AGUZZI, Aldo

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
AGUZZI, Aldo

Date di esistenza

Luogo di nascita
Voghera
Data di nascita
20/08/1902
Luogo di morte
Buenos Aires
Data di morte
31/05/1939

Attività e/o professione

Qualifica
Pubblicista

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce a Voghera (PV) il 20 agosto 1902 da Luigi e Francesca Pantera, pubblicista. Membro del gruppo anarchico locale, è schedato il 10 aprile 1920 dalla Prefettura di Pavia, che lo descrive come persona dotata di cultura e intelligenza discrete. Iscritto all’Istituto tecnico, gode di buona fama ed è un accanito seguace di Malatesta, frequenta assiduamente la CdL, esercitando una notevole influenza sui compagni, perché è “il più istruito ed uno dei più audaci”, e si mostra sprezzante con le autorità. Il 13 aprile 1920 è arrestato per aver pronunciato un “violentissimo” discorso durante una manifestazione di solidarietà a un sovversivo del posto denunciato per uno scontro a fuoco contro i fascisti. Ritornato in libertà invita i compagni, su «Il Libertario» di La Spezia nel mese di settembre, a una “santa battaglia” per strappare alle galere i disertori della Prima Guerra mondiale, poi, nell’agosto 1923, si sottrae alle aggressioni fasciste, emigrando clandestinamente in Argentina, dove viene raggiunto da Maria Agnese Caiani, una tessitrice di Voghera, dalla quale avrà due figlie, Aura e Verità. A Buenos Aires fonda, insieme a Daleffe, Luigi Tibiletti, Carlo Fontana, Pasquale Caporaletti, Giacomo Sabbatini e Carlo Marchesi, il gruppo anarchico “L’Avvenire”. Redattore del giornale omonimo dal 1° dicembre 1923, sollecita i compagni d’ideale a denunciare gli orrori delle dittature nere e rosse e soprattutto ad agire, perché solo “nell’azione è la salvezza”. Sulle stesse pagine, dove si firma spesso “agal”, “a. a.”, “Lucio d’Ermes” e “L. d’E.”, rende omaggio all’anarchico Aron Baron, una delle “grandi vittime” della tirannia sovietica, e scrive, alla morte di Lenin, che il capo dei comunisti russi era un nemico dei lavoratori perché la sua mostruosa dittatura è costata al proletariato uno spaventoso numero di vittime. Aperto al dialogo con gli anarchici individualisti, iconoclasti e “espropriatori”, ma partigiano di una concezione “anarcocomunista” e “pratica dell’anarchismo”, che non punti solo a “obiettivi di natura strettamente personale”, A. è equidistante dalle due tendenze principali del movimento libertario argentino: quella anarcosindacalista della FORA e del quotidiano «La Protesta» di Buenos Aires e quella, più individualista, del giornale «La Antorcha». Incappato nella “scomunica” dell’“anarchismo ufficiale argentino” (cioè della FORA) per essersi dissociato dalla decisione del Comité pro presos y deportados di espellere alcuni compagni, A. riafferma, durante la crisi Matteotti, che gli anarchici, in nome dell’antifascismo, non possono collaborare “comunque e con chiunque”, e difende il programma libertario di espropriazione del capitalismo, rifiutando di scegliere tra la democrazia borghese e il fascismo, perché solo la rivoluzione sociale potrà liberare i lavoratori da Mussolini. Sempre solidale con le vittime politiche, dedica, nella prima metà del 1925, due numeri speciali de «L’Avvenire» a Sacco e Vanzetti e a Castagna e Bonomini, e – da buon conoscitore della letteratura e dell’arte e discreto pittore e disegnatore qual è – scrive, su «Culmine» di Buenos Aires, il giornale di Severino Di Giovanni, due articoli: Ciarle sull’arte e Rabindranath Tagore. Conclusa l’8 novembre l’esperienza de «L’Avvenire», rimane a Buenos Aires, conducendovi una vita tribolata dal bisogno e dalla miseria. Il 13 febbraio 