ACCIARITO, Pietro

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
ACCIARITO, Pietro

Date di esistenza

Luogo di nascita
Artena
Data di nascita
27/06/1871
Luogo di morte
Montelupo Fiorentino
Data di morte
04/12/1943

Attività e/o professione

Qualifica
Fabbroferraio

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nasce ad Artena (RM) il 27 giugno 1871 da Camillo e Anna Jossi, fabbroferraio. A. è un artigiano immigrato a Roma, costretto a chiudere la propria bottega per mancanza di lavoro. Semianalfabeta, ridotto in misere condizioni, frequenta qualche volta ambienti socialisti e circoli anarchici, senza peraltro essere anarchico o riconosciuto come tale. Il 22 aprile 1897 tenta di pugnalare Umberto I. Il re, dopo il pranzo di gala in occasione dell’anniversario del proprio matrimonio, decide di presenziare al derby, dove ha messo in palio per il cavallo vincente 24.000 lire, una somma esorbitante per l’epoca. Giunta la carrozza a Porta San Giovanni, fra il vicolo della Morana e il cascinale dei Valloni, A. si lancia sulla vettura; ma il colpo di pugnale va a vuoto squarciando il mantice. A. perde l’equilibrio, ed è quasi investito dalla carrozza e facilmente catturato. L’attentato offre il pretesto per un primo inasprimento della repressione. Già all’indomani del tentato regicidio il presidente del Senato suggerisce a Di Rudinì la tesi di un immaginario complotto nonostante il fabbro affermi nei primi interrogatori di non aver avuto mandanti o istigatori, e rivela: “Io l’attentato che ho fatto, prima di tutto non c’è complotto e non sono stato spinto da nessuno, ma lo feci perché ero in miseria. Si buttano li milioni in Africa e il popolo ha fame perché mancano li lavori. È questa la questione: è la micragna”. Il 28 e 29 maggio 1897 si celebra il processo, e A., nonostante non avesse ammazzato o ferito nessuno, è condannato ai lavori forzati a vita e a 7 anni di segregazione cellulare. Udita la sentenza esclama “oggi a me, domani al governo borghese. Viva l’anarchia! Viva la rivoluzione sociale!”. Uno dei tragici strascichi della tesi del complotto è l’arresto a Roma del falegname Romeo Frezzi che, portato in carcere a S. Michele, muore per le violenze subite nell’interrogatorio. La polizia cerca invano di far passere il caso come “suicidio”, ma è smascherata dall’«Avanti!» con gran clamore ed eco in tutto il paese. La trama ordita tra la fine del 1897 e gli inizi del 1898, dal direttore generale delle carceri e dall’ispettore presso il Ministero di Grazia e Giustizia per dimostrare il complotto e permettere la repressione statale prosegue. Alla fine del ’97 è rilasciato un primo gruppo di sette anarchici, ma all’inizio del ’99 sono tradotti in giudizio altri cinque presunti complici tra i quali il noto anarchico romano Aristide Ceccarelli. Vessato e tormentato, spaventato, e ingannato, A. rilascia a Doria una falsa confessione. Il processo per il complotto, in cui A. interviene come testimone, si tiene a Roma il 22 giugno ma si ritorce contro lo Stato stesso. Infatti, i testi, a carico e non, dimostrano l’inesistenza del complotto, A. ritratta e un giudice popolare, nauseato, abbandona l’aula. Il processo è rinviato e poi insabbiato. Nonostante ciò i responsabili della macchinazione, a loro volta incriminati, non subiscono conseguenze. Il clamore suscitato da questi episodi non riesce a modificare il destino di A. che trascorre in carcere il resto della sua vita. Un ricorso in Cassazione, col patronato di F.S. Merlino, è respinto. A. muore nel carcere di Montelupo Fiorentino il 4 dicembre 1943. (I. Del Biondo) 

Fonti

BIBLIOGRAFIA: P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969, ad indicem; M. Felisatti, Un delitto della polizia? Morte dell’anarchico Romeo Frezzi, Milano 1975; M. Santoloni, N. Marcucci, Gli ingranaggi del potere. Il caso dell’anarchico Acciarito attentatore di Umberto I, Roma 1981; F. Cordova, Democrazia e repressione nell’Italia di fine secolo, Roma 1983, pp. 10-11.

Codice identificativo dell'istituzione responsabile

181

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