolarizzare la propria posizione o chiedere il riconoscimento dello stato di perseguitato politico. Muore a Montevideo il 25 agosto 1960. (F. Bucci)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomenLettere a Agostino Cecchi, 2 apr. 1923, 19 mag. 1924, 13 apr.1925; Alcune pagine della vita, «Resistere!», apr. 1929; Due lettere di A. Bartolommei, «L’Adunata dei Refrattari», 11 mag. 1929; Una fandonia comunista, «Bandiera nera», ago. 1929; Alla sorella Leonetta, 21 giu. 1960; T. Gobbi, Lettere a Leonetta Cignoni, 21 giu. 1960, s.d., 26 ago. 1960, 30 ott. 1960; Testimonianza Leonetta Cignoni.

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