1927 dà alle stampe il periodico «Il Pensiero», sul quale difende la figura di Pisacane da indebite appropriazioni, rende omaggio a Praxedis Guerrero e a Nestor Machno e promette di vendicare Sacco e Vanzetti. Negli stessi mesi invia a «L’Adunata dei refrattari» di New York vari articoli sull’attentatore tedesco Kurt Wilkens, sulla Concentrazione antifascista, il cartello degli esuli moderati, per i quali ha parole assai dure, e sulla necessità di “stringere i denti” e restare fedeli alle idee anarchiche. Arrestato, il 24 dicembre, dopo lo scoppio, alla National City Bank, di un ordigno, confezionato da Di Giovanni, non esita a scrivere che “l’attentato […] alle banche del boia” americano è dovuto a “qualcuno” che, agendo “secondo i suoi mezzi e le sue possibilità”, ha voluto “far sentire che Sacco e Vanzetti non sono stati dimenticati e non lo saranno mai”. La morte di due innocenti, causata dalla bomba, suscita in lui profondo dolore, ma non attenua la sua simpatia “per l’anonimo vendicatore”. Il 25 gennaio 1928 esce, nella capitale argentina, un altro periodico redatto da A., «L’Allarme», di cui vedranno la luce quattordici numeri, in quella che sarà la stagione più cruenta degli attentati anarchici in Argentina. Sul nuovo giornale A. reclama, in febbraio, il rilascio dell’anarchico Simon Radowitzki, relegato da quasi venti anni nella Terra del Fuoco, e racconta di essere stato aggredito da Di Giovanni, per averne biasimato il controllo ferreo su «Culmine» e l’uso disinvolto delle somme che riceve per i perseguitati politici (accusa che ritirerà dopo che l’anarchico abruzzese avrà mandato il denaro ai destinatari). Il 23 maggio un tremendo ordigno esplosivo, posto da Di Giovanni nel Consolato italiano di Buenos Aires, uccide nove emigrati e ne ferisce più di trenta, invece di ammazzare il console, un feroce ex squadrista, che ne era il designato bersaglio. A. viene fermato un’ora dopo la deflagrazione e condannato a 30 giorni di arresti per detenzione illegale di due pistole. Rimesso in libertà, scrive, il 20 giugno, che il vero responsabile della strage del 23 maggio è il regime di Mussolini. Il 14 novembre pronuncia un “violentissimo discorso contro il fascismo” durante lo sciopero generale organizzato per liberare Radowitzky e il 20 marzo 1929 critica su «L’Allarme» l’anarchico spagnolo Diego Abad de Santillán per aver pubblicato, su «La Protesta», una serie d’articoli contro i terroristi e gli espropriatori, accusando Di Giovanni di essere “se non un pazzo, una spia o agente provocatore al servizio della polizia o del fascismo”. Secondo A., invece, Di Giovanni è un compagno che gli anarchici devono difendere. Chiuso «L’Allarme» il 1° maggio, A. redige, il 1° aprile 1930, un altro giornale, «Anarchia», dove solidarizza con Alejandro Scarfó, Pietro Mannina e Gino D’Ascanio, presta attenzione al Mahatma Gandhi e allo scrittore rumeno Panait Istrati e scrive che l’abbattimento dello Stato gli sembra indispensabile, dopo il fallimento dei tentativi democratici di riformarlo. Il 6 settembre il generale Uriburu instaura una feroce dittatura in Argentina e il 10 A. lancia – sull’ultimo numero di «Anarchia» – un invito alla lotta contro il “nero Moloch del militarismo” invitando gli anarchici, rimasti sulla breccia, a battersi per salvare “il nome e la dignità dell’Ideale”. Il 1° febbraio 1931 sono fucilati, a Buenos Aires, Di Giovanni e Paulino Scarfó, dopo un processo farsa, e l’11 aprile – dall’Uruguay dove si è rifugiato – A. rende l’estremo omaggio ai due “anarchici espropriatori” sulle pagine de «L’Adunata dei refrattari». Nei mesi seguenti si occupa sullo stesso giornale di teoria e pratica dell’anarcosindacalismo argentino, della FORA, di Diego Abad de Santillán e di Gaston Leval, combatte le “deviazioni bolscevizzanti” e le “nostalgie autoritarie”, che prendono campo tra gli anarchici, e scrive che la caduta della monarchia in Spagna risponde all’esigenza dei gruppi dominanti locali di superare senza danni irreparabili una fase critica, servendosi della Repubblica, piuttosto che del fascismo o di altre forme autoritarie. Al principio del 1932 A. dedica un lungo articolo al volume Socialisme libéral di Carlo Rosselli, sottolineando la sete di libertà che affiora nel libro, compensando ampiamente le amarezze procurate dalle deviazioni “bolscevizzanti” di certi anarchici. Questa esigenza di libertà – che porta fatalmente a ripudiare il marxismo – evidenzia però il “controsenso” del riformismo socialista, che cerca di conciliare – cosa impossibile – la libertà con l’idolatria dello Stato. Il libro deve comunque essere letto dagli anarchici con piacere, perché Rosselli riesce a giungere a un contatto intimo “coll’essenza dell’anarchismo”, pur riferendosi negativamente ad esso ed evitando, nella ricerca dei precursori della sua nuova fede, di segnalare i teorici libertari che quelle idee avevano sviluppato molto prima di lui. L’uscita di scena, nello stesso anno, del generale Uriburu consente ad A. di tornare a Buenos Aires, dove, in dicembre, comincia a redigere il giornale «Sorgiamo!», di cui appariranno sette numeri. Affiancato, nell’amministrazione, da Giacomo Sabbatini, un militante di valore, A. scrive nel primo numero che la caduta della dittatura militare non deve illudere eccessivamente, perché “il Fascismo è oggi più che mai preoccupante” e tende a consolidarsi e quindi le avanguardie devono spingere all’azione le masse. Sul giornale A. si occupa di Mussolini, del corporativismo, delle proteste che agitano la penisola, del comunismo e del “socialfascismo”, e firma i suoi articoli con le iniziali e gli pseudonimi “a.a.”, “agal” e “Massimo Amaro”. Nel dicembre 1933 esamina la crisi, che tra-vaglia l’Argentina, su «La Lanterna» di Nîmes, e nel 1935 pubblica un libro in lingua spagnola: Economía fascista, dove sostiene che la fortuna del fascismo è dovuta al naufragio e al suicidio del liberalismo e della democrazia. Nel volumetto A. insiste sulla demagogia di Mussolini, che promette alle classi subalterne un ruolo importante alla guida del paese e una maggiore giustizia sociale e pretende di aver realizzato ex nihil la potenza industriale italiana, e ribadisce che il fascismo è un prodotto del capitalismo, dal quale è stato largamente foraggiato, e nel cui interesse ha soppresso i sindacati di classe e ogni altra opposizione. Nella primavera del 1937 A. parte per la Spagna e a Barcellona è incaricato di redigere il giornale anarchico «Guerra di classe», dopo l’assassinio del suo fondatore Camillo Berneri per mano della CEKA comunista. Delle sanguinose giornate di maggio A. si occupa nel suo primo articolo che appare il 16 giugno sul settimanale: la battaglia delle settimane precedenti – dice – è stato il “prodromo” di un conflitto “fatale” tra forze che esprimono interessi sociali diversi e che non hanno atteso la “sepoltura” del fascismo per affrontarsi, perché gli alfieri degli “antichi privilegi” tentavano, con un lavoro calunnioso, di liquidare il movimento anarchico e le conquiste rivoluzionarie (espropri, collettivizzazioni, comitati operai ecc.) dell’estate del 1936, non paghi delle concessioni della CNT e della FAI alla comune lotta antifascista, costate alle due organizzazioni aspre critiche nel campo rivoluzionario. Il piano di restaurazione tuttavia è fallito – prosegue A. – perché il proletariato è salito sulle barricate per difendere gli anarchici spagnoli, i quali sono usciti vittoriosi dal conflitto perché non hanno voluto prolungare la “lotta intestina”, che era stata scatenata dai provocatori e che, “più che follia, [era] tradimento”. Mentre continuano a spirare i venti del Termidoro, gli anarchici hanno il duplice dovere di tutelare le conquiste rivoluzionarie e di vincere rapidamente la guerra per non sottostare ulteriormente ai ricatti dei democratici e dei comunisti e per coronare la rivoluzione di cui hanno gettato “solide basi”. In un successivo appello al proletariato internazionale A. denuncia il tentativo di cancellare l’“immenso significato” del 19 luglio 1936, poi rimprovera ai comunisti spagnoli e moscoviti di non arretrare “di fronte a nessun misfatto” per assassinare i rivoluzionari e respinge le loro calunnie contro il POUM e il suo segretario Nin, arrestato dagli staliniani con l’“infame accusa” di connivenza con il fascismo. Quindi, pubblica le prime puntate del suo studio: L’anarchismo nella rivoluzione spagnola, difende i ministri anarchici dalle critiche di “collaborazionismo” e attacca i governi di Londra e di Parigi, che brigano per riconoscere l’autorità degli “scannatori” di Burgos. Il 30 novembre la redazione di «Guerra di classe» annuncia che A. ha lasciato la direzione del giornale per ragioni personali, malgrado le “pressioni amichevoli fatte perché desistesse dal suo proposito e continuasse nella sua opera intelligente e benemerita”, restando tuttavia a Barcellona a lavorare al quotidiano anarchico «Solidaridad obrera». Nel contempo A. prosegue la sua collaborazione con «L’Adunata dei refrattari», commemorando sulle sue pagine il sindacalista Ángel Pestaña e denunciando i bombardamenti aerei fascisti su Barcellona e altre città catalane. Stabilitosi a Marsiglia nel maggio 1938, segnala che un certo numero di anarchici italiani sono ancora detenuti nelle carceri iberiche, controllate dagli staliniani e dai loro “lustrascarpe”, sottolinea le divergenze fra la “carta ideologica” di GL e gli anarchici sul problema dello Stato, smaschera il processo montato a Barcellona contro il POUM e riceve su «Il Martello» di New York la solidarietà di Virgilio Gozzoli. Abbandonata Marsiglia, A. torna a Buenos Aires, dove si stabilisce in casa di Corrado Maccarella e riprende l’attività politica nei gruppi anarchici, poi, alle undici del 31 maggio 1939, improvvisamente si suicida, ingerendo una dose di cianuro. Qualche giorno dopo il suo corpo viene sepolto nel cimitero “La Chacarita”, e il 1° luglio «L’Adunata dei refrattari» gli dedica un breve ma intenso necrologio. (M.B. Montani – G. Ciao Pointer)

Fonti

FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Lucifero, Contradditorio a Voghera, «Umanità nova», 18 apr. 1920; Anarchici in malafede, «La Plebe», 31 lug. 1920; C. Daleffe, Voghera, «Il Libertario», 12 ago. 1920; L’arresto del compagno Aldo Aguzzi, «La Lotta umana», 9 feb. 1928; D. Lodovici, Aldo Aguzzi, l’Adunata e gli eroi della sesta giornata, «Il Martello», 26 set. 1938; V. Gozzoli, Doverosa dichiarazione, ivi, 24 ott. 1938; L’adunata, La morte di Aldo Aguzzi, «L’Adunata dei refrattari», 1° lug. 1939; Aldo Aguzzi, «Studi sociali», 29 lug. 1939; A. De Marco, Aldo Aguzzi. Vita di un militante, «Umanità nova», 8 ago. 1948; Testimonianza di U. Lanciotti, Follonica, 10 ott. 1973.

BIBLIOGRAFIA:; M.B. Montani, L’attività dell’anarchico Aldo Aguzzi durante l’esilio in Argentina (1925-1936), Tesi di laurea, Univ. di Pisa, aa. 1976-1977; L. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, Pisa 1996, ad indicem.

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